La parola è già di per sé evocativa, “referendum”: gerundivo del verbo latino “refero”, che vuol dire “riferire, rispondere”.
È una parola che da sempre è al centro dell’attenzione dei media e delle persone; una parola che da sola ha poggiato le pietre miliari della storia politica e costituzionale del nostro Paese. È proprio con un referendum che è iniziata la storia della Repubblica: quello del 2 e 3 giugno 1946, in cui si chiedeva ai cittadini di scegliere quale forma di governo adottare all’esito della seconda guerra mondiale.
Nei decenni seguenti le consultazioni furono molte e di gran momento, come ad esempio il referendum abrogativo della legge introduttiva del divorzio, che vide la vittoria del “No”. I più grandi ricorderanno i pacchetti di quesiti proposti dai Radicali dalla fine degli anni Settanta fino al 2005, sulle questioni più disparate: dall’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (1978), all’abolizione della pena dell’ergastolo (1981); dall’abrogazione di alcune norme restrittive in tema di aborto (1981), a quella delle norme limitative della responsabilità civile dei giudici (1987); dall’abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe leggere (1993), alla separazione della carriera di pubblico ministero da quella di giudice (2000); per finire col pacchetto di quesiti sulla procreazione medicalmente assistita del 2005.
Nel 2011 si votò su quattro quesiti, proposti a coppie dal comitato referendario “Sì per l’acqua bene comune” e dall’Italia dei Valori, in materia di affidamento e gestione di servizi pubblici, tariffe dell’acqua, produzione di energia nucleare sul territorio nazionale e l’abolizione della legge sul legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri stessi.
Inutile aggiungere che quanto segnalato è solo una porzione del complesso delle consultazioni referendarie che hanno portato alle urne milioni di italiani negli ultimi 70 anni.
Tra trivelle e riforma costituzionale, anche il 2016 sarà sicuramente ricordato come un anno significativo per la storia della nostra Costituzione. Cosa differenzia però le due consultazioni? Possibile che per questioni così eterogenee si applichi lo stesso strumento? La risposta è evidentemente no.
In linea generale, la categoria di riferimento è quella del c.d. referendum popolare, principale istituto degli ordinamenti che si avvalgono della democrazia diretta (forma più “pura” della nostra democrazia rappresentativa), tramite il quale è richiesta una manifestazione di volontà agli elettori circa una norma giuridica. La forma della manifestazione di volontà, così come richiesta dal soggetto che indice la consultazione, qualifica il referendum stesso.
La Costituzione attualmente prevede quattro diverse tipologie di referendum:
All’ultimo comma l’art.75 pone una riserva di legge per la disciplina puntuale dell’istituto. Disciplina che è arrivata solo nel 1970, con la famosa legge n. 352/1970, la quale include nel proprio ambito di applicazione anche i referendum di cui ai punti 3 e 4.
Il referendum di Aprile, erroneamente noto come “Referendum sulle trivelle”, così come tutte le consultazioni menzionate sopra, è stato un referendum abrogativo, in applicazione dell’art. 75 Cost. L’istituto prevede la consultazione popolare in merito alla permanenza nell’ordinamento di una norma giuridica e può essere proposto nei limiti del citato art. 75 Cost. Affinché la consultazione sia valida è previsto il raggiungimento del c.d. doppio quorum: è richiesta la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, nonché, ai fini della deliberazione, la maggioranza dei voti validamente espressi, al netto cioè di schede nulle e schede bianche.
Questo meccanismo viene spesso usato, come ad Aprile, per boicottare il referendum, in quanto il mancato raggiungimento del quorum equivale a una vittoria del No ed esclude il rischio di una vittoria marginale del Sì.
Oltre alle fonti già menzionate, l’azionabilità di questa forma di referendum è sottoposta anche ai limiti elaborati negli anni dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 16/1978, che, tra le altre cose, ha escluso l’applicabilità del referendum abrogativo alla Costituzione e alle leggi di revisione costituzionale e ha introdotto i requisiti di omogeneità e chiarezza per la forma del quesito, pena l’inammissibilità dello stesso.
Da un punto di vista prettamente giuridico, ciò che preme sottolineare è che in questo caso si tratta di una vera e propria fonte del diritto, alla pari della legge ordinaria, o dei decreti legge e legislativi. Infatti, il Parlamento, detentore del potere legislativo, sarà vincolato all’esito del referendum nella sua produzione legislativa successiva, non potrà infatti disciplinare la materia oggetto della consultazione in senso contrario alla volontà del popolo. Questa “forza” del referendum è sufficiente a inserirlo nell’alveo delle fonti del diritto.
Ad Ottobre gli elettori italiani saranno chiamati ad esprimere il loro volere in un nuovo referendum, formalmente e sostanzialmente diverso da quello di Aprile. Si tratterà infatti di un referendum c.d. costituzionale (o anche “sospensivo”), istituto previsto dall’art. 138 Cost., nell’ambito del procedimento di revisione costituzionale, nonché di approvazione di leggi c.d. costituzionali, vòlte a integrare la Costituzione senza però alterarne il contenuto.
In questi casi il referendum è meramente eventuale, in quanto può essere richiesto solo nel caso in cui la legge non sia stata approvata in seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi dei suoi componenti (v. art 138, comma 3, Cost.). Inoltre è necessario che ne facciano richiesta, entro tre mesi dall’ultima votazione, un certo numero di elettori o parlamentari o Consigli Regionali, quindi è anche facoltativo.
In questo caso, il corpo elettorale non è chiamato a esprimersi sulla sopravvivenza di una norma, bensì sulla censura di un intero progetto di modifica dell’assetto costituzionale. Se vogliamo, un ulteriore meccanismo di protezione del sistema.
Per comprendere al meglio la natura di questa tipologia di referendum, è necessario ricordare che la nostra Costituzione è definita “rigida”, in quanto prevede un procedimento di modifica ad hoc (quello previsto dall’art. 138), notevolmente differente da quello di produzione della legge ordinaria. Questa caratteristica, unita alla forma scritta (ne esistono anche di orali, per esempio la Costituzione del Regno Unito, che non contempla un unico documento come la nostra, include anche fonti orali) e alla previsione di un controllo di conformità delle norme sub-costituzionali (quindi con valore di legge, o regolamentare) alla Costituzione, operato dalla Corte Costituzionale, garantisce la stabilità del nostro sistema costituzionale.
Non è previsto per il referendum costituzionale il raggiungimento di alcun quorum, caratteristica che rende la partecipazione popolare quanto mai importante, poiché un forte astensionismo potrebbe garantire la vittoria di una minoranza.
Proprio questa caratteristica induce a ritenere che l’istituto abbia natura oppositiva, nel senso che si presenta come un “appello” al popolo sovrano da parte di minoranze parlamentari, orientato a garantire la stabilità del testo costituzionale.
Conclusa questa panoramica, nel prossimo articolo ci occuperemo più nello specifico della portata e del valore del referendum di ottobre.
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
19 Aprile 2017
15 Marzo 2017
7 Dicembre 2016
5 Dicembre 2016
5 Dicembre 2016
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
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