Nell’immagine in evidenza qui sopra lo Shuttle Atlantis prima del docking con la MIR
Chiunque ha sentito parlare della MIR. La stazione sovietica (poi russa) è stata per anni l’unico avamposto fisso in orbita terrestre, fino al suo rientro in atmosfera e all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale. L’astronauta statunitense Charlie Precourt l’aveva descritta come “umida, sa di cantina“[1]. Con queste poche parole si potrebbe riassumere il clima a bordo della MIR. Dopo aver lasciato l’asettica cabina dello Shuttle e aver varcato il portello di ingresso alla stazione, gli astronauti americani venivano investiti da una coltre di aria pesante, calda e stantia. [1]. Seriamente. Sono anche state trovate diverse colture di funghi e batteri[2][3].
Diciamo che se la MIR fosse stata un ristorante e l’equipaggio dello Shuttle Atlantis un cliente, la stazione non avrebbe fatto una bella figura su Trip Advisor. Fatto sta che probabilmente gli americani avrebbero dovuto abbassare ulteriormente le aspettative, considerando ciò che li aspettava.
Siamo nel 1997 e, nonostante i costanti aggiornamenti, la stazione era un rottame. Letteralmente. L’agenzia spaziale russa RKA aveva subito un pesante taglio al budget (80%) per la caduta dell’URSS, inoltre il solito ostruzionismo erede dell’epoca sovietica certamente non migliorava la situazione. La NASA aveva infatti stipulato un accordo con RKA per 9 voli Shuttle con destinazione MIR: lo Shuttle sarebbe dovuto rimanere attraccato alla MIR per circa 5 giorni, lasciando sulla stazione un astronauta americano alla volta. Spesso però, l’agenzia americana veniva tenuta all’oscuro (o avvisata in ritardo) di ciò che avveniva nell’avamposto. I guai cominciarono presto, già a Febbraio, con un incendio (durato ben 15 minuti) al generatore di ossigeno Vika[4]. Un incendio è una situazione decisamente poco auspicabile per l’equipaggio, che dovette indossare le maschere antigas finché il fumo tossico non venne filtrato ed espulso dalla stazione. I russi cercarono di sminuire l’accaduto, parlando di una fiammata durata circa 90 secondi.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. E cosa può essere peggio di un incendio a bordo? Il 25 giugno i cosmonauti Tsibliev e Lazutkin (insieme all’americano Foale) iniziarono un re-docking della navetta cargo Progress M34, per testare il sistema di attracco manuale TORU[4]. I precedenti non erano un granché, considerando che poco tempo prima la Progress M33 smise di rispondere ai comandi e slittò via incontrollata passando a 200 metri dalla stazione. Questa volta però, la fortuna abbandonò l’equipaggio. Tsibliev riprese le manette dei comandi, ma verso la fine della procedura i contatti con il cargo cessarono. Gli occupanti della MIR osservarono sbigottiti e impotenti la lenta deriva del veicolo Progress, che si stava inesorabilmente avvicinando al modulo Spektr: prima impattò contro uno dei quattro grandi pannelli solari, poi si schiantò contro il modulo. Il tutto avvenne senza avere contatto con Mosca, essendo fuori dal raggio delle comunicazioni. Si aprì uno squarcio di pochi centimetri, sufficiente però a causare la depressurizzazione della stazione.
Il modulo Spektr danneggiato nell’impatto con Progress M34
E questa non fu una perdita proprio lentissima, gli sventurati astronauti sentirono infatti un inquietante sibilo e il classico “pop” nelle orecchie. Panico completo: l’equipaggio tagliò i cavi e i tubi che collegavano Spektr e il resto della stazione, chiudendo il portello e stabilizzando temporaneamente il complesso.
La situazione rimaneva però di eccezionale pericolo: un modulo completamente inutilizzabile ed alimentazione elettrica ridotta. Uno dopo l’altro iniziarono a fallire i vari sistemi di controllo della Stazione: riciclo della CO2, i giroscopi, i sistemi di rotazione automatica dei pannelli. Tutto ciò peggiorò ulteriormente le condizioni dell’equipaggio.
Senza energia, senza controllo di assetto e con il livello dell’anidride carbonica in salita. Con i controlli manuali dei pannelli solari si raggiunse un livello accettabile, ma Mosca ancora non forniva risposte su come risolvere la questione Spektr. Tsibliev ebbe un lampo di genio: utilizzare le tute per l’attività extra veicolare (le ingombranti tute Orlan utilizzate nelle operazioni all’esterno) per entrare nel modulo depressurizzato[4]. RKA e NASA accolsero l’idea, per cercare di salvare il modulo o almeno ricollegare uno dei tre pannelli sopravvissuti all’impatto. L’equipaggio iniziò i preparativi per le riparazioni, ma un altro inconveniente ritardò ulteriormente i piani. Uno degli astronauti per errore staccò un cavo che dal modulo Kristall si collegava al sistema centrale di assetto, causando un altro malfunzionamento a catena che mise di nuovo KO la stazione. Mosca decise di rinviare le riparazioni (con disappunto dell’equipaggio), rimandando le attività alla missione Soyuz successiva (la 26)[5].
Una delle poche immagini dell’attività di riparazione di Spektr
Gli sforzi per rimettere la MIR a regime servirono però relativamente, in quanto l’avamposto si era già avviato verso la fine della sua vita operativa. La stazione fu fatta rientrare in atmosfera nel 2001, mettendo fine a 15 anni di attività. E di sfiga.
Per approfondire:
3 Aprile 2017
16 Marzo 2017
28 Febbraio 2017
15 Ottobre 2016
17 Settembre 2016
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.