E’ il 2015 e “Ritorno al futuro” compie 30 anni. Il 21 ottobre di quest’anno inoltre Marty McFly e il Dottor Emmet “Doc” (Von) Brown dovrebbero arrivare nella Hill Valley presente (per noi) e futura (per loro). Queste sono cose che vanno prese sul serio e qui in IMDI ci sembrava il caso di dedicarci un po’ di tempo col nostro inconfondibile, scoppiettante & effervescente stile.
Sigla!
Mio nonno era una figura imponente: alto, di spalle larghe, calvo, con penetranti occhi azzurri. E dietro un aspetto e dei modi di fare apparentemente burberi, si celava una persona dolcissima, capace di tirar su mia madre e mia zia col giusto equilibrio di classe, affetto e serietà e di dedicare non pochi sforzi all’intrattenimento dei suoi nipotini.
Uno di questi sforzi consisteva in sfrenate pratiche di pirateria nei confronti dei film in uscita.
Stiamo parlando di fine anni ’80 e della prima metà degli anni ’90: all’epoca il fenomeno delle videocassette pirata era evidentemente percepito come un problema reale (da che ho memoria, non c’è film su videocassetta legale che io abbia visto che non contenesse uno spot e/o un messaggio contro le cassette pirata) e oggi, nell’epoca dei leak da centinaia di terabyte sparsi ai quattro venti nel giro di poche ore, la cosa può sembrare grottesca, se pensiamo alla quantità di rogne che uno deve incorrere per duplicare un film su nastro: supporto fisico, sincronizzazione, trovare qualcuno con le apparecchiature giuste (all’epoca cosa assolutamente da non sottovalutare: costavano uno sproposito).
Ciononostante, mio nonno doveva avere qualche aggancio giusto, perché ricordo vagamente di aver visto film come “Aladdin” e “La bella e la bestia” della Disney poche settimane dopo la loro uscita al cinema e in formati più che ragionevoli per un bambino in età prescolare, ma che a ripensarci presentavano difetti come audio che ogni tanto andava fuori fase o colori leggermente sfasati (quindi capitava per esempio che il logo bianco-azzurro della Disney all’inizio del film diventasse una marcia funebre con una gradevole tonalità verdognola).
Uno dei film che mi stupirono di più in assoluto fu “Ritorno al futuro”, di Robert Zemeckis (e scritto dallo stesso Zemeckis con Bob Gale). Mi ricordo la prima volta che lo vidi: fu un evento abbastanza memorabile perché fu uno dei pochi film che vidi con mio nonno di fianco (perché va bene l’affetto nonnesco, ma un uomo abituato a guardarsi film di guerra e western a strafottere si sarebbe rotto non poco le palle a guardarsi cartoni animati a nastro) per tutta la sua durata.
Tenendo conto che lo vidi intorno ai 6-7 anni, quindi almeno una decina di anni dopo la sua uscita al cinema nel 1985, non sono sicuro si trattasse di una copia pirata o di un abile lavoro di registrazione da qualche palinsesto (anche se la totale assenza di stacchi dovuti alla cancellazione delle pubblicità, cosa che invece ricorderò sempre nelle mie primissime visioni dei tre “Guerre stellari” originali, destava qualche sospetto): nel caso, fottesega perché me lo guardai ridendo come un matto per tante cose, anche se mio nonno rideva ancora di più perché con una differenza di età di 65 anni, lui poteva godersi le battute più sottili e, perché no, potenzialmente zozze di una delle migliori commedie anni ’80 mai concepite.
Già, perché al netto di un ottimo e riuscitissimo impianto sci-fi (ci torniamo più avanti), “Ritorno al futuro” è una commedia anni ’80, fatta e finita. Nasce ovviamente come prodotto per ragazzi: la Amblin ci regala il consueto corredo di provincia americana, bulli prepotenti, ragazzi protagonisti con cui identificarsi sempre in sella a BMX o skateboard, battibecchi amorosi adolescenziali, elementi fantastici o misteriosi visti in maniera tanto casereccia quanto avventurosa (praticamente vi ho riassunto in quattro elementi chiave “E.T.”, “I Goonies” e “Gremlins”), ma a questo giro vengono giunti una serie di particolari che rendono il film godibile anche per un pubblico adulto e forse è proprio questo il motivo della longevità eccezionale di “Ritorno al futuro”.
Partiamo dall’elemento sci-fi sopracitato: l’idea dei viaggi nel tempo e dei paradossi ad essi collegati non è cosa nuova, nemmeno nel 1985 (si pensi per esempio al racconto “La macchina del tempo” di H.G. Wells del 1895 o agli adattamenti cinematografici negli anni ’30 e ’40 de “Un americano alla corte di Re Artù”, racconto di Mark Twain del 1889), ma per la prima volta (escludendo “Ovunque nel tempo”, gradevole commedia romantica del 1980 tratta dal racconto breve “Appuntamento nel tempo” di Richard Matheson… Se ci sono altri esempi, anche anteriori, sotto con i commenti!) anziché tirare in ballo viaggi a spasso in epoche lontane o elementi estremamente fuori dall’ordinario (tipo gli Eloi e i Morlock di Wells), si mantiene un’ambientazione e una serie di dinamiche fortemente urbane, se non addirittura domestiche. La formula è micidiale: il concetto di paradosso temporale (tornare indietro nel tempo modificando il futuro) viene declinato con precisione e rigore, senza però rinunciare ad un tono leggero estremamente riuscito: i due piani temporali, il 1955 e il 1985, interagiscono alla perfezione senza creare acquari troppo grossi per essere mantenuti (vi rimando qui e qui per farvi capire il concetto di “acquario” nella narrazione) sono godibili e familiari tanto per il pubblico più giovane quanto per la generazione dei loro genitori.
