“Lode a Mishima e a Majakovskij.”
Dice Morire dei CCCP.
Ma chi sono costoro? E perché vengono lodati in una canzone intitolata “Morte”?
Il 14 gennaio del 1925 a Tokio nasce Kimitake Hiraoka, meglio conosciuto come Yukio Mishima.
Scrittore geniale ma anche folle nazionalista e grande sportivo (esperto di kendo, karateka e culturista) questo strano personaggio sconvolse il Giappone e l’Occidente con la sua morte.
Anziché morire come i poveri dementi lui ha pensato bene a occupare il Ministero della Difesa, fare un bel discorsone e poi darsi morte tramite seppuku. Perché? Capire un personaggio complesso come lui non è semplice. Va premesso però che era da sempre legato al culto del suicidio (ci pensava da una vita e l’ha organizzato mesi prima) e della perfezione (strano per un giapponese vero?).
Ma andiamo con ordine.
Come mai ha occupato il Ministero della Difesa?
Nel 1951, con il Trattato di San Francisco, il Giappone perde anche formalmente la sua autonomia. I nipponici (costretti dai fatti storici) rifiutano dunque di possedere un esercito nazionale affidando la difesa della propria nazione agli Stati Uniti. Colpo duro per un popolo così fiero e tradizionalista. Ma c’è chi rifiuta la situazione. Tra questi troviamo Mishima, il quale, coi propri finanziamenti, mette su un’organizzazione paramilitare chiamata “Tate no kai” (Associazione degli Scudi). E’ il 5 ottobre 1968. L’associazione aveva ovviamente una funzione simbolica, era composta infatti solo da cento persone (selezionate per altro dal fondatore stesso). Essa rappresentava bene una parte del carattere contraddittorio dello scrittore. La parte nazionalista e fortemente nostalgica di un Giappone che non c’è più. D’altro canto però lo scrittore era amante dell’Occidente e in ottimi rapporti con molti scrittori americani ed europei. Altro fatto interessante può essere rappresentato dalla sua virilità contrapposta alla sua ufficiosa bi(oppure omo)sessualità.
La contraddittorietà è un fatto comune a molte persone intelligenti. Spesso ne è il fascino.
Ma andiamo avanti.
Che discorso?
Grazie ad un Santo che s’è preso la briga di condividerlo in rete ho trovato uno dei suoi ultimi romanzi. “La Spada”. L’edizione è “SE”, la stessa che ho consultato per la stesura di questo articolo. Decisamente molto completa poiché ci sono anche riflessioni di Henry Miller e altri saggi o articoli sull’autore. Nell’indice trovate anche il suo Proclama. Il discorso letto prima di morire. Ecco qui. Non vi resta che leggerlo.
Merita. Anche perché fa a meno della logica cristiana secondo la quale la vita è al di sopra di tutto. Ed è forse ciò che più amo di quest’autore.
Vi do anche un piccolo anticipo sulla trama del racconto: una palestra di kendo si prepara per un campionato nazionale. L’allenamento dei ragazzi viene affidato al migliore di loro: Kokubu Jiro. Il fatto che il racconto sia un autentico testamento spirituale dell’artista fa presagire il finale.
Dopo il suicidio lasciò un biglietto. Diceva:
“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre.”
La frase può essere sicuramente riconducibile ad una lunga tradizione di personaggi il cui motto era “Viva la muerte”, basti pensare allo stesso Achille che partì per Troia con la certezza della morte e della gloria eterna.
“Imbrattai di colpo la carta dei giorni triti,
spruzzandovi colore da un bicchiere;
su un piatto di gelatina mostrai
gli zigomi sghembi dell’oceano.
Sulla squama di un pesce di latta
lessi gli inviti di nuove labbra.
Ma voi
potreste
suonare un notturno
su un flauto di grondaie?”
“Ma voi potreste?”, 1913, Majakovskij.
Quale metodo migliore per parlare di un poeta se non mostrarne le poesie?
Vladimir Vladimirovič Majakovskij nasce a Bagdadi (Georgia) il 7 luglio 1893. Tra il 1902 e il 1906 studia al ginnasio di Kutaisi, all’esame di ammissione “il prete mi chiese che cosa significasse oko. Risposi: tre libbre (così è in georgiano). I cortesi esaminatori mi spiegarono che oko significa occhio in slavo ecclesiastico. Per poco non fui bocciato. Perciò odiai di colpo tutto ciò che è antico, ecclesiastico e slavo. Forse scaturirono di qui il mio futurismo, il mio ateismo e il mio internazionalismo”.
Nel 1908 entra nel partito bolscevico come propagandista. Non fa in tempo neanche a iniziare a lavorare che viene arrestato per attività sovversiva. In carcere scrive i suoi primi versi (di ispirazione simbolista). La miccia è accesa. Nel 1911 aderisce al futurismo russo, non a caso ne è considerato uno dei padri fondatori.
Sicuramente meno contradditorio di Mishima, Majakovskij aveva le idee molto chiare: per lui la poesia non aveva senso di sussistere senza un obiettivo. L’obiettivo era la rivoluzione.
Da qui deriva il carattere fortemente politicizzato di molte sue poesie. Ovviamente non tutte.
Basti guardare poesie come “Quadro esauriente della primavera” (1913):
“Fogliuzze.
Dopo le linee delle volpi –
punti.”
La poetica majakovskijana varia moltissimo, ed è forse ciò che contribuisce maggiormente a renderlo grande. Avendo inoltre studiato anche Belle Arti, Majakovskij non mancò di manifestarsi anche nelle arti raffigurative (creò più di 3000 manifesti per il partito bolscevico) o di collaborare con altri artisti. Mi sembra opportuno in tal caso farvi presente un piccolo volume intitolato “Per la voce”.
Oltre a raccogliere alcune delle sue migliori poesie, il testo fu pensato insieme al tipografo russo El Lissitskij. Il risultato? Quattordici poesie scelte apposta per essere recitate a voce alta. Per ogni poesia poi c’è un’illustrazione costruttivista che ne sintetizza il contenuto. Un fottuto capolavoro della letteratura e della tipografia. Consigliatissimo.
A chi invece desidera un approccio più ampio al Poeta consiglio un volume della Bur intitolato “Poesie”.
Majakovskij era un vulcano. Il suo catalizzatore? Il cambiamento, il movimento e quindi la rivoluzione.
Ma il 1917 non portò a ciò che lui desiderava. Se a ciò aggiungiamo anche le delusioni sentimentali il risultato diventa un colpo di fucile al cuore nel suo appartamento a Mosca. E’ il 14 aprile 1930.
Vi riporto le sue ultime parole:
“A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva
sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi.
Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja.
Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio. […] Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci.
Voi che restate siate felici”
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