“Tre, sei, otto, dieci, quindi… unduetrequattrcinq… dieci e quindici, Ciccio, cominci tu in porta, cambio ogni due fatti ed ogni subito”: quante volte abbiamo sentito queste parole da piccoli, o durante il calcetto del mercoledì con gli amici? In uno sport di piedi i portieri sono un mondo a parte, e per questo hanno goduto di considerazioni tutte particolari, dai livelli più bassi a quelli più alti. Puoi fare il Dio per una partita, ma basta un errore e comprometti risultato e reputazione [allegare link papera Posavec @Napoli]. Ma ad est dell’oceano Atlantico, a Sud della futura barriera di Trump (Sorry USMNT, ma ne riparliamo quando avrete altro oltre ad Howard [highlights vs Belgio]), dove la tradizione calcistica è quasi pari alla mamma Europa se non superiore per alcuni talenti, la tradizione dell’Arquero (Goleiro per i nostri amici carioca) è considerata carente. Ma lo è davvero?
In Brasile, re di coppe con i suoi cinque titoli mondiali, ma con i bambini che nelle favelas pensano a sopravvivere e a fare elastici al vicino di casa, il primatista di presenze è Taffarel: antesignano dei portieri con i piedi buoni, con una carriera di tutto rispetto, ma niente di eccezionale. Oltre a lui abbiamo poi gente dalle alterne fortune come Dida e Julio Cesar, famosi per i loro miracoli, ma non emblemi di costanza assoluta; quella splendida anomalia statistica che è Rogerio Ceni, famoso più per le sue gesta sui calci piazzati che tra i pali; fonti di paperissime continue come Heurelho Gomes e Doni (quello ex-Roma, e sempre rimanendo nella Capitale, l’attuale titolare della Selecao è il secondo di Szczesny, Alisson). Tornando indietro nel tempo, spiccano le 82 presenze di Emerson Leao, ma non le sue doti: era un buon portiere, ma più che altro spettatore privilegiato delle gesta del Brasile degli anni 70. Menzione d’onore per Moacir Barbosa, protagonista maledetto della partita più psicodrammatica della storia, il Maracanazo.
Nella selecciòn albiceleste la situazione è anche peggiore: il primatista per presenze, nonché attuale titolare, è Sergio Romero. Portiere nella norma, ma stride il contrasto tra un reparto offensivo che si può tranquillamente permettere di lasciare Icardi a casa (anche se Pratto…) e la titolarità di un giocatore che ha faticato a trovare posto da primo portiere alla Sampdoria, nonché attuale riserva di De Gea al Manchester United. Fra i contemporanei e nel passato più recente spiccano pochi nomi noti ad alti livelli, e stiamo parlando di portieri che hanno faticato ad alti livelli: Carrizo (secondo di Handanovic all’Inter), Andujar (tornato in Argentina dopo un breve girovagare sul suolo italico nel regno delle due sicilie, tra Palermo, Catania e Napoli), il Mono Burgos, attuale secondo di Simeone all’Atletico Madrid e colonna portante del River degli anni ’90, ed il Pato Abbondanzieri, saracinesca su cui ha costruito il suo dominio il Boca Juniors di Carlos Bianchi.
Ma quello che unanimemente è considerato il miglior portiere della storia argentina è un altro “papero”: Ubaldo Fillol. Considerato una Leggenda in patria per le sue parate molto spettacolari, il suo carattere molto orgoglioso (che secondo molti gli costò l’esclusione ai mondiali ’74 ed ’86) ed il ruolo fondamentale nel vittorioso mondiale del ‘78 (dove vestiva il numero 5, per regolamento della AFA che assegnava i numeri in modo alfabetico). Un’altra menzione la merita Amedeo Carrizo, tra i migliori della storia per l’IFFHS, nonché il primo portiere ad utilizzare i guanti, per difendere i pali del River Plate (la Maquina degli anni ’40).
In Messico fa capolino Jorge Campos, famoso anche per essere stato, alle volte, attaccante di movimento (oltre per le sue divise faboulous disegnate da egli stesso). In Uruguay, l’ex Laziale Muslera detiene, oltre a quello delle presenze tra i pari ruolo, il record di portiere più giovane ad aver giocato delle semifinali mondiali; distaccato Carini (noto per motivazioni extracalcistiche).
Negli altri paesi latinoamericani, 5 nomi balzano all’occhio, di cui due parte integrante della Storia calcistica a pieno titolo. In Paraguay Justo Vilar, noto in Europa per essere andato molto, molto vicino a bloccare la Spagna mangiatutto in Sudafrica, ha sorpassato il record di presenze di Chilavert (Get a Man that can do you both): altro portiere realizzatore, è membro fisso di qualsiasi top 10 storica del ruolo a livello mondiale; in Colombia, René Higuita non pensiamo abbia bisogno di presentazioni.
Tornando ai giorni nostri, gli ultimi nomi sono Keylor Navas e Claudio Bravo, che sono anche la motivazione che ci ha spinto a scrivere questo articolo. Ossia, Portieri bravi, di un certo livello chiaro, ma non all’altezza (specie il secondo) dei ruoli che hanno ricoperto e che ricoprono. Bravo, voluto fortissimamente da Guardiola al City, si è segnalato più per i suoi disastri che per i suoi meriti, se non in Nazionale; Navas sembra capitato al Real per caso e rimasto per ancora maggiore caso (cfr. Caso Casillas e scambio De Gea). Il fatto che questi due siano i maggiori esponenti latinoamericani del ruolo fa pensare allo stereotipo che vuole come i latinoamericani “scarsi” nel difendere i pali. Certo, la scuola al momento è carente (ma in generale tutto il continente è in una leggera “crisi”, di risultati e di talento), ma guardando al passato si può vedere come, nonostante il livello medio non sia propriamente esaltante, fenomeni di talento assoluto sono nati anche da questo lato dell’atlantico.
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