Il fatto che parlando di classicismo in musica inevitabilmente ci si ricolleghi anche al concetto di perfezione formale non deve stupirci: infatti gli anni a cavallo tra il Diciottesimo e il Diciannovesimo secolo hanno visto allo stesso tempo la nascita, la standardizzazione e la distruzione di tutte le più importanti forme musicali. Le colonne portanti di questo capitolo di storia della musica sono Haydn, Mozart e Beethoven.
Ma chiediamoci prima perché questo periodo viene chiamato classicismo: in musica, infatti, non vi è stato un vero e proprio archetipo classico come per le arti figurative, la letteratura e l’architettura. Per ragioni di interrotta tradizione non ci sono giunti, se non in piccolissime tracce, manoscritti riguardanti la musica greca o latina. Viceversa, tutta la musica occidentale fa riferimento al gregoriano come prima forma musicale scritta, secoli dopo le altre grandi arti. Ad ogni modo la musica occidentale ha lentamente conquistato un substrato e dopo sperimentazioni e grandi apici di musicalità è riuscita a costruire dei canoni mirati alla consonanza e al soddisfacimento la percezione acustica.
Questo non vuol dire che la musica di Mozart sia semplicemente un sollazzo per l’orecchio del suo pubblico, ma vuol dire che un’articolazione ferrea e allo stesso tempo spontanea di consonanze e dissonanze, di ritmo e armonia, di timbri e dinamica ha reso i suoi brani equiparabili a una tragedia di Sofocle.
Un altro motivo per cui possiamo considerare questo periodo come fonte della classicità in musica è legato al fatto che le acquisizioni di quegli anni sono diventati l’ago della bussola per i compositori a venire, i quali si sono posti in atteggiamento favorevole o rivoluzionario nei confronti dei canoni scolpiti dalla triade Viennese. Le grandi forme che si affermano sono la sonata (per qualsiasi strumento, anche per più di uno), la sinfonia (per orchestra), il quartetto e il concerto (per strumenti solisti e orchestra). Queste quattro forme, per quanto stravolte e magari meno usate negli anni, sono durate fino ad ora. Hanno scritto sonate Chopin, Liszt, Prokofiev, Stravinsky e addirittura Sciarrino. Le sinfonie sono arrivate a Mahler e Shostakovich, addirittura Berio ha ripreso degli scritti sinfonici di Schubert per scrivere il suo lavoro Rendering.
Come per ogni argomento occorre guardare più da vicino la situazione e evitare generalizzazioni. Se infatti per Mozart e Haydn vale il discorso sulla naturalezza e la spontaneità, lo stesso non è per Beethoven. Il vero padre del classicismo è Haydn per due motivi: è il più vecchio ed è stato il maestro degli altri due (per quanto Beethoven non si fosse trovato benissimo con lui). Ha scritto di tutto e la sua particolarità è un’intensa ironia che ha fatto sì che i suoi brani, dopo una lunga latenza, siano rientrati di diritto nel repertorio nonostante la padronanza di sonate e quartetti sia a volte inferiore a quella di Mozart.
Quest’ultimo invece rappresenta l’affermazione del classicismo: il bambino prodigio manifesta nella sua musica tutti i vantaggi della sua dedizione infantile alla composizione. Mozart parla il linguaggio musicale come parla il tedesco, il tempo di composizione delle sue innumerevoli opere corrisponde al tempo di esecuzione. La padronanza delle forme si percepisce nella scrittura semplice ma allo stesso tempo geniale.
Per Beethoven è diverso: egli sarà infatti lo smantellatore delle forme classiche pur rimanendoci sempre dentro. Mentre i manoscritti di Mozart sono fluidi e senza correzioni, i suoi sono dei veri e propri campi di battaglia, l’uno pensa e scrive di getto l’altro ci ragiona ore, uno scrive più di quaranta sinfonie e diverse opere l’altro nove sinfonie e un’opera molto controversa. L’inferiorità numerica però si riflette in un’attenzione maniacale e in una innovazione nel comporre che porterà poi i successori a doversi reinventare.
Quando si parla di rigidità formale del periodo classico si commette un grosso errore: la forma è importante nella comunicazione perché si adatta ai pattern neurologici umani ma allo stesso tempo è fondamentale un grado di libertà che ci comunichi quello che l’uomo cerca dall’alba dei tempi: libertà nella sicurezza.
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