Da qualche anno a questa parte, in un contesto videoludico che sembrava sempre più dominato da titoli spettacolari o cristallizzati sul proprio genere di appartenenza, si è lentamente fatta largo una tendenza che vede di nuovo protagonista quell’elemento che del game design compone lo scheletro: la trama.
Elemento che, per carità, non è mai realmente venuto meno, ma che è in alcuni casi passato in secondo piano per lasciar posto all’interazione tra giocatori – ove le tecnologie l’hanno finalmente resa possibile – oppure trascurato in favore di cliché ben collaudati, per concentrare lavoro e soprattutto budget sull’innovazione grafica e del gameplay, a dispetto delle esigenze di storytelling che di rado, in produzioni di un certo tipo, si vedono sviluppate come meriterebbero.
Eppure c’è una forza che si muove in direzione opposta, principalmente perché non in grado di competere sul piano economico con i titoli da tripla A, ma anche per restituire al videogioco il meritato titolo di medium in grado di veicolare narrativa di valore non inferiore a quella di un libro o un film. Si tratta di una serie di produzioni, principalmente indipendenti ma non solo, che si è man mano allontanata dai binari delle tendenze di mercato, con l’obiettivo di restituire valore allo storytelling.
Un’analisi a riguardo non può prescindere da una menzione del lavoro di Quantic Dream, casa fondata dal poliedrico David De Gruttola – in arte David Cage – musicista e scrittore. A partire da classici quali Omikron: The Nomad Soul, Fahrenheit ed i più recenti Heavy Rain e Beyond: Two Souls, si è sviluppato un intero, nuovo filone che, con l’obiettivo di porre di nuovo al centro lo storytelling, talvolta rinuncia ad elementi di gioco finora considerati essenziali, quali una grafica accattivante e, in alcuni casi, perfino lo stesso gameplay. La decisione di porre il giocatore di fronte a sequenze narrative e – soprattutto – scelte con conseguenze importanti è un fattore non da poco, specialmente se si prende in considerazione la direzione presa nello stesso periodo dai big player del mercato, con titoli a “trama fissa” quali Assassin’s Creed o Uncharted, per nominarne un paio.
David Cage – che in realtà, sperimentatore a tutto tondo, ora si sta forse muovendo verso nuovi tecnicismi con i suoi studi sulla performance capture – ha spianato la strada ad una nuova tendenza di apprezzamento dell’avventura grafica, da alcuni ribattezzata “neo avventura”, dopo la terribile crisi del genere nel corso degli anni 2000. A farne tesoro più di tutti, senza ombra di dubbio, è stata la californiana Telltale Games, autrice in particolare del sorprendente capolavoro The Walking Dead, un tie-in che sarebbe estremamente riduttivo indicare unicamente come tale. Tra le frecce all’arco della Telltale si annoverano anche i tie-in – sempre per modo di dire – di The Wolf Among Us, Game of Thrones e Batman.
Se Telltale è stata quella che ha fatto maggiormente tesoro degli spunti di Cage, esiste comunque tutto un sottobosco di produzioni, principalmente indipendenti, che stanno rivalutando il ruolo dello storytelling all’interno del processo produttivo del videogioco.
Si prenda per esempio Undertale di Toby Fox, una sorta di RPG classico prodotto con mezzi di fortuna. Il suo grande successo è interamente basato sulla vasta possibilità di scelta fornita al giocatore nel corso della sua avventura.
Altro prodotto indie meritevole di citazione è Désiré, che riprende il classico punta-e-clicca, portandolo ai giorni nostri e fondendolo con un’attenzione particolare al taglio artistico, oggi comune, ma che nell’epoca d’oro delle avventure grafiche era terra più o meno inesplorata.
Questo contesto, seppur non miliardario, sta riscuotendo un successo che solo pochi anni fa era impensabile. Come stanno reagendo le grandi software house? Sony è stata una delle prime a fare la sua parte, accomodando Quantic Dream sotto la propria ala protettiva e garantendosene i servigi – e l’esclusiva – vita natural durante.
Bethesda, da sempre nota per la vastità ed il dettaglio dei mondi costruiti per i suoi giochi, ha in questo senso deluso le aspettative con il quarto episodio della serie Fallout, che in questo senso impallidisce a confronto col precedente New Vegas, lasciato in produzione ad Obsidian (ex Black Isle, originali detentori del marchio Fallout e casa da sempre attenta al focus sullo storytelling).
Electronic Arts, pur avendo per braccio armato BioWare, la quale annovera alcuni fra gli scrittori migliori del settore, sembra tuttavia star portando questi ultimi verso la propria visione di produzione, piuttosto che il contrario.
Anche in questo caso, si tratta solo di alcuni fra molti esempi.
Nonostante il mercato, come prevedibile, prosegua per la sua strada, si può affermare che l’idea di giochi più corposi sotto l’aspetto narrativo si stia progressivamente insinuando fra gli elementi comunemente tenuti in conto nell’iter di produzione videoludica. E non a torto: il videogiocatore non dimentica un prodotto che l’ha emozionato, l’ha costretto a compiere scelte difficili e, in generale, gli ha dato qualcosa in più del solito sotto l’aspetto dell’esperienza e dell’emozione. Il che, per chi produce e distribuisce, significa un maggior guadagno.
Certamente, l’ultimo Call of Duty o un MMORPG dotato di microtransazioni continueranno a fare numeri più alti nel mercato mainstream, ma la fidelizzazione del giocatore emozionato e catturato è qualcosa di potente e che le major impareranno a non prendere sotto gamba.
Ci si può augurare, per il bene del settore, che questo sia uno scenario in continua evoluzione e che apra nuove porte all’evoluzione narrativa del medium videoludico.
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