Gli Animals as Leader, nati come progetto solista del chitarrista Tosin Abasi, per conto della Prosthetic Records, sono, insieme ai Periphery considerati i maggiori innovatori del “Djent”, onomatopea per indicare un progressive metal basato su intricate figure rimiche e poliritmi.
Se i padri spirituali del genere vengono considerati gli svedesi Meshuggah, questo, spostandosi in America, è andato via via esagerando i tratti melodici, in modo direttamente proporzionale all’ego dei chitarristi, che, fregiandosi di accordature sempre più basse e di un numero sempre maggiore di corde, suonano in modo sempre più intricato, ma allo stesso tempo plasticoso e privo di contenuto. Stessa perdita di contenuto ha sperimentato il lato vocale: rigorosamente clean e sovra-arrangiato.
Il primo intervento di Abasi e compagnia risale al 2009: nonostante la degenerazione non fosse ancora evidente, gli Animals as Leaders, nel primo omonimo album riescono a dare una propria impronta al genere, attraverso una line-up inedita, e soprattutto influenze quanto mai eclettiche:
la scelta di Javier Reyes come secondo chitarrista non è causale, ma la sua inpronta classicheggiante e melodica controbilancia la maggiore pesantezza (almeno nel primo album) di Abasi. Un lavoro germinale ma non un capolavoro, forse per la presenza di una drum machine al posto di un batterista fisico (almeno nell’album in studio), o per la preponderanza di un Tosin messo sotto pressione dalle alte aspettative dell’etichetta.
Delle dodici traccie vale la pena prendere in considerazione Soraya, che, oltre ad essere bella da fare schifo racchiude tutti i caratteri che, messi in secondo piano nel secondo album, rendono un mezzo capolavoro “The Joy of Motion”.
ll ritmo intricato, ma subordinato ad una melodia con la quale interagisce, un’armonia jazzistica, assoli tecnici, ma sempre espressivi.
5 anni dopo, mentre la scena si è spostato verso prodotti di spessore nullo, i AAL portano a compimento la loro evoluzione stilistica verso uno stile, che se da un lato attinge a piene mani da fusion e musica classica, non si snatura e non perde in compattezza.
Ogni traccia risulta peculiare, partendo da Ka$cade, che intervalla una frase tipicamente “abasiana” ad interventi sempre azzeccati, passando per le successive Lippincott, dove l’atmosfera diventa più pesante, con aperture che ricordano incredibilmente traccie del secondo album, e Air Chrysalis,che preannuncia fraseggi jazzistici che si avrà modo di sentire lungo tutta l’opera.
In queste due traccie si sente fortissimo l’intervento di Misha Mansoor,chitarrista dei già citati Periphery e co-autore della maggior parte dei pezzi, così come si sente il miglioramento apportato da un batterista fisico,Matt Garstka , in fase di registrazione.
Another Years e Physical Education sono due brani atipici.
Nel primo quello che era stato un intento fusion si trasforma in fusion vera e propria, almeno nel primo minuto, sorretto da un riff difficile da dimenticare.
Il secondo un sound math rock, con spruzzi di funk , filtrato ovviamente attraverso due enormi chitarroni.
Brano che merita citazione a parte è Para Mexer,tirata avanti da splendide frasi di chitarra flamenco.
L’album termina in modo leggermente calante con Mind=Spun e Nephele che sembrano dare volontariamente prova della capacità tecnica dei 3 (come CAFO al tempo). Particolare di Nephele è l’intro, che sembra ,per i primi 10 secondi,una citazione dei Meshuggah, e il lungo assolo, giocato su accordi di un rock quasi classico.
Dovendo muovere una critica all’album si potrebbe obiettare che le idee rimiche, armoniche e melodiche di “Joy of Motion” a volte non vengono sfruttate a pieno, ma considerando l’unicità del gruppo,un difetto del genere è più che perdonabile.
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