Se siete stati dal parrucchiere o dal gommista recentemente, potreste aver sentito qualcuno parlare di crowdfunding. Per non fare la figura del caprone all’aperitivo come quando l’altra volta avevate ipotizzato che “selfie” fosse uno slang per “self-service”, avete googlato “craufanding” ma non ci avete capito sto granché. Magari siete finiti su Kickstarter e Indiegogo, avete visto emeriti stronzi portarsi a casa barcate di soldi per progetti apparentemente ridicoli e vi siete detti: “Ah, quindi io butto lì una cagata di idea e il popolo di internet mi riempie di soldi? Facciamolo subito!”.
“Aspetta un secondo va là”. Innanzitutto, il più grande pro del crowdfunding (chiunque può chiedere soldi per la sua idea) implica anche il suo più grande contro (CHIUNQUE può chiedere soldi per la sua idea, quindi lo stanno facendo tutti per le peggio cazzate). Negli ultimi 2-3 anni i numerosi casi di successo ma ancor più i numerosissimi casi di fallimento ci hanno dimostrato che, nella stragrande maggioranza dei casi, il crowdfunding funziona se ha promuoverlo è un nome grosso, a livello di personaggio o marchio che c’è dietro, che probabilmente avrebbe comunque potuto realizzare ugualmente il progetto anche senza, perché con ogni probabilità avrà già soldi e contatti in abbondanza. Di contro, l’enorme quantità di progetti-fuffa toglie visibilità ad alcune idee brillanti proposte dal pincopallo di turno che, essendo appunto un pincopallo, non ha altro modo per trovare i fondi e non gode di grande visibilità.
Senza la pretesa o la voglia di scendere troppo nei dettagli, vi accenno a quelli che tre anni fa avremmo chiamato rispettivamente “Epic Win” e “Epic Fail”:
Oculus Rift – Dei tizi con un progetto di occhiali per la realtà virtuale hanno tirato su 2,4 milioni di dollari da Kickstarter, probabilmente perché visti con simpatia da molti nerdoni cresciuti negli anni ’80 che ora hanno soldi da buttare: la notizia in realtà ha portato non semplici benefici economici, ma un attenzione enorme per il progetto (in cui è confluito il mitico John Carmack, babbo di Doom e Quake). Il risultato? Un anno e mezzo dopo il successo con il crowdfunding la società è stata rilevata nientepopodimeno che da Facebook per 2 miliardini. Ora, questo si può considerare un caso di successo straordinario e un segno che da Kickstarter possono nascere non solo progettucoli o idee balzane ma autentici colossi, dal lato ha inevitabilmente sollevato domande sull’aspetto etico della monetizzazione di un progetto che deve la sua riuscita a migliaia di filantropi e non ad investitori veri e propri.
Zeb89 – Youtuber italiano amatissimo dai 12enni e noto per le spiccate tendenze braccinocortistiche, non c’è quindi da stupirsi che abbia particolarmente apprezzato il lato più becero del crowdfunding. La sua prima mossa è stata quella di cooptare la morosa per raccogliere soldi per andare al Lucca Comics: l’unico risultato ottenuto è stata una figura di merda clamorosa. Non contento, l’Ace Gamer de noartri ha anche avuto faccia da schiaffi per chiedere centomila euri per realizzare una webseries, fingendo di considerarla una boutade. Zeb89 alla fine non ha intascato un cent, quando probabilmente con obiettivi più ragionevoli come 5 o 10k ce l’avrebbe fatta senza grossi problemi; in compenso ha fatto parlare molto di sé, anche se più che altro in tono estremamente negativo. Beh, se il suo obiettivo era quello, missione compiuta.
Ora, c’è da dire che l’Italia è stato tra i primi Paesi nel mondo ad avere una normativa decente sul crowdfunding, che ha permesso la nascita di tutta una serie di micro-portali e di progetti più o meno credibili. Che io sappia, grossi risultati positivi non si sono ancora riscontrati; d’altro canto nell’ambito di finanziamenti medio-piccoli (diciamo dai 500 a 3000 nueri), già alla portata molti scemi del villag…eh, influencer, sono stati lanciati diversi progetti, soprattutto di ambito culturale, che difficilmente avrebbero potuto vedere la luce altrimenti. Quindi, come per tutte le cose della vita, penso che il crowdfunding non vada visto né come la soluzione alla fame del mondo né come una stronzata tout-court, bensì come uno strumento che può dare risultati buoni o meno buoni, a seconda di come viene utilizzato. E chissà se il prossimo a chiedervi l’elemosina 2.0 non sia proprio io per uno dei miei mirabilanti progetti di editoria digitale…in fondo, se l’ha fatto Spike Lee…
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