Martedì scorso sono andato a L’Aquila. Era un viaggio di lavoro (cercavo un professore molto esperto dell’argomento su cui farò la tesi) quindi non mi sono potuto fermare molto in città – in ogni caso, ciò che ho visto mi è bastato. All’andata non sono passato per la città, deviando fin dallo svincolo autostradale, e non so dire se i lavori in corso fossero dovuti a problemi recenti o ancora al terremoto del 2009: quel che è certo è che quando finalmente sono entrato a L’Aquila i segni del disastro erano ancora palesemente visibili. Balconi crollati, crepe nelle facciate delle case, campanili fasciati, piani terra sventrati e bloccati reti da cantiere – il tutto fuori dalla zona rossa, perché lì dentro in macchina non ci si può andare e io non facevo in tempo a farci un giro. La Casa dello Studente presenta ancora il cratere del crollo, i detriti solo in parte rimossi.
La scossa principale del terremoto, lo ricordo, è avvenuta il 6 aprile del 2009. Sarebbe a dire quattro anni e mezzo fa. Mi auguro che non ci sia bisogno di ricordarvi i proclami dell’allora governo Berlusconi sulla pronta ricostruzione, sul “sarà come andare in campeggio”, poi le boiate sulla ricostruzione terminata e sulla “città nuova”. La protezione civile e l’esercito presenti finché è campagna elettorale, poi spariti nel nulla. Le intercettazioni dei tizi che ridono alla notizia del terremoto. Però che dire, in Abruzzo alle ultime elezioni ha vinto il PDL. Vero è che il governo Monti prima e il governo Letta poi non hanno fatto granché al riguardo.
Ciò che ho potuto osservare, dunque, andando a L’Aquila, è l’assenza dello Stato. Ci si chiede il perché il nostro paese sia terreno fertile per il sorgere di associazioni mafiose, il perché della disaffezione dei cittadini, il perché degli alti tassi di astensionismo alle elezioni, il perché l’evasione fiscale sia un fenomeno così dilagante. La gente, in sostanza (e non solo LAGGENTE, anche la gente normale), non crede nello Stato. Non si fida. E ha ragione, perché quando serviva la sua presenza lo Stato non c’era.
Ci sono certo da fare le dovute distinzioni tra Stato centrale e responsabilità di Regione, Provincia e Comune, ma il problema di fondo rimane lo stesso. Le raccomandazioni secondo logiche di potere, gli appalti truccati, la corruzione dei funzionari pubblici – da ultimo il caso Lorenzetti (prima dalemiana, poi candidata per il PDL) – sono pratiche comuni in questo paese, troppo comuni. Con il risultato che la sfiducia nei confronti dell’apparato statale dilaga.
Ma non è un po’ troppo facile, direte voi, dare la colpa sempre alla solita mala politica? E avete ragione, perché la colpa non è loro. È nostra. Siamo noi che abbiamo continuato a votarli e che continuiamo a cascare ai piedi dei “salvatori della patria”. Siamo noi che preferiamo non fare sacrifici oggi in nome di un domani migliore.
E i politici che abbiamo sono come ce li meritiamo.
Assenti.
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