“A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta.”
Prima che fosse smentita, con una lettera aperta sul Giornale di Sicilia, una delle picconate di Cossiga raggiunse anche il pool di magistrati antimafia di Agrigento, in cui Rosario Livatino aveva servito lo Stato fino a 8 mesi prima. Livatino fu successivamente beatificato, confermando che in Italia si celebrano i martiri della giustizia solo una volta morti, e che mancarono, stando alle parole di Borsellino, “quegli interventi che mettono la giustizia in condizione di lavorare”.
Il trentottenne Rosario Livatino si recava in tribunale, senza scorta, quando fu ucciso da 4 sicari della Stidda Agrigentina. Era scomodo ed era un simbolo. Doveva essere eliminato, per rimuovere un giudice severo e per affermare la forza e l’indipendenza della Stidda rispetto a Cosa Nostra. Era il 1990, Livatino aveva assunto la carica di giudice a latere pochi mesi prima, dopo aver esercitato le funzioni di sostituto procuratore per 10 anni; anni in cui aveva condotto indagini che si svilupperanno nella “Tangentopoli siciliana”. Il 21 settembre di 26 anni fa l’agguato sulla SS640, la superstrada Canicattì-Agrigento.
Il testimone oculare Pietro Nava, altra vittima del dovere civico, rese immediata deposizione e risultò fondamentale nell’individuazione degli esecutori materiali del delitto.
Un “giudice-ragazzino”, fresco di studi e pronto a proporre metodi e soluzioni efficaci per contrastare il fenomeno mafioso, dal lato del diritto.
Il magistrato aveva compreso, assieme ad altri, che uno degli strumenti più efficaci per assestare colpi decisivi alle organizzazioni criminali era quello di “seguire i soldi”. Attraverso il monitoraggio dei flussi di denaro, ebbe modo di scoprire gli intrecci delle cosche e i collegamenti con gli imprenditori che riciclavano denaro e con i politici, che promettevano favori e distribuivano appalti. E con la confisca dei beni, era convinto di poter sottrarre i fondi e i beni ottenuti in modo illecito. La convinzione era supportata dai dati e dalle ricerche di enti, centri studi, ricerche ed evidenza empirica. Uno dei colpi definitivi al potere di Escobar, in Colombia, fu quello della chiusura dei canali di approvvigionamento del denaro.
Livatino aveva dimostrato l’efficacia della misura di sicurezza patrimoniale, idonea a prevenire la commissione di nuovi reati: con la confisca, si eliminano i beni che manterrebbero viva l’idea e l’attrattiva del reato.
E riteneva che fosse necessario modificare l’art. 240 del codice penale: la previsione della confisca solo in via facoltativa, per i beni che rappresentino il prodotto o il profitto del reato, avrebbe costituito il vulnus della disciplina.
Venti anni dopo, è stata fondata l’ANBSC, che provvede alla gestione e alla riqualificazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata.
Tuttavia l’Agenzia necessita di un migliore contesto normativo in cui poter operare, in particolare per la gestione delle imprese.
La strada è ancora lunga.
Ventisei anni dopo, non sono ancora intervenute quelle modifiche richieste per garantire misure efficaci di contrasto al fenomeno mafioso, tra cui quella dell’art. 240 cp.
Borsellino ebbe modo di dichiarare: “[…] che questa cerimonia, in quest’aula dedicata a Rosario Livatino, ha sicuramente il significato di doveroso riconoscimento alle doti di questo collega. Però questa “tabella” [targa commemorativa], che intitola quest’aula, è anche un grosso richiamo e denuncia. […] Dopo la morte di Rosario Livatino noi abbiamo visto tutti fare dichiarazioni, dicendo che l’amministrazione della giustizia non doveva essere tenuta in queste condizioni […]. E poi che cos’è avvenuto? È avvenuto che dopo ben due mesi dalla morte di Rosario Livatino la giustizia […] è paralizzata”.
Ventisei anni dopo, Canicattì ricorda il suo giudice.
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
23 Marzo 2017
30 Ottobre 2016
16 Luglio 2015
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
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