Come forse sapete, ho talmente poco da fare che mi sono fissato di indagare dei fenomeni culturali tipici degli anni ’90 per trovare dei fili conduttori propri di quel decennio, come anticipato in questo articolo programmatico. Quello su cui vorrei riflettere in questo articolo è che i ’90 in sé hanno inventato molto poco (beh, fatta eccezione per il www e le scarpe sparafleshanti da tamarri), ma spesso hanno portato alle estreme conseguenze e all’esaurimento dei concetti nati ed esplosi negli ’80. Tra questi, senza ombra di dubbio ci sono i platform game. Se non sapete di cosa stiamo parlando, vi consiglio di tornare a twittare hashtag imbarazzanti sugli One Direction.
Senza volermi arrogare la redazione di una storia del genere o un elenco che avrebbe poca utilità fuori da quella di spaccarvi i maroni, voglio fare qualche considerazione pseudo-significativa, qualche esempio, qualche battutaccia e quindi chiudere con uno straccio di riflessione, se mi viene. Vi sembra accettabile?
Ok, diamo quindi per acquisito che il genere videoludico dei Platform è stato di fatto inventato (e reso popolare) da Super Mario Bros e dai suoi seguiti diretti o ispirati intorno alla fine degli anni ’80. Di fatto, in breve tempo sono diventati tanto di successo che qualunque cagata di franchising-game tratto da un film nei ’90 seguiva quasi sempre, e spesso e volentieri forzatamente, i dettami dei giochi di piattaforma (oggi invece sono tutti fps o action-adventure). Che sono: progressione o orizzontale o verticale, azioni limitate al salto e poco altro, focus sulla gestione dello spostamento per evitare gli ostacoli, power up e altri sporadici concetti copiati malamente dai vari Super Mario prima e Sonic poi.
Anni di questo ciarpame hanno finito per esaurire le possibilità del genere e pure la pazienza dei giocatori, che col tempo hanno iniziato a preferire i platform 3d (per molti aspetti più un genere a parte che un’evoluzione), i giochi di macchine oppure PES. Succede. Però, qualcosa si è salvato. Anzi, qualche perla di quei tempi rimane ancora fruibilissima oggi, anche perché dopo i ’90 a parte qualcosa di indie o sperimentale non è uscito un platform 2d decente che sia uno. Senza stare a fare gli hipster, ecco qualche esempio che se siete dei ’90s kids dovreste conoscere già, e se non lo siete, beh, piantate lì call of duty per una cazzo di volta e retrogiocate un pelo che non vi può fare male.
Donkey Kong Country (1994)
Il motivo principale del successo di DCK, inutile negarlo, è la grafica per i tempi stupefacente, a noi bamboccini cresciuti con gli 8 bit quella giungla sembrava fotorealistica. Però il gioco in sé è oggettivamente una spanna sopra i cloni di Super Mario World, dato che dietro la patina di grafica e suoni da paura si celava un gioco dalla struttura molto solida ma condita con qualche elemento innovativo (i due personaggi, i power-up animaleschi, una verve ironica un po’ per tutto il gioco). Livelli come quelli delle miniere ce li ricordiamo tuttora, no? DKC e in un certo senso anche DKC 2 si confermano dei gioiellini che hanno ancora il loro mercato (vedi la versione Wii), ma al contempo hanno iniziato a raschiare il fondo del barile del genere: quanto ancora si poteva inventare senza contravvenire agli archetipi supermarieschi?
Super Mario World 2: Yoshi’s Island (1995)
Di spazio per le invenzioni ne rimane poco, ma qualcosa c’era ancora. Yoshi? Già visto. Yoshi che diventa protagonista con il ruolo di proteggere un Super Mario neonato? Beh, forse. Yoshi che oltre a mangiare i nemici caga uova e le lancia innescando dinamiche ludiche completamente nuove? Figo, ma basterà? Beh, mettici in mezzo un’adorabile grafica pastellosa e un’atmosfera orinica, e tiri fuori forse l’espressione più matura del platform 2d tradizionale. L’evoluzione di un gameplay ben collaudato con l’introduzione di poche ma significative novità, l’impatto visivo-emozionale e, soprattutto, l’estrema cura nel restituire un mondo ricco di sorprese, variopinto e divertentissimo rendono Yoshi’s Island un classico senza tempo.
Oddworld – Abe’s Oddysee (1997)
Arrivano i sistemi a 32/64 bit, con loro la seconda metà dei ’90 e quindi ineluttabilmente si giunge a una fase “post”. Non bastano più i meccanismi di gioco tradizionali, ma soprattutto non soddisfano più i personaggi pacioccosi e le atmosfere rilassate. Servono nemici mostruosi e terrificanti. Si necessita di scenari futuristici e inquietanti. Occorrono protagonisti brutti e inetti. E pure petomani. Abe’s Oddysee è un platform fino a un certo punto, perché la sua meccanica si basa più sulla risoluzione di enigmi che sulla destrezza, ma sta di fatto che senza stravolgere nulla ha saputo creare un’esperienza di gioco innovativa soprattutto grazie al carisma (o meglio, alla mancanza di) del disgustoso protagonista e alla cura nel restituire un mondo stronzo pieno di brutti mostri che vogliono farti fuori e macellarti. Figo. Peccato che una serie sulla carta così promettente abbia fatto presto ad andare in merda, ma nei ’90 questa è un’altra caratteristica comune, ahimè.
Tombi! (1998)
Tombi! (originariamente “Tomba!”) all’apparenza può sembrare uno dei tanti platform derivativi e mediocri che intasavano l’offerta ludica della Playstation nei suoi anni d’oro. Invece è una perla di gioco, perché dietro a dei livelli costruiti con una certa maestria si annidano graditi elementi da gioco di ruolo (tipo varie missioni da compiere, inventario e abilità migliorabili) e un’anima piacevolmente infantile e ironica (un cavernicolo con i capelli rosa che combatte contro una tribù di Maiali? Ma che scherziamo?). Neanche a dirlo, Tombi ha generato diversi tentativi poco riusciti (tra cui l’evitabilissimo sequel) di recuperare quell’alchimia tra platform tradizionale e action-gdr, e resta piacevole da giocare anche ai giorni nostri, specie se vi piacciono i contesti demenziali.
Ecco, in definitiva i ’90 hanno portato alla consacrazione e all’inevitabile esaurimento dei platform game 2d, lasciandoci però alcune gemme che hanno in comune l’aver saputo rinnovare una formula ormai frusta e abusata con pochi ma azzeccati elementi di originalità in aggiunta a un impatto visivo peculiare e ben orchestrato. Alla prossima.
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