Ed è proprio il rapporto tra padri/madri e figli a completare la natura doppia, sci-fi da un lato, commedia dall’altro, di “Ritorno al futuro”, perché proprio grazie all’ambientazione domestica del paradosso temporale, le dinamiche dei personaggi si rifanno ad un contesto familiare, di facile immedesimazione: Marty McFly è un ragazzo con degli amici, un hobby, scazzi a scuola, una famiglia imperfetta a cui è comunque affezionato, una ragazza; dall’altro lato abbiamo la dinamica di vago disprezzo poi tramutatosi in amicizia e in fine ammirazione nei confronti dei suoi genitori, in particolare suo padre, George McFly, sfigato di prima categoria e perdente anche a 50 anni, trasformato grazie all’intervento di suo figlio trent’anni prima in un romanziere di successo e un marito affascinate.
Non solo quindi commedia fantascientifica adolescenziale, ma anche una sorta di racconto di formazione, dove Marty non rispetta granché George per poi incontrarlo nel passato da coetaneo e questo incontro paradossale porta Marty ad essere il primo motore, il demiurgo della sua famiglia, facendo sì che sua madre Lorraine possa innamorarsi di George e poter rendere possibile il futuro/presente così come lo conosce e addirittura la sua stessa esistenza: già, perché ancora una volta l’intreccio sci-fi/formazione si unisce ancora una volta con la commedia, creando un paradosso temporale inedito.
Marty sostituisce involontariamente suo padre nell’occasione in cui si sarebbe dovuto incontrare per la prima volta con sua madre, la quale diventa infatuata di questo ragazzo apparso quasi dal nulla. “Infatuata” è un elegante eufemismo per “vorrebbe fotterselo finché non gli esce il cervello dalle orecchie”, ciò non toglie che il fatto che Lorraine sia innamorata di Marty/Levi Strauss/Calvin Klein (dipende dal doppiaggio) invece che di George McFly significhi una fine molto sgradevole per suddetto Marty: il flusso temporale è stato alterato e la famiglia McFly del 1985 rischia di svanire nel nulla, protagonista compreso, perché l’evento scatenante della catena di conseguenze che portarono al
matrimonio di Lorraine e George è stato eliminato dall’intervento fortuito di Marty. Di conseguenza il protagonista avrà il suo bel daffare cercando di impalmare i suoi genitori, schivare sua madre in versione adolescente dagli ormoni imbizzarriti, dare modo a suo padre di fare colpo su Lorraine diventando anche un attimino più figo e, già che ci siamo, riuscire a tornare nel 1985 originale.
Senza nemmeno tirare in ballo la DeLorean, Doc e il flussocanalizzatore (ma tranquilli, abbiamo almeno altri due film su cui fare una retrospettiva), questi elementi da soli rendono già giustizia alla trasversalità quasi assoluta di “Ritorno al futuro”: commedia adolescenziale anni ’80 per i giovani culturi della Amblin, film di fantascienza con loop temporali per fan di varie età, racconto di formazione a sfondo familiare con uno sguardo nostalgico per gli anni ’50 (non mi stupirebbe un’intenzione da parte di Zemeckis di omaggiare “American graffiti” di Lucas), commedia anni ’80 a sfondo “leggermente” pruriginoso (il soggetto di “Back to the future” fu rifiutato dalla Disney, non particolarmente convinta che la storia di una madre invaghitasi del proprio figlio fosse l’ideale per un film per famiglie). Questo ibrido si rivela dannatamente azzeccato e il risultato è un film invecchiato splendidamente e capace di farsi guardare con interesse, partecipazione emotiva, divertimento e, perché no, esaltazione (“Power of love” di Huey Lewis e il tema di Alan Silvestri per esempio sono un ottimo motivo di esaltazione durante il film, da un lato l’orecchiabilità più spinta anni ’80, dall’altro la grandeur hollywoodiana più ariosa), uno dei numerosi esempi che uomini come Zemeckis, Gale, Spielberg, Lucas e altri ci hanno dato del fatto che sia possibile tirar fuori autentici capolavori senza per forza dover andare a parare nell’arte concettuale o nel dramma.
Buon compleanno “Ritorno al futuro”, i tuoi 30 anni li porti benissimo.
Prossimamente IMDI analizzerà gli altri due film della trilogia e il lascito della saga nell’immaginario internettiano del 2015: restate con noi e tenetevi pronti…
Perché dove andiamo noi non servono strade.
Non molto tempo fa uno studente specializzando operante a Milano venne ingiustamente condannato da un tribunale militare. Evaso da un carcere di massima sicurezza iniziò a spacciarsi per studente Erasmus. E' tuttora ricercato, ma se Spina, Frullo e Weber hanno un argomento di nicchia che interessa a quattro gatti, forse, ogni tanto, ingaggiano il famigerato... COLIN FARTH.
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