Oramai sul tetto del mondo, i Muse si possono permettere di vomitare le loro perverse quanto cafone idee musicali senza conseguenze alcune, grazie al loro budget illimitato e allo sciame di ragazzine fedeli come vassalli, disposte ad ascoltare pure i peti di Bellamy, se venduti in formato CD.
Se il precendente “Resistence” è stato una banale raccolta di canzoncine pop, questo ” nuovo album” è un cocktail semi-letale formato dai soliti odiosi cavalli di battaglia del trio più elementi plagiati a ramdom dagli ultimi 30 anni di musica rock, il tutto condito con parti dubstep messe a cazzo, strizzando l’occhiolino ai fan di del genere. Il tutto avvolto dalla solita viscida patina di magniloquenza e aulicità che dovrebbe servire a nascondere la piattezza di questo orrore musicale.
Questo album è facilmente definibile come un “Sandwich di merda” (scusa, Gianni):
Se la traccia iniziale e le due finali sono orecchiabili (La prima presenta persino un accenno di poliritmia) il resto è qualcosa di inenarrabilmente piatto, brutto, noioso e “plasticoso”.
Uno degli elementi caratteristici del “gruppo” è come sempre sempre la voce di Bellamy, che per le sue abilità canore che passano dal noioso al terribilmente fastidioso potrebbe senza problemi unirsi agli Big Bang.
Menzione a parte meritano i cori.I DANNATISSIMI CORI.
Realizzati ineccepibilmente (sfido, con quella montagna di soldi a disposizione), riescono ad essere sia inutili che fastidiosi, trovandosi ovunque senza alcun criterio (tranne quello di copiare i Queen).
Il songwriting è qualcosa di talmente dozzinale da non meritare nemmeno commento.
Infine, da un punto di vista puramente tecnico:
Se di robaccia senza pretese se ne sente tanta, i Muse hanno la pretesa di definirsi grandi artisti e sperimentatori, con un album che sembra gridare “Guardate quanti soldi abbiamo e quanto strano suoniamo”, il cui unico valore è quello di non essere troppo lungo.
E smettetela di plagiare i Queen.
Mercury si sta rivoltando nella tomba.
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