Riprendiamo da dove abbiamo lasciato la settimana scorsa ed entriamo nel merito della riforma Renzi-Boschi.
Vediamo cosa andrà a cambiare.
“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario”. Per chi non sapesse di cosa si parla, il bicameralismo paritario (meglio noto come “perfetto”) è la forma in cui si atteggia la ripartizione delle funzioni, nell’iter legislativo, tra le due Camere del Parlamento nel nostro ordinamento. In pratica, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno lo stesso identico peso all’interno del procedimento di formazione delle leggi, disciplinato dagli artt. 70-74 Cost. Lo stesso sistema, con alcuni correttivi, è adottato anche in Francia, negli USA e nel procedimento legislativo ordinario previsto dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sebbene quest’ultima non sia uno Stato.
Nella storia dell’Italia repubblicana il bicameralismo perfetto e l’iter legislativo in generale sono stati sin da subito oggetto di grande dibattito: ci si accorse immediatamente che l’eccessivo garantismo a cui era improntato il disegno costituzionale avrebbe avvicinato inevitabilmente il Paese all’inconcludenza di cui ci lamentiamo oggi.
Fino ai primi anni 2000 nessun progetto di riforma prese effettivamente vita; nel 2006 tuttavia una legge costituzionale passò il vaglio parlamentare e si procedette, come accadrà a ottobre, alla consultazione popolare. Si trattava della riforma, voluta dal Governo Berlusconi III, introduttiva del premierato e di una nuova ripartizione di poteri tra Camera e Senato, quindi anch’essa promossa come la fine del bicameralismo perfetto.
Chiaramente vinse il no, motivo per cui siamo qui a parlare del voto di ottobre su questo nuovo tentativo.
Per il superamento del bicameralismo perfetto è stato necessario modificare quella porzione di Costituzione che va dall’art. 55 all’art. 82. I primi quindici articoli (artt. 55-69) disegnano la struttura della forma di governo parlamentare; i successivi tredici (artt. 70-82) disciplinano la funzione legislativa.
Di particolare interesse può risultare la consultazione del nuovo art. 55, che già di per sé risulta particolarmente destabilizzante per chi per la prima volta si avvicina al testo della riforma, soprattutto se messo a confronto con quello attualmente in vigore.
Il nuovo testo, che aggiunge quattro commi, introduce innanzitutto il principio “dell’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”, per cui le leggi elettorali dovranno tener conto di questo nuovo vincolo.
Solo i deputati sono quindi “rappresentanti della Nazione”, come stabilito dal terzo comma, che va a modificare l’art. 67, ed essi stessi sono gli unici titolari del rapporto di fiducia. Ai senatori infatti è affidata la rappresentanza delle istituzioni territoriali. Per chi è un po’ arrugginito: il rapporto di fiducia è quel nesso tra il Parlamento e il Governo, che si instaura con una votazione del Parlamento per l’approvazione del Governo e può essere rimesso in discussione dal Parlamento stesso tramite la mozione di sfiducia.
Sempre l’art. 55 si occupa di attribuire alle Camere le loro funzioni: alla Camera dei deputati restano la funzione legislativa, quella di indirizzo politico e quella di controllo dell’operato del Governo; al Senato della Repubblica sono attribuite funzioni di raccordo “tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”, e nei casi previsti dalla Costituzione concorre alla funzione legislativa e al raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea. La dicitura “altri enti costitutivi della Repubblica” può essere interpretata, con buona probabilità, come riferita a Regioni, Città metropolitane e Comuni, poiché non c’è alcuna menzione delle Province nel nuovo testo costituzionale.
Il nuovo Senato è composto da cento senatori, meno di un terzo dei trecentoquindici attuali, di cui novantacinque eletti dalle istituzioni territoriali e cinque nominati dal Presidente della Repubblica (sono gli ex Senatori a vita, i quali, se la riforma dovesse passare, resteranno in carica per 7 anni, senza possibilità di essere nominati una seconda volta). I novantacinque senatori elettivi durano in carica fino al termine del mandato degli organi delle istituzioni territoriali da cui sono stati eletti. Questo meccanismo dovrebbe assicurare una corrispondenza costante tra le forze politiche di maggioranza delle istituzioni territoriali e il rappresentante nel Senato.
Ai membri del Senato inoltre il nuovo art. 69 ha sottratto la c.d. indennità parlamentare, voce principale dello stipendio dei parlamentari.
All’art.64 è stato aggiunto un comma di particolare significato: la Costituzione prevede ora un dovere per i membri del Parlamento di partecipare ai lavori dell’Assemblea di appartenenza e delle Commissioni, misura evidentemente ritenuta idonea per fronteggiare l’assenteismo che abbiamo visto dilagare negli anni.
Passando al secondo blocco di articoli, le novità sono tante. L’art. 70 indica puntualmente le materie per cui rimane necessaria la partecipazione di entrambe le Camere e specifica che tutte le altre leggi sono approvate dalla Camera dei Deputati. La stessa Camera è obbligata a trasmettere al Senato ogni disegno di legge che approva e quest’ultimo può, su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, disporre di esaminarlo e produrre delle proposte di modifica.
