Quelli cresciuti negli anni ’60 e’70 hanno avuto un culo non indifferente, perché i gruppi che ascoltavano da bambini e ragazzini sono diventati poi “mitici” e rispettati da tutti, così oggi possono vantarsene con il nipote 16enne che ha comprato le magliette dei Beatles e dei Led Zeppelin che a scuola ce l’hanno tutti i più fighi e finge di conoscere a memoria Guccini e De Andrè per rimorchiare le fighe finto-comuniste. Persino quelli che avevano 13 anni nel ’93 possono bullarsi di essere stati fan dei Nirvana prima che un fucile rendesse Kurt Cobain un’icona. Io, che invece di anni nel ’93 ne avevo sette, posso magari fingere di essere stato un grande fan dei Pearl Jam e dei Radiohead fin dalla tenera età, ma tanto tutti lo sanno che cosa ascoltavo prima dei 14 anni: magari non Spice Girls e Backstreet Boys, ma sicuramente Jamiroquai (e fin qui ok), Jovanotti (ummm…), gli Aqua (aaaargh) ma, soprattutto, gli 883. Sì, perché se siete veramente cresciuti nei ’90, è impossibile che non vi sia mai successo di cantare una volta da sbronzi (o, peggio, da sobri) “Con un deca” o “Gli anni”, diciamocelo, o di avere dedicato “Io ci sarò” a una donna (l’ho fatto pure io, e non me vergogno, dai). All’epoca, se avevi 10 anni, Max Pezzali era PER FORZA il tuo idolo. Non neghiamolo, è così.
E a sto punto, c’è da chiedersi: perché? E’ una domanda che tutti evitano di porsi, perché i 20-25-30enni di oggi inevitabilmente tendono o a mitizzare nostalgicamente gli 883 o, più spesso, a sfotterli e rinnegarli, nascondendo in un cassetto la musicassetta di “La donna, il sogno e il grande incubo”. Molto più difficile, e potenzialmente imbarazzante, è valutare gli 883, la loro musica e il loro immaginario, per quelli che sono stati e per il valore che hanno oggi, per il semplice fatto che non c’è nulla come i testi dello loro canzoni che riesca a rappresentare con tanta lucidità e onestà il bello e il brutto degli anni ’90. Ad esempio:
Negli anni ’60 si cantava della lotta di classe, dell’impegno politico, dell’emancipazione e quant’altro. Negli anni ’70 si cantava della sperimentazione psichedelica, della trascendenza dello spirito e di altra roba da drogati. Negli ’80 oltre alle boiate esistenzialiste si inizia anche a cantare del cazzo e della figa, in modo più o meno velato. Ecco, nei ’90 si canta di motorini, cazzate e sempre più di figa, perché si è capito che mica guasta. Il punto di vista è in parte giovanilistico finto-trasgressivo e in parte berlusconico-mediasettaro, prospettive che spesso poi coincidono. “Sei un mito” altro non è che la celebrazione della “one night stand” o sveltina, probabilmente messa in musica per la prima volta da un gruppo italiano. Superficiali e pretestuosi, certo, ma come del resto è stato superficiale e pretestuoso quel decennio lì.
Fin dal loro primo disco del 1992, oltre alle parolacce e a espressioni “minchia zio troppo giuste”, gli 883 hanno sempre capito il valore, commerciale e emblematico, dell’esaltazione di un passato mitico (da tamarri di periferia, appunto) in grado di esercitare una presa diretta tanto sui ventenni dell’epoca quanto sui bimbi come me, per i quali immagini come “radioloni sempre a palla, per un pelo stare a galla” emanavano figosità da tutti i pori. Con il passare del tempo, il buon Pezzali ha rincarato progressivamente la dose arrivando a mitizzare non solo l’adolescenza, ma anche la pubertà, l’infanzia, l’asilo nido, il ciuccio e la prima volta che si va a gattoni. Tutto ciò, ancora più dell’uso di parolacce “troppo trasgre, zio” e della ritmica pop particolarmente pacchiana, è stato fin da subito uno degli elementi di traino degli 883 (perché, a parte i bambini soldato e i figli di vegani, chi non rimpiange i suoi “anni d’oro”?), e oggi fa ancora gioco nel rafforzare l’effetto nostalgico, ineluttabilmente potenziato dal crudele passare degli anni.
I ’90 sono il decennio della sfiga. Una sfiga autoironica, piaciona, non la sfiga vera del basement dweller degli anni ‘0, più alla Dylan Dog (ne ho già parlato qui). Non è un caso se gli 883 ne fanno riferimento continuo, dalle storie pese con la tipa in “non ti passa +” alla metafora calcistica della gente che non conclude un cazzo ma si diverte a cazzeggiare ed è contenta così de “La dura legge del gol”, fino a dedicarle esplicitamente una canzoncina (“Fattore S”). Ma l’esaltazione della sfiga dà il meglio di sé appunto in “Rotta per casa di dio”, dove un gruppo di guasconi che doveva andare a figa finisce per perdersi in culo ai lupi, ma va tutto bene perché alla fine sono tutti bravi ragazzi che si divertono con poco, “senza fidanzate troie né mogli noi, quattro deficienti a fare cazzate come non succedeva da un pacco di tempo” (anche qui con una dose di tamarraggine e nostalgia). Gli 883 piacevano a tutti perché raccontavano cose successe a tutti, con lo stesso meccanismo approssimativo degli oroscopi.
Oltra alle canzoni più popolari che comunemente vengono associate a marmitte modificate, occhiali da sole di cattivo gusto e limonate al parchetto, Pezzali ci ha lasciato anche qualche raro pezzo insospettabilmente profondo, come “Nessun rimpianto” che può essere considerata una degna erede della degregoriana “Rimmel” come colonna sonora della friendzone, o come “Cumuli”, canzone che parla dell’eroina (siamo pur sempre nei ’90…) e che, col pur sempre prosaico e giovanilistico linguaggio pezzaliano, si abbandona a riflessioni sorprendenti come “Sì perché è un po’ il vuoto di tutti noi, ci sbattiamo tanto per chiuderlo, ci proviamo e non ci riusciamo mai, e allora tanto vale conviverci”. Non proprio Schopenhauer, ma per un tizio che ha accumulato non so quanti Telegatti non è così male dai.
Quindi? Beh, oltre a cogliere come nessun’altro il linguaggio e l’estetica giovanile (o, meglio, giovanilistica) dei ’90, gli 883 si possono considerare a buon conto cantori di quel decennio, dimostrando di incarnarne e farsi portavoci dei cliché quanto dei valori di fondo. Che piacciano o no, è un altro discorso. Ma come Pezzali e Repetto simboleggiano i ’90, con le loro giacche jeans, la loro adorabile sfigosità e la loro ridicola strafottenza, non lo fa nessuno, deal with it.
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