Il 7 Settembre si sono aperte le Olimpiadi. Di nuovo. Pensavamo di esserci liberati dell’evento massivo dell’anno, che a causa del nostro giovanissimo ma infortunato saltatore in alto (in combutta con mamma Rai) ha scatenato in noi dei PTSD degni del miglior Vietnam, data la capacità del buon Gianmarco Tamberi di esprimere giudizi ed opinioni praticamente su tutto.
Fortunatamente l’uomo resosi famoso al webbe e al volgo italiano per la sua mezza barba è tornato a casa. Perché queste non sono le vere Olimpiadi: sono le Paralimpiadi, una crasi tra parallele (nel senso di parallelismo alla “normalità”) e Olimpiadi. E in un certo senso sono anche meglio.
Innanzitutto sono capaci di generare memes già dalla cerimonia di apertura, poiché obiettivamente non si può fare a meno di ghignare per la scelta alquanto infelice degli organizzatori su uno degli ultimi tedofori con difficoltà di deambulazione. E perché l’internet culture non perde mai un’occasione per riutilizzarla per i propri scopi da suprematisti bianchi, obiettivi degli “Alt-Right” che abbiamo scoperto da poco coinvolgano una rana disegnata male nonostante il suo creatore non appoggi la causa.
Ma c’è un altro motivo per cui possiamo senza dubbio dire che sono migliori: mentre le Olimpiadi “normali” sono lo sfoggio di fisici da urlo, abilità che rientrano in percentili bassissimi e tanto sacrificio, le Paralimpiadi sono l’esaltazione dell’anormalità e del non arrendersi mai.
E noi italiani abbiamo parecchi esempi eccellenti. Perché la federazione guidata dall’ottimo Luca Pancalli è una piccola eccellenza, tanto da aver raggiunto (ad oggi) il 10mo posto nel medagliere con 31 medaglie.
A 50 anni, dopo aver subito un’amputazione doppia delle gambe, non è da tutti riciclarsi in una specialità mai praticata fino ad un decennio prima e diventare 8 volte campione del mondo e vincitore di 2 argenti e 3 ori Paralimpici, di cui a Rio (finora) un oro individuale ed un argento nella doppia in linea. Stiamo parlando, nello specifico, di Alex Zanardi.
Pilota automobilistico che, dopo essere passato con una massiccia dose di sfiga per la Formula 1 in due periodi distinti, pensava di aver trovato la sua fortuna nella Champcar (anche conosciuta come CART, ora Indicar): tale categoria gli aveva regalato ben due titoli nel biennio 97-98 e nel 2001 aveva tentato un ritorno in un team giovane, ritorno che tuttavia si è rivelato costellato di difficoltà.
Il destino spesso è crudele: proprio il 15 settembre di 15 anni fa, quando stava finalmente dominando al Lausitzring, a 13 giri dalla fine (dopo essere partito 22esimo dalla griglia causa qualifiche non disputate per pioggia) nel rientrare dopo una sosta ai box trova una macchia di olio ed acqua in traiettoria e finisce in testacoda. Le velocità sugli ovali della categoria, peculiarità di questa disciplina automobilistica, sono altissime e l’incolpevole Alex Tagliani non riesce a evitarlo. L’impatto è devastante: macchina completamente distrutta ma soprattutto amputazione sul colpo di entrambi gli arti inferiori.
Ma Alex è fatto di quella fibra emiliana forte e non si dà per vinto. Dopo qualche mese riesce a rimettersi in piedi e a camminare con le protesi, già nel 2003 si mette al volante di una monoposto appositamente modificata per completare i 13 simbolici giri rimanenti sull’ovale tedesco; per dimostrare a se stesso e al mondo che si può guidare bene anche senza arti inferiori decide di prendere parte e vincere il Campionato Italiano Superturismo del 2005, partecipando a varie stagioni di WTCC con qualche vittoria in gara. La sua ultima apparizione in pista risale al 2014 per la Blancpain Sprint Series.