Il nuovo art. 71 lascia invariata la distribuzione dell’iniziativa legislativa, affidando al Senato la possibilità, del tutto nuova, di forzare la Camera dei Deputati all’esame di un disegno di legge. Si prende cura anche della problematica connessa alle proposte di legge di iniziativa popolare che com’è noto sono spesso ignorate in Aula: ora ne è sancito in Costituzione l’obbligo di discussione e deliberazione, al pari degli altri disegni di legge. La concessione è stata controbilanciata dall’aumento delle firme necessarie per presentare la proposta: si passa da 50.000 a 150.000.
Sempre l’art. 71 contiene una piccola rivoluzione: all’ultimo comma introduce nel nostro ordinamento il referendum popolare propositivo, con lo scopo di favorire la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche nel Paese. La disciplina puntuale dell’istituto sarà prodotta in una successiva legge di attuazione.
Rimanendo in tema di referendum facciamo un piccolo salto all’art. 75, che introduce un diverso quorum per i referendum abrogativi proposti da almeno 800.000 elettori. Infatti, verificandosi questa condizione, il referendum sarà valido con la partecipazione della maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei Deputati. La ratio è evidentemente quella di non lasciar abbattere dall’astensionismo referendum abrogativi proposti da un fetta consistente del corpo elettorale.
Circa l’iter legislativo in senso stretto, ferme restando le materie dell’art. 70, il nuovo meccanismo è praticamente identico a quello precedente, è eliminato solo il passaggio all’altra Camera. È stato invece concesso un nuovo potere al Governo, il quale, escludendo le materie dell’art. 70, può richiedere alla Camera un esame più spedito dei disegni di legge che ritiene essenziali per lo svolgimento del programma di Governo.
L’art. 73 introduce un’altra grande novità per il nostro ordinamento: è introdotto il primo sindacato preventivo di legittimità costituzionale di una legge. Deve essere richiesto da almeno un quarto dei componenti la Camera dei Deputati o un terzo dei componenti del Senato, con ricorso motivato avverso le leggi elettorali delle stesse Camere, ovviamente prima delle promulgazione.
Infine, per quanto riguarda i famosi quanto abusati “decreti legge” sono stati codificati una serie di limiti nell’utilizzo, in parte tratti dalla copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia. In particolare, è richiesto che le misure siano di immediata attuazione e che il contenuto sia specifico, nonché omogeneo e corrispondente al titolo.
È stata apportata qualche modifica anche al Titolo della Costituzione che tratta del Presidente della Repubblica.
È eletto ora dal Parlamento in seduta comune, non più integrato dai delegati delle Regioni; il “supplente” del Presidente Repubblica non è più il Presidente del Senato, ma quello della Camera dei Deputati; può sciogliere ora la sola Camera dei Deputati.
Per quanto riguarda il Governo c’è stata solo qualche piccola modifica: la fiducia, come si è detto, è nelle mani solo della Camera; è stato introdotto in Costituzione, all’art. 97, il principio di “trasparenza” dell’operato della Pubblica Amministrazione, vicino ai noti princìpi di imparzialità e buon andamento; infine, è stato soppresso il C.N.E.L., tramite l’abrogazione dell’art. 99. Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è un organo consultivo Governo delle Camere e delle Regioni, dotato del potere di iniziativa legislativa e della possibilità di esprimere pareri su richiesta degli organi citati.
Arriviamo quindi all’ultimo grande blocco: il Titolo V, già noto alle cronache per l’importante riforma operata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che introdusse una nuova ripartizione della competenza tra Stato e Regioni. Vale la pena segnalare che la suddetta legge di revisione costituzionale fu approvata a maggioranza di due terzi da ciascuna delle Camere nella seconda votazione, quindi non ci fu bisogno di alcun referendum.
La modifica principale è l’eliminazione delle materie di competenza concorrente tra Stato e regioni dall’art. 117, che per la maggior parte vengono spostate alla competenza esclusiva dello Stato. Sempre l’art. 117, nucleo di questo Titolo V, introduce una “clausola di supremazia” dello Stato, che consente l’intervento con legge statale, su proposta del Governo, su materie non altrimenti attribuite alla competenza Statale.
L’art. 118 invece, coerentemente con l’art. 97, si arricchisce di un nuovo comma che prevede che la funzione amministrativa sia esercitata “in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori”.
È introdotto anche un tetto massimo agli emolumenti dovuti agli organi elettivi delle Regioni, che è pari nell’importo a quelli dovuti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.
Infine, come si è già segnalato, non sono più presenti riferimenti alla Province, se non a quelle autonome di Trento e Bolzano.
Nel prossimo articolo, confronteremo le differenti opinioni dei sostenitori del Sì e di quelli del No.
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
19 Aprile 2017
15 Marzo 2017
18 Dicembre 2016
12 Dicembre 2016
7 Dicembre 2016
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
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