Ho già parlato delle mie mirabolanti esperienze nella terra dei cagariso (no, non Vercelli) negli articoli che dovreste vedere alla destra del testo (troppo pigro per linkarli). Questa volta vorrei entrare nel dettaglio di alcuni dei posti dove ho bruciato più ore e neuroni nel corso delle mie disavventure orientali. Discoteche? Naaah. Saloni di massaggi? Macché. Sto ovviamente parlando del rutilante multiverso delle sale giochi. Se, come me, siete “hardcore gamer” di vecchia data, vi ricorderete sicuramente di riviste agé come PSM (ne ho parlato qui) che tessevano le lodi delle sale giochi giapponesi: nell’immaginario dell’infante nerd tali locali si presentavano come un’esplosione di suoni, luci e colori, l’incubo di ogni epilettico.
Beh, anni dopo, posso confermare con piacere che in questo caso il mito e la realtà hanno molto in comune. Nonostante l’evoluzione sfrenata negli ultimi 20 anni di console casalinghe e pc abbia reso ampiamente superflue le bizzarrie tecnoludiche degli Arcade, questi manifesti di un mondo digitale ormai perduto in Italia, dove le poche macchine superstiti giacciono alla mercè di ragazzini bengalesi nei bowling o dimenticate in qualche antro rivierasco frequentato più da spaccini che da giocatori, mantengono qualcosa della fulgente gloria degli ’80 e dei ’90 nel paradiso del nerd per eccellenza, cioè il Giappone. La sala giochi nipponica acquisisce in sostanza tre forme (posso arrogarmi di fare classificazioni perché ne ho visitate davvero tante. Sì, sono una persona bizzarra):
La sala giochi “brandizzata”
Le sale giochi “di marca” sono più comuni di quanto si possa pensare, solitamente le si trova nei quartieri “nerd”, come la famigerata Akihabara a Tokyo o Nipponbashi a Osaka, ma ad esempio ne ho trovata una della Sega (no pun intended) in un centro commerciale in periferia. Come i più arguti di voi potranno intuire, sono presenti solo (o quasi) macchine della “casa madre” che le sponsorizza. Sì, sulla carta tutto ciò sembra un po’ palloso, ma se siete dei fanatici della “Software House ” in questione potrete trovare tutte le ultime novità, statue delle mascotte o eventi a tema come, prevedibilmente, tornei di Tekken in quella della Namco. Per quasi tutti i coin-op, il prezzo per una partita è di 100 yen (circa 80cent).
La “popolazione” di queste sale è composta in gran parte dai veri otaku giapponesi (1.60 di altezza, occhiali a fondo di bottiglia, frange imbarazzanti), da soli o in gruppo.
Come scritto, nel 2013 ci sono tutte le ragioni del mondo per cui le sale giochi non abbiano più “senso”. Ma se magari fare serata giocando a Time Crisis possa sembrare poco appetibile, mettici in mezzo, nella stessa struttura a più piani, piste da bowling, sale da karaoke, batting centre, minigolf, tiro con l’arco, circuiti di minimoto, piscine dove pescare e bizzarrie di ogni altro genere: beh, la cosa acquista già più senso, eh? Tale preponderante offerta di intrattenimenti ludici di vario tipo (insieme agli onnipresenti medal game e pachinko, ma ci arrivo dopo) è garantito dalla catena “Round One”, che garantisce cazzeggio per tutta la famiglia, specie con pacchetti che includono il free play totale a qualunque stronzata per prezzi interessanti (quello che ho fatto io, 2000 yen, cioè sui 15 euri, per tutta la giornata. Dopo 6 ore avevo gli occhi fuori dalle orbite e ho dovuto abdicare, ma cazzo se ne è valsa la pena). In questi mega-complessi di divertimenti ci trovi di tutto, dai coin-op all’ultimo grido con mega-fucili che pesano come una badilata di piombo a evergreen intramontabili come Outrun 2.
La natura di queste sale giochi le porta ad essere popolati da una fauna piuttosto eterogenea: dominano ovviamente i ragazzini, ma non mancano le famiglie, i gruppi di ragazze schiamazzanti o i salarymen stressatissimi con la sigaretta perennemente in bocca (sì, nelle sale giochi giapponesi molto spesso si può fumare).
La sala giochi losca
Chiunque abbia un minimo interesse per la cultura giapponese avrà sentito parlare del Pachinko, un po’ una via di mezzo tra la slot machine e il flipper amatissimo dai giapponesi. Non è certo difficile trovare una vera sala da Pachinko in giappone, sono ovunque e gremite di impiegati ansanti e perditempo di vario genere, ma il rumore assordante (senza esagerare) delle palline e le barriere linguistiche li rendono spesso ostici alla fruizione da parte degli occidentali. Io mi sono accontentato di sperperare 100 yen in un surrogato del pachinko in una sala giochi di periferia: anche in questo caso gli anime pervadono l’iconografia (io ho giocato a quello di Evangelion, neanche a dirlo).
Più interessanti per una prospettiva turistica sono i medal game, i congegni pieni di gettoni che non cadono mai che probabilmente avrete visto anche in Italia, ma che in Giappone sono molto più divertenti da giocare per via del costo abbordabile (con 500 yen, 4 euro, vi danno di regola un secchiello pieno di gettoni) e grazie ai vari effetti di animazione/bonus che lo rendono una specie di gioco d’azzardo “light” per bambini e nerd. Le sale dedicate prevalentemente a questo tipo di attrazioni sono spesso popolate da fancazzisti e freak di vario genere (ma non preoccupatevi, i veri yakuza non sono di certo interessati a queste cazzatine).
Un’ultima precisazione: ovviamente i giochi bizzarri con strumentazioni demenziali in Giappone non mancano. Un classico i giochi musicali in tutte le loro derivazioni trash/pop (il più divertente probabilmente uno coi bonghi. Spopolerebbe al Parco Sempione), ma non mancano apparecchi enormi dove colpire i bersagli che appaiono in video con palline di gomma, impianti dove creare costruzioni all’interno del gioco con veri mattoncini o, il mio preferito, un simulatore di esaurimento nervoso dove, nel ruolo del padre di famiglia esasperato, del lavoratore sfruttato o di altri ruoli archetipici di una società ad elevatissimo coefficiente di disagio sociale come quella giapponese, il tuo scopo è quello di assestare calibrati pugni su un tavolo (l’unico sistema di controllo) per poi ribaltarlo arrivato al momento clou e fare punti in base agli oggetti distrutti. Molto liberatorio.
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