Le pubblicità occupano gran parte della nostra vita. Se prendiamo in considerazione anche il solo tragitto casa-lavoro/scuola la nostra retina cattura, tra un palazzo e l’altro, padelle con facce simpatiche, immense cifre percentuali, gelati che fanno battute scadenti, battute scadenti anche senza gelati, donne e uomini mezzi nudi dalla presenza totalmente gratuita (alla faccia del sessismo eh?). Ma la pubblicità è presente anche su qualsiasi canale televisivo, e in questo caso è considerabile una vera e propria perdita di tempo. Non tutte le pubblicità, però, sono irritanti o mere esposizioni di prodotti.
Negli anni la pubblicità, da semplice vetrina, è diventata uno strumento per descrivere esperienze fantastiche e illuminanti in cui il prodotto (o brand) diventano il mezzo che rende significativa quell’esperienza. Per cui 30enni nostalgici si trovano a pensare a “come si stava meglio quando si stava peggio”, a bordo di una barca a vela, bevendo QUELLA birra, o 50enni pieni di soldi il cui unico pensiero è prendere le distanze da perzone falze, anche loro piene di soldi, indossando QUEL profumo. Altre pubblicità sono invece delle piccole perle che riempiono l’attesa tra un programma e l’altro e, magari, fanno anche pensare a qualcosa di più costruttivo della Marini che scoreggia. Ecco dunque una breve classifica delle pubblicità che ho amato e che mi hanno procurato un irritante prurito alle mani. Ce n’era davvero bisogno? No. Le classifiche sono del tutto arbitrarie e costituiscono la mia unica e sola opinione, ovvero la verità assoluta.
Perciò eccoci all’appuntamento (powered by IMDI) in cui esplicito la mia opinione in forma totalmente gratuita sulle pubblicità che incontro. D’altronde, se Selvaggia Lucarelli può dire la sua sulla qualunque, posso farlo anche io. E diamolo un senso a ste lauree!
Si sta come la tristezza, sul divano, un ragazzo che mangia uno yogurt bianco. Dovrebbe essere la pubblicità di uno yogurt di una catena di supermercati in cui si punta sul fatto che possa essere buono tanto quanto/se non più degli yogurt di grandi marche. Invece, punta sulla fortuna di aver ricevuto come consiglio il mangiarlo. Consiglio considerato come unica cosa buona che l’ex gli abbia lasciato. Poi si rompe un vaso senza un apparente motivo.
Pessima costruzione dello stereotipo dello “studente sfigato che ha appena cominciato a vivere da solo, la cui sorte gli è avversa perché gli si rompe un vaso senza che nessuna regola fisica sia intervenuta”. Senza contare che la stanza fosse completamente in ordine e arredata con un certo senso. Pura fantascienza.
Un genitore siede su un divano con una musica triste. Dice di non avere mai tempo per i figli perché “fa cose”. Ma poi, “inaspettatamente”, viene proiettata un’intervista in cui i figli mettono in campo le fantastiche esperienze che vivono con lui: l’altalena, le gite, le cinghiate sul culo, le cure amorevoli con i fiori di bach. Allora il genitore si commuove. “Allora non sono un pessimo genitore, loro mi amano”. Sempre “inaspettatamente” i figli escono dalla parete su cui era proiettata la confessione d’amore. Tutti si abbracciano. Tutti sono felici. Il marchio ti ricorda che “ogni momento insieme conta”. Un modo gratuito per farti commuovere e immedesimarti, soprattutto se sei un genitore medio. Fake and gay.
È consigliata dalle Iene. Ogni commento è superfluo.
Una donna, al posto di sedersi sul letto, preferisce usarlo come schienale e appoggiare le natiche sul pavimento. Sogna un coccodrillo che le trovi lavoro in tempo zero. Il coccodrillo l’avverte che già che è un sogno può immaginare tutto quello che vuole, come una scrivania piena di dolci hipster nemmeno degni di questo nome. La pubblicità è talmente curata che la morale sembra “immagina quello che ti pare, tanto il lavoro rimane un sogno”. Ah, c’è anche un uomo mezzo nudo coperto di cioccolato, oggettizzato e sessualizzato. Ma è un uomo, quindi non frega un cazzo a nessuno.
