Split è l’interessante risultato della fusione di due elementi dal potenziale enorme: la mente di M. Night Shyamalan, sceneggiatore e regista della pellicola, noto al grande pubblico per aver scritto e diretto Il sesto senso, e la storia di Billy Milligan, criminale statunitense – affetto da disturbo dissociativo dell’identità – che nel corso della sua vita ha sviluppato ben ventiquattro personalità diverse.
La storia di Billy Milligan è narrata nella biografia Una stanza piena di gente, scritta da Daniel Keyes in collaborazione con lo stesso Milligan; Split, tuttavia, non è la versione cinematografica di questo libro – lo sarà forse The Crowded Room con DiCaprio – bensì il suo riadattamento in chiave thriller: Shyamalan mira a stupire lo spettatore, superando la vicenda di Milligan e aggiungendo altri elementi che finiscono, però, per rovinare un prodotto di altissima qualità.
Una qualità dovuta in gran parte all’interpretazione superba di James McAvoy, il quale – nonostante la grande complessità del soggetto da impersonare – riesce a sorprendere ed essere credibile in ognuna delle personalità presenti nella pellicola, arrivando, nella pratica, a interpretare sei personaggi totalmente differenti tra loro con una maestria tale da lasciare lo spettatore continuamente sorpreso: sbigottito per i cambi repentini di personalità e stranamente divertito per alcune battute nonostante l’atmosfera tutt’altro che comica del film.
Ma tutto ciò non basta: Split è un esperimento fallito. I due elementi dal grande potenziale – da una parte l’esperienza della regia, dall’altra la vicenda di partenza – finiscono per dare vita a un mostro di Frankenstein deludente. Ecco tre motivi per odiare profondamente questo film:
Le nozioni scientifiche sulla patologia del protagonista ci vengono fornite per bocca della Dottoressa Karen Fletcher, interpretata da Betty Buckley, e sono per lo più corrette. Nonostante la critica negativa tenda a spingere soprattutto su questo pedale, il soggetto della ricerca della dottoressa è veritiero: i disturbi dissociativi di identità possono in alcuni casi comportare cambiamenti fisiologici nell’ammalato, e in alcuni casi addirittura dimostrazioni anomale di forza. Il tutto sarebbe dovuto al controllo dell’adrenalina e delle secrezioni tiroidee.
Ma se da un lato alcune informazioni sono verosimili – o quantomeno accettabili, considerando che non si tratta di un documentario – dall’altro non mancano le esagerazioni deludenti, come le inopportune violazioni delle leggi fisiche, o le incoerenze, come ad esempio il dialogo che avviene tra le personalità del protagonista, fenomeno impossibile dal punto di vista medico e incoerente anche nel contesto del film, in cui si verifica solo una volta, per sbaglio: una triste svista.
Esclusi i venti minuti finali, Split è un thriller psicologico estremamente intrigante. Durante gran parte del film, forse rapito dall’interpretazione ipnotica di McAvoy, lo spettatore finisce per dare poca importanza ad alcuni pericolosi indizi. Come ad esempio il fatto che le protagoniste siano rimaste mezze nude senza un valido motivo o che vengano separate in tempi non sospetti o ancora lo strano atteggiamento della bambina nei flashback. Tutti elementi premonitori di una terribile rivelazione: Split si rivela essere un horror sovrannaturale di serie B. Si è portati a sperare che la tanto acclamata bestia sia un qualche fenomeno legato alla patologia del protagonista, la curiosità è quasi scientifica, e viene poi delusa con la pseudo trasformazione e conseguente rivelazione della fantomatica bestia, ennesima personalità dalle caratteristiche, però, sovrannaturali e dal talento per i dialoghi tristemente surreali.
Ma Shyamalan non si ferma qui, Split riesce a sfociare addirittura nel fumettistico, con il plot twist finale.
Ebbene sì, all’improvviso un Bruce Willis selvatico appare. Con una battuta estremamente goffa viene rivelato il grande piano: Split sarebbe un ben celato seguito di Unbreakable ed entrerebbe quindi a far parte di un universo cinematografico a cui si aggiungerà un terzo episodio.
Shyamalan è senza dubbio consacrato come maestro dei plot twist e dei colpi di scena finali, ma l’impressione è che ormai stia scimmiottando i passati successi in modo forzato. La sensazione, in questo caso, è riconducibile al finale di Apocalypto: il malcapitato Bruce Willis – come un tremendamente inadeguato esploratore spagnolo – si fa ambasciatore di una triste verità che preannuncia un futuro inevitabilmente funesto per questa trilogia.
2 Novembre 2016
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