Proprio quando tutti credevano che il 2016 stesse iniziando a tirare i remi in barca e si potesse quindi iniziare a stilare le consuete classifiche e gli ordinari bilanci, ecco che l’anno più necrofilo di sempre ci stupisce con una morte che definire eccellente forse è riduttivo: proprio il 25 dicembre viene annunciata la scomparsa di George Michael, come a dire, mai Last Christmas fu più appropriato. Facile ironia a parte, colpisce la dipartita di un artista globale nel vero senso del termine, ancora nel fiore degli anni (era nato a Londra nel 1963), senza che si avesse conoscenza di problemi di salute o guai vari. Le frammentarie notizie fatte trapelare dall’entourage parlano di “morte serena”, probabilmente dovuta a un infarto. L’ironia diventa quindi più amara: last Christmas, he gave us his heart. Chi era quindi George Michael e perché la sua scomparsa fa tanto “rumore”?
Per Georgios Kyriacos Panayiotou il successo arriva agli inizi degli anni ’80 quando, diciottenne, decide di darsi il nome d’arte di George Michael e con Andrew Ridgeley forma gli Wham!. Il mondo del pop non sarà più lo stesso dopo di loro: immagine glamour e melodie easy listening con ritornelli catchy e videoclip iper patinati diventeranno praticamente lo standard. I loro pezzi, da Club Tropicana a Wake Me Up Before You Go Go, senza dimenticare la superhit delle feste Last Christmas, diventano pane quotidiano per la nascente MTV che inizia a trasmetterli in maniera quasi ossessiva, contribuendo in maniera sostanziale a una fama che diventa presto tanto grande quanto insostenibile. Dopo soli due album (Fantastic del 1982 e Make It Big del 1984, quest’ultimo contentente la celeberrima ballad Careless Whispers), un greatest hits e un megaconcerto di addio a Wembley, gli Wham! si sciolgono e George continua con la sua carriera da solista. Nel 1987 esce Faith, una vera e propria svolta per Michael che inizia anche ad avere i primi problemi con la censura: il cambio di immagine (da idolo teen a uomo sexy che strizza apertamente l’occhio agli stereotipi della comunità gay) e soprattutto i video sempre più ammiccanti accompagnati da testi inequivocabili (il primo singolo di Faith è infatti I Want Your Sex) gli valgono le prime polemiche che lui usa soprattutto per accrescere la sua popolarità e sottolineare il distacco con il passato.
Nell’immaginario dei suoi fan e non solo, gli anni ’90 sono il decennio che consacra George Michael a superstar internazionale, diventandone quasi un simbolo. Proprio nel 1990 pubblica il suo primo album da solista “ufficiale”, ovvero Listen Without Prejudice vol. 1 (non uscirà mai un vol. 2). Il lavoro è una dichiarazione d’intenti fin dal titolo: smessi i panni di teen idol, si pone come raffinato cantautore con brani intensi e ricercati e una precisa (non) scelta di immagine. Il disco, infatti, verrà accompagnato da una promozione durante la quale George non comparirà mai. Anche per il videoclip del primo singolo, Freedom ’90, la scelta è quella di far idealmente “sfilare” tutte le supermodelle che allora dominavano passerelle e riviste patinate (Christy Turlington, Linda Evangelista, Cindy Crawford) a cui viene affidato il compito di distruggere l’immagine da ex Wham, ovvero bruciando l’iconico giubbotto di pelle indossato nel video di Faith. La scelta paga fino a un certo punto: pur contenendo brani destinati a diventare dei classici, il disco inizialmente non realizza i numeri sperati. George Michael però non si fa scoraggiare e continua per la sua strada, realizzando un maestoso duetto con un mostro sacro del pop britannico, ovvero sir Elton John e la magnifica Don’t Let The Sun Go Down On Me. Nel 1992 ruba letteralmente la scena al Freddie Mercury Tribute, un megaevento benefico organizzato dai Queen per celebrare la nascita della fondazione intitolata a Freddie Mercury, scomparso pochi mesi prima: l’idea, per quanto sicuramente ottima sulla carta, si rivela però un mezzo flop quando gli ospiti chiamati sul palco a interpretare le grandi hit della band si dimostrano impreparati e non all’altezza del compito. L’unico che riesce nell’intento di coinvolgere tutto lo stadio di Wembley in una travolgente versione di Somebody To Love è proprio George Michael, che concede poi un intenso bis in duetto con Lisa Stansfield interpretando These Are The Days Of Our Lives.