Mani, mani, mani, mani, mani, mani (che disegnano?), mani, mani, mani, mani (che cucinano?), mani, mani, mani (che impastano?), mani, mani, mani (ah, sono lavori manuali), mani, mani, mani (cercano le chiavi?), mani, mani (no, cuciono), mani, mani (che indicano?), mani, mani, mani (ah, è un falegname. Malandrini!), mani, mani, mani (no, impasta e fa tortelli), mani, mani, mani, mani, mani (e poi liberano uccelli. C’è una metafora sessuale che dovevo cogliere?), mani, mani, mani. 30 secondi di pubblicità di cui 15 passati a ripetere “mani”. 30 secondi di pubblicità con un filtro in bianco e nero a caso. E alla fine fanno solo divani costosi. Fate il conto di quanti intervalli di 15 secondi perdete a sentire ripetutamente “mani” ogni giorno. Ho passato momenti migliori e più costruttivi in fila sulla Paullese, senza radio, con un tergicristallo consumato e solo pioviggine.
Su questa ho ben poco da dire. È un trip tra fiori e altre amenità colorate senza alcuno scopo se non quello di attirare l’attenzione. Alla fine la tizia si trova su un aereo e compare il nome della compagnia. Sono sicuro che nella testa del creatore ci sia un senso, ma devo ancora capirlo. È uno spot poco impegnativo e che muove l’interesse spingendo a chiederti “cosa cazzo sto guardando?”. Ma senza prendersi troppo sul serio.
Puoi essere un padre che prende il tè con la figlia, un uomo con il parrucchino, una coppia vecchia e rugosa che pratica nudismo, un ciccione con la passione per i mici pucciosi, una cretina che balla, due bambini che giocano a tennis con delle padelle (???), un disagiato che scola la pasta con una racchetta (???), un pensionato mangia biscotti a tradimento, un bambino che fa scommesse clandestine su corse di rane (???) o un uomo che si prova abiti da donna allo specchio (legit), l’azienda famosa per fare mobili componibili a prova di scemo e per le polpette con la marmellata non lo dirà a nessuno. C’è quel pizzico di no-sense che sta bene ovunque: un ottimo esempio di come si può far emozionare il consumatore, senza esagerare.
Luca Argentero non riesce proprio a fare colazione. Meno male che c’è quella famosa crema spalmabile al cioccolato e nocciola che ha pensato a lui. La pubblicità è ironica quel tanto che basta. E Argentero è un figo, talmente figo da mettere in secondo piano il prodotto reclamizzato. Ma c’è Argentero, e va bene così.
Il tema di fondo è sempre lo stesso: per prendere un caffè come si deve bisogna andare in culo a Cristo. Letteralmente. La cosa ironica è che Crozza fa più ridere in questo spot che nei suoi spettacoli (che ogni tanto sono meh). Ottima idea dell’azienda che ha saputo sfruttare la peculiarità dell’artista di far comparire a schermo più copie registrate e sincronizzate dei suoi personaggi. Non ridevo così per una pubblicità dei tempi di Aldo, Giovanni e Giacomo nella nota pubblicità per quello yogurt liquido e acidognolo fatto solo con ingredienti italiani.
Qui non faccio riferimento ad un singolo spot, ma ad un ciclo di spot della griffe nota per avere tutti i colori uniti su sfondo verde. Queste pubblicità sono di appena 15 secondi e mi sbilancio nel definirle piccole perle. Dalla tristezza alla lussuria, dalla frustrazione all’allegria, questi spot riescono a strapparti un sorriso ogni volta che compaiono sullo schermo. Lo slogan dice semplicemente “clothes for humans” sottolineando quest’ultima parola: in questa frase riescono a mettere in rilievo le debolezze e le unicità che rendono l’essere umano, tutto sommato, “umano”, cosa c’è di più reale di una ragazza che fa un colloquio di lavoro online che sotto la scrivania indossa solo mutande? Un piccolo appunto voglio farlo per lo spot intitolato “mom and dad”. Inquadratura su una foto di quelli che apparentemente si pensa siano i “genitori”; una mano abbassa la cornice e… e poi si fa l’amore. “Clothes for humans” e fanculo il bigottismo.
Con una laurea e tre quarti in psicologia sociale mi diletto nella pasticceria e nel scrivere racconti sconclusionati. Il mio sogno è avere un grado di autorevolezza tale da permettermi di dire a tutti che i loro ragionamenti sono sbagliati senza farmi picchiare. Ecco perché scrivo per IMDI.
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Con una laurea e tre quarti in psicologia sociale mi diletto nella pasticceria e nel scrivere racconti sconclusionati. Il mio sogno è avere un grado di autorevolezza tale da permettermi di dire a tutti che i loro ragionamenti sono sbagliati senza farmi picchiare. Ecco perché scrivo per IMDI.
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