All’inizio del secolo scorso, Max Weber, padre fondatore della sociologia come viene intesa oggi, suggeriva ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, la sua opera forse più famosa, che proprio questa etica derivata dal protestantesimo possa aver indotto i protestanti a lavorare duramente e a risparmiare più dei cugini cattolici, ed in definitiva dunque che “l’etica protestante” sia stata uno strumento per il progresso economico.
L’idea di fondo che si cela dietro a queste constatazioni nasce dal paragone tra protestantesimo, ed in particolare il Calvinismo, con il capitalismo. Mentre in tutte le società pre-capitalistiche l’economia è intesa come il modo per produrre risorse da impiegare per fini non economici, siamo essi mecenatismo (la protezione e la sponsorizzazione di artisti e letterati), o l’ostentazione del lusso per esibire il proprio stato sociale, o ancora semplicemente per la soddisfazione dei propri bisogni, nella società capitalistica per il capitalista il conseguimento di questi fini legati a valori extra economici sono del tutto secondari e trascurabili: ciò che importa è che il profitto sia investito e sempre crescente.
Ad una rapida analisi della ricchezza degli stati europei, appare evidente la differenza tra stati del Sud Europa, con economie più deboli, e gli stati del Nord Europa, più ricchi e sviluppati. E, tornando al confronto protestantesimo-cattolicesimo è facile notare come tutti i PIIGS, eccezion fatta per la Grecia, che non è né protestante né cattolica, facciano parte del mondo cattolico. Perfino l’Irlanda, appartenente geograficamente al Nord Europa, è cattolica e la sua iniziale fa parte di quell’infelice acronimo coniato dalla stampa economica anglosassone per indicare i cinque paesi dell’Unione europea ritenuti più deboli economicamente.
Tuttavia questa analisi, per quanto chiara e diretta, non è sufficiente a determinare se realmente il fattore chiave di questa differenza nello sviluppo economico, o anche solo parte di essa, sia generata proprio dalla religione professata. In altri termini, senza un’indagine più approfondita, si potrebbero avanzare ipotesi alternative quali una presenza maggiore di carbone nelle aree ad influenza protestante, che certamente avrebbe aiutato la crescita economica durante la prima rivoluzione industriale, o qualsiasi altra ipotesi che, come quella appena proposta, possa oscurare l’importanza apparente della diversità tra confessioni religiose.
Sasha Becker, professore dell’università di Warwick, ha provato ad indagare scientificamente la veridicità dell’affermazione di Max Weber, arrivando a conclusioni simili, ma non identiche. Il primo risultato del suo paper, pubblicato sul The Quaterly Journal of Economics, è che i paesi a religione protestante hanno effettivamente, nel corso della storia, avuto uno sviluppo economico piú accelerato di quelli a matrice cattolica. Il secondo, quello che in un certo senso, va oltre Max Weber, è che non è tanto la propensione capitalista di lavorare sodo e produrre domani più di quanto sia stato prodotto oggi, quanto più il fatto che i protestanti fossero mediamente più istruiti, poiché avevano l’obbligo religioso di leggere la Bibbia, e dunque dovevano necessariamente essere alfabeti.
Il protestantesimo infatti, tra le altre differenze con il cattolicesimo enfatizza l’importanza della Bibbia come “sola scriptura”, ovverosia autorità suprema in materia di fede, contrapposta alla tradizione cattolica per la chiesa di Roma.
L’analisi condotta da Becker e da Ludger Woessmann trae i suoi dati dalla Prussia del XIX secolo, la società in cui lo stesso Weber crebbe. La regione è stata poi divisa in 450 micro-regioni, di cui due terzi erano a maggioranza protestante ed un terzo cattolica. Come dichiarato dallo stesso Becker, la religione in quegli anni era un fattore ben più predominante di oggi e, dall’analisi fatta dai due studiosi, sembrerebbe che essa sia stata anche il fattore principale dietro la differenza di alfabetizzazione delle micro-regioni prese in considerazione. Questa differenza nell’educazione delle persone ha fatto sì che essa si traducesse in lavori nel settore manifatturiero e dei servizi, piuttosto che solamente nel settore primario e che, di conseguenza, i protestanti guadagnassero di più dei vicini cattolici.
Come fatto notare da Cristobal Young, professore di sociologia alla Stanford University, la differenza tra il mondo protestante e quello cattolico va ben oltre la semplice constatazione fatta da Max Weber: ad un tratto l’Europa, ed il mondo intero, si sono trovati divisi tra due universi, uno che spronava ad apprendere andando a scuola, caratterizzato dal pensiero critico e dal laissez faire per quanto riguarda l’etica manageriale ed imprenditoriale, mentre l’altro bruciava i libri (e non solo), imprigionava gli scienziati e richiedeva una pesante ortodossia. Se queste sono le premesse, non è difficile accettare che, almeno dal punto di vista economico, il protestantesimo sia un passo più avanti del cattolicesimo. 1-0 palla al centro.
Ex Studente di Finanza presso la Warwick Business School, ora lavora nel settore assicurativo in UK. Appassionato di politica ed economia, in passato ha militato tra le file del PD come Civatiano.
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