Comincio come al solito il mio editoriale con una premessa: sono portatore di un’opinione che pochi trovano solitamente accettabile, ossia che il terrorismo, in determinate circostanze, è una strategia giustificabile. Sottolineo “in determinate circostanze” perché a scanso di equivoci preciso subito che quanto accaduto oggi a Parigi presso la redazione di Charlie Hebdo (come avrete indovinato, sarà questo l’argomento dell’articolo) non rientra nei casi in cui un’azione terroristica è giustificabile.
La lista di questi casi è indubbiamente breve: una strategia terroristica è giustificabile quando, nel corso di una guerra, ad un popolo/nazione/stato/esercito o quant’altro non rimane nessun’altra possibilità. In sostanza, quando il tuo territorio è stato occupato e non hai alcuna possibilità di intraprendere una guerra “regolare”, andare sulle montagne o nella giungla e da lì portare azioni di disturbo e attentati contro i militari o rappresentanti dell’esercito o dello stato nemico occupante è, a mio avviso, una strategia disgustosa ma accettabile – e sono pertanto ammesse mine, autobombe, kamikaze e via dicendo. I partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, compivano azioni a tutti gli effetti definibili come “terroristiche”, ma sicuramente accettabili.
Il tutto ovviamente in un’ottica in cui la guerra è di per se stessa da aborrire e condannare, pur essendo tristemente parte della natura umana e quindi da accogliere con la medesima rassegnazione che si prova nel guardare due bambini un po’ idioti fare a botte o insultarsi per quanto accaduto su un campo da calcio. (Mi si potrebbe obiettare che ciò che io ho descritto è guerriglia, non terrorismo, e ne potrebbe nascere una discussione interessante, ma dato l’ampio ed erroneo utilizzo del termine terrorismo che si è fatto in tempi recenti, definendo terroristici ad esempio gli attentati in Afghanistan, ho ritenuto utile questa digressione iniziale.)
Risulta immediatamente evidente come quanto avvenuto oggi non rientri nei canoni accettabili: l’azione non si è svolta in un paese occupato, non c’è alcuna guerra in corso e soprattutto le vittime non sono militari o esponenti di governo, bensì civili. E non sono armate se non della loro ironia e della loro capacità di disegnare. Non è il primo attentato ad avere luogo in Europa, anzi i precedenti sono numerosi, e in Francia anche recenti – basti pensare ai due pazzi che a Nantes e Tolosa, l’anno scorso, si erano lanciati in macchina contro dei passanti innocenti urlando «Allah Akbar». Stesse grida dei tre attentatori di oggi, stando a quanto riferiscono i testimoni e la polizia. Solo che stavolta sono morte 12 persone (di cui un poliziotto musulmano). Per «vendicare Maometto» – che se non sbaglio è morto nel 632 d.C., quindi da quasi un millennio e mezzo. Ed è morto di vecchiaia.
Ad ogni modo, non mi dilungherò a recensire gli avvenimenti, né tanto meno le strumentalizzazioni, né ancora le reazioni della politica italiana (basti sapere che Salvini, Renzi, la Meloni, Berlusconi e tutti gli altri hanno detto le loro cazzate, ma Grillo li ha battuti classificandosi primo con la sua tesi complottara – fategli un applauso, così lui è contento e noi possiamo passare oltre). Ci sarebbe inoltre parecchio da dire sull’attacco portato a un giornale satirico, sulla libera informazione, su chi dà la colpa ai vignettisti, sull’ultima, profetica vignetta di uno dei morti, sull’atteggiamento di difesa della libertà di satira (con quel «preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio» pregevole citazione benché di dubbia provenienza), ma altri lo faranno o l’hanno fatto (perfino colleghi di IMDI), e non credo di poterlo fare meglio di loro, né mi va di ripetere le loro parole.
Avevo pensato, in realtà, di parlare un po’ di religione – come potrete, credo, evincere dal titolo – e avrei cominciato citando Roberto Gagnor che oggi, su IlPost, scrive un passaggio che mi è piaciuto assai:
Per far ridere, devi essere cattivo. Almeno un po’. Per far ridere devi vedere tutto da più punti di vista, trovare la miseria umana che c’è in ognuno, anche se ammantata di sacralità: vedere il lato patetico di ogni cosa. Per far ridere, non devi prenderti sul serio tu per primo.
Le religioni, invece, vogliono che tu sia buono. Che certe cose non debbano essere toccate. Che tu stesso prenda la cosa sul serio. O meglio, certe parti di certe religioni vogliono che tu sia buono, eccetera. Cosa che a me ha sempre fatto ridere.