Tuttavia è nel 2007 che decide di dedicarsi all’handbike, partendo dalla maratona di New York. Diventa subito un’escalation di successi fino ai campionati mondiali e alle medaglie paralimpiche. Nel tempo libero trova anche la maniera di condurre una trasmissione sul terzo canale di mamma Rai.
Una storia abbastanza parallela a quella di Zanardi è forse quella di Giusy Versace. Figlia del cugino dei tre fratelli stilisti dell’omonima casa di moda, entra nell’azienda di famiglia e si occupa anche lei di moda. All’età di 28 anni, il 22 agosto 2005 subisce un grave incidente sulla Salerno-Reggio Calabria e le vengono amputate entrambe le gambe. Anche lei non si lascia abbattere dalla tragica fatalità e nel 2007 torna alla guida.
Con delle protesi in fibra di carbonio nel 2010 inizia a correre, diventando la prima atleta donna italiana con doppia amputazione agli arti inferiori a calcare la pista, con l’ausilio ovviamente di un paio di protesi in fibra di carbonio.
Già nel 2012 persegue e raggiunge il record europeo di categoria sui 100 m piani, che però non le vale la qualificazione per i giochi Paralimpici di Londra, ma ormai gli ostacoli superati da Giusy sono tantissimi e si accaparra la bellezza di 11 titoli italiani. Nel 2014 vince la trasmissione di punta del sabato sera di mamma Rai volteggiando sulle sue protesi con una leggiadria e ed eleganza unica, da vera professionista.
Nel 2015 conduce, sempre in seno a mamma Rai ma stavolta sul secondo canale, la Domenica Sportiva, in coppia con Alessandro Antinelli. Nel 2016 si aggrega per gli allenamenti alla primavera delle Fiamme Azzurre, il gruppo sportivo della Polizia Penitenziaria.
In queste paralimpiadi gareggia su ben tre distanze: 100, 200 e 400. Purtroppo durante la semifinale della sua distanza di punta (valsale un bronzo Europeo), la più lunga, ha commesso un errore sbandando in corsia e toccando la linea, cosa che le ha valso la squalifica. Sui 200, dove è argento Europeo in carica, non riesce a ripetere la prestazione della semifinale e finisce ottava.
Tante storie di atleti paralimpici trattano di amputati purtroppo, ma Bebe ha forse la storia più particolare di tutti. Una storia portata alla conoscenza del grande pubblico non da mamma Rai in questo caso, ma da una puntata del programma di Marco Berry “Invincibili” andato in onda su Italia 1 nel 2010.
La 19enne veneta Beatrice Vio muove i suoi primi passi nella scherma alla tenera età di 5 anni; tuttavia a fine 2008, all’età di 11 anni, viene colpita da meningite fulminante, che obbliga i medici a eseguire una quadriamputazione di avambracci e gambe causa necrosi. La malattia la lascerà anche quasi irrimediabilmente sfigurata sul volto e la costringerà in ospedale per 104 giorni.
Ma alla sua dimissione dall’ospedale, complice una famiglia che la supporta e dei nonni a completa disposizione (che colgo l’occasione di salutare e ringraziare per l’aiuto datomi in una circostanza fortuita un paio d’anni fa…), anche lei inizia la sua battaglia per ritagliarsi il suo angolo di normalità, incominciando con il fondare subito una Onlus nel 2009 stesso.
Riparte dalle sue 3S: Scherma, Scuola e Scoutismo. Ed è proprio sulla prima che si concentra di più, passando, per sua stessa ammissione, dall’essere “una delle tante” ad una vera e propria guerriera del fioretto. Nel 2010 torna in pedana, assistita da una carrozzella e da una protesi apposita per sostenere il fioretto. Diventa prima campionessa italiana Under-20 nel 2011, poi assoluta nel 2012 e nel 2013. Nel giugno 2014 a Strasburgo vince il titolo europeo assoluto di categoria “B” di fioretto paralimpico, sia individuale che a squadre.