Guai legali con la Sony, sua casa discografica fino ad allora, gli impongono un allontanamento forzato dalle classifiche praticamente fino al 1996, quando pubblica Older, ad oggi considerato il suo maggior successo di vendite: i singoli Jesus To A Child, Spinning The Wheel e soprattutto Fastlove vanno tutti al numero 1 e ci restano per settimane, mentre i video restano in heavy rotation su MTV e gli altri network musicali. La popolarità di George Michael è ormai largamente superiore al periodo Wham!, la maturità umana e artistica fanno sì che il suo nome venga consacrato nell’olimpo del cantautorato pop a livello mondiale e non più solo britannico o europeo. Prima che il decennio “magico” finisca, però, ci sono ancora delle sorprese. Nel 1998 viene arrestato a Beverly Hills: un poliziotto lo accusa di averlo adescato in un bagno pubblico. Il buzz mediatico è enorme e George coglie la palla al balzo per uno dei primi coming out dello showbiz: confessa la propria omosessualità e diventa un simbolo della community lgbt che lo elegge a vera e propria icona. L’episodio dell’arresto ricorrerà nella carriera di Michael con molta autoironia, come nel video di Outside, primo singolo estratto dalla raccolta Ladies & Gentlemen dello stesso anno.
L’inizio del nuovo millennio è dedicato soprattutto a tutta una serie di progetti paralleli e benefici a cui George Michael pensava evidentemente di dedicarsi da tempo, senza dimenticare la stretta attualità: post 11 settembre pubblica due singoli, Freek! e Shoot The Dog. Quest’ultimo è accompagnato da un video-cartoon satirico in cui prende apertamente posizione contro la guerra in Iraq e si prende gioco dell’allora presidente USA George Bush.
La giustizia, però, sembra non volerlo lasciare in pace: viene arrestato altre due volte, nel 2006 per guida in stato di ebrezza e possesso di cannabis e nel 2010 per essersi schiantato con l’auto nella vetrina di un negozio guidando ancora una volta sotto l’effetto di droghe. Questi episodi, i cattivi rapporti con i suoi colleghi musicisti che lo accuseranno di essere stato un po’ troppo ipocrita nei confronti della propria omosessualità e i numerosi ricoveri in rehab fanno sì che Patience del 2004 sia di fatto il suo ultimo lavoro in studio. Dopo, molti duetti, molte cover e molti tour in giro per il mondo, raccolte di successi in cui ogni pezzo è una pietra miliare, fino ad arrivare a Symphonica, del 2014, dove reinterpreta pezzi propri e altrui accompagnato da un’orchestra (sulla falsariga della “moda” lanciata dai Metallica).
Il suo last Christmas è il Natale 2016, che se lo porta via in silenzio, contrariamente al clamore che lo ha sempre contraddistinto in vita. Il suo lascito è consistente, sia in termine di crescita musicale che in termine di gestione della propria immagine. La coerenza con cui si è sempre mosso sia nel pubblico che nel privato gli è valsa tante critiche ma anche tanta stima da parte di un mondo in cui i passi falsi non sempre vengono perdonati facilmente. L’abilità e la furbizia con cui ha saputo trasformare in oro degli episodi che avrebbero stroncato la carriera di chiunque altro, hanno denotato un senso degli affari e una camaleontica capacità di adattarsi ai tempi non comune, in questo music biz caratterizzato da meteore usa e getta. Persino questa scomparsa sottotono, nel silenzio, inaspettata, appare perfettamente in linea con il personaggio che era diventato negli ultimi tempi, sobrio, elegante, persino serio. Se ne va così, dopo trentacinque anni sotto i riflettori in una notte di Natale, mentre tutto il mondo intonava ancora, per l’ennesima volta, la sua immortale Last Christmas.
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