Avviso: quest’articolo può contenere termini e espressioni propri della semiotica, e pertanto può nuocere gravemente alla salute (mentale).
C’è ancora gente che, nelle chiacchiere al bar o addirittura nei curricula, dice/scrive: “Sono appassionato di internet“. Che cazzo vorrebbe dire? Capirete bene che non siamo più nel 1997, e dire che ci piace internet e che ci passiamo molto tempo è un’affermazione intelligente e chiarificatrice come un nero che confessa di amare il pollo fritto o un cinese che dichiara di lavorare 18 ore al giorno per la FoxConn in cambio di un pacchetto di marlboro. Cazzo, sono informazioni ridondanti. Chiaro che ci piace internet, ci sono i porno.
Oltretutto “andare su internet” può voler dire fare finta di vincere soldi col poker online o le scommesse, scrivere “ciao, skopiamo?” a tutti i profili femminili che trovi su Badoo, trovare fonti per la tua tesi di laurea o pubblicare 700 foto della tua pallosissima vacanza a Gabicce Mare su Facebook. Tutto e niente, quindi. Il fatto è che internet è un mezzo per informarsi/fare/discutere di qualunque altra cosa, compreso il sesso o il backgammon. In questo microcosmo di siti/blog/pagine di social network frammentate in migliaia di settori e micro-interessi, le cultura e in linguaggi che entrano in gioco sono fondamentalmente quelli specifici a quel settore particolare, che siano i videogiochi per PC, la cura dei neonati o Harry Potter.
Se internet pesca da tutto il resto del patrimonio culturale e linguistico della comunità, allora vuol dire che non esiste un codice linguistico e culturale specifico di internet, giusto? Non proprio. Quando un frammento culturale viene decontestualizzato in moto da diventare un significante che esprime un significato (non capisci un cazzo di quello che sto dicento? Leggiti Saussure, capra!) nuovo e proprio delle comunità su internet, allora in quel caso entra a far parte del linguaggio, e pertanto della cultura, di internet. Chiamiamola pure sottocultura perché fa molto underground e figo. Esempio: su internet gira tantissimo (ora un po’ meno spesso, ma ogni tanto ritorna) il video “Never Gonna give you up” di Rick Astley, che è una hit degli anni ’80 con un video molto anni ’80 (e quindi orrendo e ridicolo). Il contesto culturale in gioco qui però non è né la musica pop né gli anni ’80: il link viene spammato per fare in modo che la gente finisca sulla pagina youtube del video a propria insaputa, diventando così una simpatica burlonata. Qui entriamo quindi nella sottocultura di internet, con un proprio linguaggio (Rickroll, evoluzione del Duckroll dei chan che funzionava nello stesso modo). Quindi i meme e tutte le espressioni linguistiche che ci girano attorno fanno parte della cultura di internet? Eh sì. Fry che stringe gli occhi, per gli utenti di internet, c’entra poco o nulla con Futurama, ma diventa significante per esprimere il concetto di dubbio o perplessità.
Quali sono quindi i luoghi dove “abita” la comunità culturale propria di internet? Quelli dove il linguaggio “internettiano” è comunemente diffuso, come i chan, i vari siti che trattano i meme ma anche, ad un livello più blando, anche siti umoristici come Buzzfeed o Cracked. In Italia? Beh, praticamente da nessuna parte, se non magari proprio nel nostro imdi.it. Poi, ovviamente, ci sono i social network; un certo tipo di riferimenti culturali e linguistici.sono comunemente diffusi su Facebook e su Twitter, oltre a linguaggi “nativi” della piattaforma come, per dire #FF o #RT su Twitter (e anche #sapevatelo, che però è un hashtag veramente di merda e se ne abusate siete gran brutte persone).
Dal momento che sia la sottocultura di internet è ancora molto giovane e quindi “povera”, essa è soggetta a sua volta a continue risemantizzazioni e distorsioni di senso. Esempio: il “Me gusta” che smette di esprimere piacere/interesse per cose disgustose e diventa espressione di generale apprezzamento per qualcosa, o addirittura smette di avere alcun valore semantico definito, generando aberrazioni infauste come i vari “Me busta”, “Mangusta” etc, che fanno ridere (o dovrebbero farlo) solo perché quella faccina è buffa. Ed è quello che comunemente viene definito “cancer”, cioè espressioni che cambiano di significato passando dall’uso di una nicchia ad un pubblico più esteso.
Cosa succederà in futuro? Beh, che il linguaggio e la cultura di internet diventeranno tanto comuni da diffondersi anche “offline” e entrare a far parte del grande calderone della cultura popolare “mainstream”. Per espressioni come “lol”, del resto, è già successo così, e ora vi ritrovate le magliette con le rage faces nel mercatino del vostro paesino sfigato. Probabilmente dovremo aspettarci sempre più contaminazioni del genere in futuro. O diventiamo degli eroi (hint: espressione tradotta dalla sottocultura) o ce ne facciamo una ragione. Con ogni probabilità il futuro della cultura di internet sarà diviso tra una “alta”, di padronaggio delle nicchie, e una “bassa”, compresa più o meno da tutti, con varie sfumature nel mezzo.
Per concludere, qualcosa di slightly related: quelli/e che ammorbano Twitter con resoconti e commenti dei programmi TV in diretta, o, peggio, delle partite, sono brutte, bruttissime persone e devono morire male.
14 Aprile 2017
25 Marzo 2017
9 Febbraio 2017
2 Febbraio 2017
4 Gennaio 2017
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.