““Qui non è in discussione la filantropia ma il diritto, e allora ospitalità significa il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come un nemico a causa del suo arrivo nella terra di un altro.”
Il pezzo è tratto dal terzo articolo dell’opera per la pace perpetua di Immanuel Kant. Il filosofo tedesco individua un vero e proprio dovere di ospitalità in capo ad ogni Stato, seppur limitato nel tempo e quindi assimilabile più ad un diritto di visita che di residenza. Il testo appare quasi profetico, in quanto, sempre per il mantenimento della pace, Kant aveva ipotizzato nei primi due articoli l’istituzione di un organo sovranazionale di controllo della pace, e la democrazia come miglior forma di governo (entrambi attualmente realizzati). Questo diritto/dovere all’ospitalità ha di che far pensare, specialmente in questi giorni a seguito dell’approvazione della camera alla legge-delega che contiene fra l’altro la depenalizzazione del reato di clandestinità. Per chi non lo sapesse, una legge delega non è altro che una legge approvata dal parlamento con la quale si rimanda al governo il compito di adottare i singoli provvedimenti. La delega non è totale, all’interno della legge approvata sono presenti principi generali, un oggetto ben definito ed il tempo a disposizione del governo, tutto ciò per limitare al massimo l’abitrio del potere esecutivo.
Torniamo ora al reato di clandestinità: esso è stato istituito nel 2009 dalla così detta legge Bossi-Fini ed il suo ruolo si riduceva ad essere principalmente politico. La parola “reato” determina che la norma in questione è una norma penale e l’impatto pubblico di una condanna penale è decisamente pesante rispetto ad una condanna civile: basti pensare che, reduce da una condanna civile passata in secondo piano, per una sentenza penale il buon Silvio ha rischiato di far cadere il governo. Lasciamo però da parte i problemi di Berlusconi e soffermiamoci sul discorso principale, ossia l’abolizione del suddetto reato. L’indignazione per una tale evento si è rapidamente sparpagliata dalle pagine piú losche di Facebook alle poltrone di certe ale del parlamento. Ora l’Italia è vulnerabile, le catene precedentemente create dal diritto si sono spezzate e orde di immigrati sono pronte ad invaderci.
La realtà, fortunatamente, è diversa da come alcuni soggetti vogliono che appaia. La previsione di una sanzione penale era decisamente sproporzionata se riferita alle persone che normalmente arrivano in Italia. Quello che molti ignorano è che la sanzione non consisteva in una pena detentiva ma in una sanzione pecuniaria da 5000 a 10000 Euro e che tale pena era utile quanto un paio di mutande in un film porno. Difatti coloro che scappano da situazioni di povertà e arrivano in Italia senza nulla, difficilmente hanno la possibilitá di pagare le sanzioni previste dalla legge. I criminali in questi casi sono gli scafisti ed essi continueranno a pagare come è sempre stato e come è giusto che sia in quanto non è stata eliminata l’intera normativa, ma solo appunto la sanzione penale prevista all’articolo 10-bis del Testo Unico sull’immigrazione. Restano ancora in vigore tutte le altre fattispecie previste dalla legge e le varie procedure di espulsione, nonchè rimane sul piano penale l’ipotesi di rientro in Italia a seguito di un provvedimento di espulsione.
La previsione di reato non era solo inutile ma perfino dannosa al sistema giudiziario Italiano. L’elevato numero di persone (si pensi a 400-500 soggetti ogni barcone) paralizzerebbe la già pesante macchina della giustizia in Italia. A mio avviso è folle quindi intasare i tribunali penali per giudicare un numero talmente elevato di “microcrimini” quando vi sono crimini ben peggiori da perseguire. Infine un cambiamento ci sarà: ora, se il testimone di un reato ben più grave deve comparire in tribunale oppure se la vittima di un crimine “vero” dovrà denunciarlo, lo potrà fare senza temere di essere denunciato dall’autorità competente e soprattutto senza gravare inutilmente sul bilancio dello Stato.
Lo scopo di tale delega appare chiaro: oltre a sgravare i tribunali, esso segue a ben 5 condanne dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo. L’Italia, afferma la Corte, è colpevole di aver violato l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo laddove afferma che: “Nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti”. L’oggetto di tale condanna è presto detto: le carceri italiane ed il loro sovraffollamento causato da una mancanza di diligenza, sempre citando la Corte. Questo si traduce in diverse sanzioni che l’Italia si vede costretta a pagare all’UE a causa di una situazione che finalmente inizia a modificarsi appunto grazie alla recente delega.
Gli altri due pilastri essenziali che accompagnano la depenalizzazione del reato di clandestinità sono gli arresti domiciliari e la messa alla prova. Per quanto riguarda gli arresti domiciliari, ora sarà previsto che saranno applicati come pena principale per tutti i reati con pena inferiore a 3 anni di reclusione, mentre la valutazione spetterà al giudice per quei reati che vanno dai 3 ai 5 anni. La messa alla prova è invece un istituto già previsto nel processo minorile e consiste nell’affidamento ad i servizi sociali, su richiesta dell’interessato, per lavori di pubblica utilità per i reati con pene inferiori ai 4 anni di reclusione o con sanzioni pecuniarie; in caso di nuovi delitti o di trasgressioni viene sospesa.
Per concludere c’è da ricordare che alla camera hanno votato a sfavore Lega, Fdi e Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda Lega ed ex alleanza nazionale, tale opposizione è chiaramente in linea con il pensiero e gli obiettivi dei due partiti. Crea un po’ di confusione la reazione bipolare del M5S, in quanto l’iniziativa (in merito all’abolizione del reato di clandestinità) è partita proprio da due loro senatori: Cioffi e Buccarella.
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
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1 Ottobre 2016
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
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