Avevo pensato, ribadisco, ma poi ho cambiato idea. Ne sarebbe uscito un discorso che mi è tanto caro, ma che è poco adatto all’occasione: come la religione porti inevitabilmente all’intolleranza, perché concedendo spazi ai moderati si finisce per non poterli togliere agli estremisti. E non parlo solo di musulmani, da ateo militante sono fermamente convinto che tutte le religioni servano solo a impedire alla gente di fare domande, e a fornirgli risposte precompilate. Solo che non voglio trascinare questo editoriale in una becera polemica sulle religioni nel complesso, né ovviamente sul solo Islam, perché sul trattare l’intero Islam come colpevole ha detto tutto Gad Lerner su Facebook: «Se la destra pensa di battere il terrorismo vietando la preghiera in moschea, la definirei complicità involontaria col nemico».
La mia analisi verterà dunque sulla strategia del terrore – partendo dalla premessa (possibile ma non confermata, e quindi non certa) che gli autori della strage facciano parte di una qualche organizzazione, che presto ne rivendicherà l’esecuzione. Un’azione come quella di oggi porterà dei frutti alla causa dei terroristi? E non parlo degli autori materiali, che sono già stati identificati e saranno presto presi, si spera. Vi sono stati, ad esempio, degli sporadici (e stupidi) interventi a favore della strage sui social network, segnale importante in quanto azioni dimostrative come quella di Parigi non vengono compiute tanto (o solo) per “punire” qualcuno, ma soprattutto per influenzare l’opinione pubblica, attirando l’attenzione nei confronti di un tema o di una vicenda, trasmettere un messaggio e farsi pubblicità. Il fatto che alcuni utenti di Twitter sostengano gli attentatori significa che, potenzialmente, i gruppi terroristi avranno la possibilità di reclutare qualche seguace in più, in futuro. Tre sono le domande che mi pongo al riguardo.
Ecco la prima: sono di più o di meno di quelli che si allontaneranno dalle posizioni estremiste, condannandole per quanto accaduto oggi? Io personalmente credo che siano di più i nuovi adepti di quanti ne staranno lontani: chi ha già ricevuto un’educazione tale da spingerlo ad evitare il fanatismo non si farebbe coinvolgere ugualmente, e quanti sono in bilico saranno più propensi, a mio avviso, a credere a ipotesi complottiste (il Mossad, gli USA, i servizi segreti francesi e quant’altro) o a rimandare la decisione, rimanendo quindi preda potenziale degli esaltati. Ma questa è una mia valutazione personale, quindi passiamo alla seconda domanda (un inciso, o guadagno collaterale).
L’azione di oggi scoraggerà altri vignettisti dal fare satira su Maometto e l’Islam? Personalmente lo ritengo possibile, ma non certo. Prevedibilmente in questi giorni ve ne sarà un fiorire, per semplice reazione, ma poi è probabile che i vignettisti tornino a dedicarsi ai temi che più gli appartengono e gli sono naturali, pertanto chi già faceva satira sulla religione continuerà a farlo, e chi non lo faceva tornerà alle sue abitudini, salvo per eventi come anniversari eccetera. D’altro canto, se un giornale come il Financial Times dice che fare satira su Maometto è stato «stupido», e ha portato a correre rischi non necessari, è possibile che qualche collega dei morti di oggi ne sia parimenti condizionato. Non me lo auguro, ma tant’è.
Terza e ultima domanda, che si riaggancia alla prima: ai terroristi gliene frega qualcosa se le loro azioni spingono gli islamici moderati ad allontanarsi e disconoscerli? La risposta, quasi sicuramente, è no. Come mai? Perché la radicalizzazione dello scontro gioca a loro vantaggio comunque. Come diceva Gad Lerner più sopra, trasformare il mondo in un bianco e nero, con buoni e cattivi, fa sì che tutti coloro i quali non si riconoscano da una parte finiscano, inevitabilmente, per dover stare dall’altra. Odiando e temendo i terroristi finiamo per odiare e temere chi è simile a loro, anche se non ci ha mai fatto niente (né forse lo farebbe mai), e saranno il nostro odio e la nostra paura a spingere gli indecisi a schierarsi.
Prestate attenzione, dunque, a come reagite a certi eventi. All’effetto che questi eventi hanno su di voi, a come cambiano il vostro modo di rapportarvi con gli altri. E non fraintendete: questo non è un articolo strappalacrime di un qualche hippie pacifista – come ho detto prima, ritengo che la guerra sia, per quanto deplorevole, una componente inevitabile della natura umana, e che sia anche, in determinati casi, giustificabile. Per superarla serviranno anni, a centinaia, e un enorme sforzo di istruzione e cultura (oppure, paradossalmente, una gigantesca guerra). Fino ad allora resterà, e c’è poco da fare.
È estremamente probabile che in futuro si combatteranno guerre per il cibo, per l’acqua, per le materie prime.
Cerchiamo di non combatterne altre per stronzate come le ideologie o la religione, eh?
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