L’avversione del mondo musicale nei confronti di Trump sta diventando ormai proverbiale e all’indomani del suo insediamento sono seguite copiose le dichiarazione al veleno di celebri personalità del mondo della musica come Springsteen, Madonna e Bono Vox, ma tra questi colui che si aggiudica il titolo di portabandiera di questo improprio movimento di opposizione non può che essere Roger Waters.
Lo storico cofondatore e bassista dei Pink Floyd è in prima linea già dal 28 settembre dello scorso anno, data nel quale è stato protagonista di un live a Città Del Messico che, come ampiamente prevedibile, è stata teatro di uno show dai contenuti decisamente aspri: le ambientazioni con le ciminiere che rimandavano al celebre Animals del 1977 a fare da cornice all’immancabile maiale aerostatico, conciato per l’occasione con tanto di foto e invettive per l’allora candidato alla casa bianca Trump, con nota a margine sulla pagina Facebook ufficiale di Waters che recitava: “The resistance begins”. D’altronde visti i trascorsi chi più di Waters può parlarci di muri?
Il 16 novembre del 1979 dopo un estenuante e sofferto lavoro esce una delle più grandi e celebri opere rock mai realizzate nella storia della musica: The Wall. Già, perché The Wall sviscera paure e debolezze dell’ uomo moderno e lo fa mediante la sensazione di alienazione che attanaglia il protagonista Pink, alter ego di Waters stesso, che lo porta sull’orlo dell’autolesionismo e alla costruzione del “wall” in una situazione di apatica chiusura fino alla presa di coscienza mediante l’allegorico processo che il protagonista si infligge: l’unica via d’uscita a sua disposizione è mettere fine al suo isolamento e tornare a vivere, con la conseguente caduta del muro.
È uno di quei rari casi in cui l’idea di concept album assume quindi un significato davvero totale: dal doppio disco, ai leggendari live, passando per la rappresentazione cinematografica, tutt’ora si fatica a capire per quale di queste sia stata inizialmente pensata l’opera tanto è avvolgente e sfaccettata in ognuna di esse. Difficile risulta anche connotare il genere di questo album: il concetto ricorda in qualche modo implementata all’ennesima potenza l’idea di Freddie Mercury e compagni ai tempi di Bohemian Rhapsody, un labirinto di atmosfere e generi mai visto: Mother e Hey You potrebbero essere a tutti gli effetti dei brani del disco Wish You Were Here, Another Brick In The Wall Pt.2 e Young Lust spostano schemi e mood verso lidi più essenziali e puramente rock, Bring The Boys Back Home e The Trial sono addirittura riconducibili all’operetta e In the Flesh rimanda nel nome e nelle tematiche alle suite dilatate di Animals.
Complicato e diretto allo stesso tempo, claustrofobico, introspettivo e avvolgente ma soprattutto attuale e alla stringente attualità delle tematiche ci riallacciamo con la provocazione lanciata da Waters in una delle sue più recenti apparizioni: suonare di nuovo, dopo lo storico concerto del 21 luglio del 1990 per celebrare la caduta del muro di Berlino, The Wall sul confine tra Messico e Stati Uniti. Ce la farà Pink dopo averlo visto ergersi e crollare, ad impedire stavolta la costruzione del muro?
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