Il suicidio assistito di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, 39enne rimasto cieco e tetraplegico dal 2014 in seguito ad un incidente stradale, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia in Italia. Dj Fabo infatti è morto in Svizzera, dato che in Italia non è stata ancora approvata una legge sull’eutanasia, né tantomeno una sul testamento biologico. In mancanza di normative chiare sulla questione, il quadro giuridico italiano sul tema rimane confuso.
Il rapporto tra medico e paziente è chiaramente una relazione asimmetrica: il paziente dipende completamente dal dottore e dalla sua competenza. Per secoli tale rapporto, definito prima dalla filosofia greca e rafforzato in seguito dall’etica cristiana, è stato contraddistinto da un forte paternalismo, improntato sui principi di beneficenza (fare ciò che è bene per il paziente) e di non maleficenza (evitare ciò che può causare danno al paziente). Il paziente quindi era un semplice destinatario delle cure per lui decise dal medico e senza alcuna voce in capitolo, sia per una mancanza di conoscenze (tanto tecniche quanto riguardanti la propria condizione clinica) sia per una presunta inabilità morale a decidere quali siano le scelte giuste per tutelare la propria salute.
Le cose cambiano con il Processo di Norimberga e la stesura del Codice di Norimberga; il cosiddetto Processo ai dottori ha affermato la libertà di autodeterminazione dei pazienti, ovvero il diritto del malato ad essere informato riguardo i possibili trattamenti e scegliere liberamente se e a quali sottoporsi, una scelta che quindi può essere anche rifiutare ogni cura. In Italia il diritto all’autodeterminazione è sancito in particolare dal secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”), oltre che dall’articolo 13 (La libertà personale è inviolabile”) e da alcune leggi.
In alcune circostanze però l’applicazione di tale diritto all’autodeterminazione è causa di accese polemiche. Ad esempio, fa parte dei doveri di un medico assistere un paziente che richiede coscientemente di morire? Si tratta di un atto che causa danno al malato o che viene compiuto nel suo interesse? Cosa fare se il paziente non può fornire il suo consenso ma esistono dichiarazioni precedenti alla degenza riguardo quali terapie accettare?
La Costituzione, come abbiamo visto, tutela la libertà di scelta dell’individuo, garantendo la possibilità di sospendere volontariamente le cure, permettendo quindi l’eutanasia passiva. Un documento riguardo quali terapie accettare o meno in caso di malattia terminale o impossibilità a dare un consenso è invece detto testamento biologico. Il suicidio assistito, ovvero l’aiuto ad un paziente che ha deciso di morire da parte di un medico senza però che quest’ultimo intervenga direttamente (ad esempio fornendo sostanze letali ma senza somministrarle), e l’eutanasia attiva, cioè un atto diretto del medico che causa la morte del malato, sono invece illegali. Il Codice Penale infatti proibisce con l’articolo 579 l’omicidio consensuale, con l’articolo 580 il suicidio assistito, con l’articolo 593 l’omissione di soccorso. Tuttavia nel caso di malattie gravi o terminali senza possibilità di guarigione, è possibile rifiutare il cosiddetto accanimento terapeutico, vale a dire le cure che prolungano artificialmente la vita dell’ammalato, come testimoniato dalle vicende giudiziarie seguite ai casi Welby ed Englaro.
Piergiorgio Welby infatti nel 2006 portò al centro del dibattito politico italiano la questione dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico. Welby, affetto da distrofia muscolare progressiva che lo portò alla paralisi e a dover essere attaccato ad un respiratore, richiese al Tribunale di Roma la possibilità di morire rifiutando la respirazione artificiale; possibilità che venne respinta dai giudici per via del vuoto normativo in merito. Nonostante tale parere negativo, a Welby venne comunque praticata l’eutanasia e le vicende legali che seguirono hanno visto l’assoluzione del medico che eseguì le richieste del malato, ribadendo il principio all’autodeterminazione del paziente. Nel 2009 invece la vicenda di Eluana Englaro portò alla luce un’ altra mancanza nella legislazione italiana: le cosiddette disposizioni sul fine vita. Eluana si trovava in stato vegetativo dal 1992 in seguito ad un incidente stradale ed era tenuta in vita artificialmente; la sua famiglia richiese giuridicamente che venisse staccata l’alimentazione forzata. Il tribunale ricostruì la volontà della donna, dato che non esistevano sue volontà scritte, in base a testimonianze ed indicazioni precedenti all’incidente e, data l’irreversibilità della condizione clinica, autorizzò l’eutanasia.
Nonostante il forte interesse che entrambe le vicende hanno causato nell’opinione pubblica, scatenando anche un forte dibattito politico (il Governo Berlusconi ad esempio tentò in extremis di impedire l’eutanasia di Eluana Englaro con un decreto legge), ad oggi non sono stati fatti passi in avanti sull’eutanasia o sul testamento biologico: il vuoto legislativo rimane. Proprio per questo motivo Dj Fabo ha deciso di morire in una clinica svizzera, dove il suicidio assistito è consentito, seppure con criteri molto rigidi.
Il dibattito sulle “norme in materia di eutanasia” nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari Sociali della Camera è iniziato il 3 marzo 2016, ma da allora non ha fatto passi in avanti. In materia di testamento biologico invece sembra esserci una convergenza più ampia di forze politiche: delle sei proposte di legge sul fine vita presentate al Parlamento, di cui una di iniziativa popolare depositata dall’Associazione Luca Coscioni, due di queste sono in esame nella Commissione Affari Costituzionali della Camera in un testo unificato che ha come relatrice la deputata PD Donata Lenzi.
Il DDL Lenzi prevede l’istituzione di una Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT) con la quale esprimere anticipatamente l’accettazione o il rifiuto di trattamenti sanitari in caso di futura incapacità ad autodeterminarsi; inoltre prevede l’indicazione di un fiduciario che rappresenti il paziente nel futuro percorso clinico. L’associazione Luca Coscioni, che si batte per la legalizzazione dell’eutanasia, è critica nei confronti del testo, ritenuto ambiguo, ma riconosce che si tratta di un grande passo in avanti. Sono invece molto critici molti parlamentati cattolici, che hanno abbandonato i lavori, Lega Nord e Fratelli d’Italia, che avevano presentato quasi 3000 emendamenti al testo, poi ridotti a 288. Il DDL gode sulla carta di un’ ampia maggioranza favorevole, essendo supportato da PD, 5 Stelle e Sinistra Italiana, ma ha di fronte un’ ostinata opposizione, tanto che nel 2017 la sua discussione alla Camera è già stata rimandata tre volte ed è ora prevista per il 6 marzo, salvo ulteriori rinvii.
Il voto alla Camera sarà segreto, fatto che spalanca la porta a franchi tiratori all’interno della maggioranza; inoltre Lega e centrodestra hanno annunciato che faranno ostruzionismo, sebbene il governatore leghista del Veneto Zaia si sia dichiarato favorevole al provvedimento, e da Costituzione non è possibile che il governo decida di porre la fiducia su un tema di carattere morale. Non è scontato quindi che si riuscirà ad arrivare ad una legge sul testamento biologico in questa legislatura, mentre una legge sull’eutanasia pare ancora più lontana.
Nota del redattore; Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, commenta così sull’eutanasia. Sì, è il partito che ha fatto ostruzionismo quando era ora di votare sul testamento biologico.
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