In accordo con la carriera agonistica del suo mito Valentina Vezzali, la fame di vittorie di Bebe non si ferma qui, e già nel settembre 2014 vince il campionato mondiale Under-17, poi delle gare di coppa del mondo, fino ad arrivare alla consacrazione del mondiale assoluto del 2015.
Grazie alla sua energia vince numerosi altri premi ed onorificenze extra-sportive, diventando un tedoforo di Londra 2012 e testimonial per la regione Veneto ad Expo 2015, oltre che vincitrice del premio Italian Paralimpic Award nel 2014, conferitogli dalla Federazione Paralimpica Italiana stessa.
Non si tira indietro neanche nel portare la sua testimonianza ai ragazzi dell’Agesci riuniti a San Rossore per la Route Nazionale, come si legge al fondo di pagina 4 di quest’articolo.
L’atleta nella ricca giornata di ori italiani del 14 settembre rifila un “tennistavolistico” in finale 15-7 alla sua avversaria cinese, dopo aver annientato un’altra cinese in semifinale 15-1 ed una polacca ai quarti con 15-6, laureandosi campionessa paralimpica.
Sarebbero ancora tanti e forse troppi gli atleti paralimpici italiani da nominare, ma per brevità è impossibile citarli tutti.
La gran parte li ha raccolti la Gazzetta dello Sport, un altro esempio eccellente di atleta molto famosa, anche se attualmente ritirata, è la cantante Annalisa Minetti, bronzo nei 1500 a Londra 2012.
La federazione guidata da Luca Pancalli è e rimane una federazione molto forte e piena di eccellenze soprattutto nell’atletica, disciplina nella quale vanno segnalati senz’altro due atlete: la prima è Martina Caironi, anche lei amputata in seguito di un incidente in moto all’età di 18 anni, portabandiera in questa manifestazione, detentrice di due record del mondo di categoria su 100 m e 200 m e fresca di argento sul salto in lungo, che ha dedicato ai cittadini di Amatrice recentemente colpiti dal terremoto del 24 agosto.
La seconda è Oxana Corso, una dei sei atleti italiani plurimedagliati a Londra nel 2012 con due argenti di categoria all’età di appena 17 anni (era anche la più giovane partecipante di sempre), la quale purtroppo in questa manifestazione non è andata oltre il quinto posto nella finale della classe regina, con una certa polemica ripresa addirittura dal Comitato Paralimpico Italiano. Il suo tempo alla Paralimpiade è di appena 4 centesimi superiore al suo personale, peraltro anche record del mondo di categoria finora, quindi qualche dubbio sull’omogeneità delle categorie su una vittoria da parte di atlete in grado di staccarla di 2 secondi netti permane.
Ma alla fine le Paralimpiadi sono un grande evento sportivo, e come tutti è soggetto a polemiche, a cominciare dall’esclusione Russa decisa dal TAS. O anche le piccole stranezze di questi eventi, dove gli atleti paralimpici, dal primo al quarto, riescono a battere il tempo dell’oro olimpico di appena un mesetto prima nella gara dei 1500 m.
Le Paralimpiadi non sono semplicemente le Olimpiadi dei disabili, sono le Olimpiadi dei sognatori, perché dimostrano che anche chi ha subito o è nato con gravissimi danni fisici (e talvolta mentali) è in grado di compiere imprese degne delle persone “normali”, e talvolta andare oltre. Servono a tutti per dire che non solo “l’importante non è vincere ma partecipare”, come recita una citazione erroneamente attribuita all’inventore delle Olimpiadi moderne Pierre de Coubertin ma che, in fondo, per arrivare davvero in alto, l’unico ostacolo siamo noi stessi.
Qualora voleste seguirle, mamma Rai ha una copertura continuativa degli eventi singoli anche in diretta web. Per quanto riguarda i social media il Comitato Italiano Paralimpico pubblica aggiornamenti continui sugli atleti, mentre il portale d’informazione ilpost.it ha una sezione dedicata alle Olimpiadi, che viene aggiornata quasi quotidianamente anche per le Paralimpiadi.
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