Sono ormai passati quasi tre anni da quell’Agosto 2014 quando Eron Gjoni scrisse quello che viene comunemente conosciuto su Internet come lo “Zoe Post“, la scintilla che accese la miccia della bomba del Gamergate con il suo carico di polemiche, insulti, continui shitstorm sui social e sui chan e doxing di tante persone, molte delle quali completamente avulse dalla vicenda, che si sono ritrovate la propria vita privata spiattellata su Internet, ed il cui strascico si avverte tuttora (basta pensare alle polemiche in merito a Mass Effect: Andromeda in concomitanza dell’uscita di qualche settimana fa). Alla base di tutta quella gigantesca pila di sterco digitalizzato c’era una collettiva quanto ossessiva richiesta di verità e trasparenza sulla critica videoludica internazionale da parte di una fetta sempre crescente di pubblico: alla fine non importava poi molto se una sviluppatrice indipendente si fosse infilata o meno nel letto di un influente editorialista di Kotaku, ma si chiedeva a gran voce una risposta ad una sensazione sempre più generalizzata di una mancanza di etica giornalistica da parte delle grandi testate del settore, nascosta maliziosamente da queste ultime sotto un tappeto di un fatuo progressivismo sociale. L’analisi e la discussione sugli elementi di questo o quel nuovo videogioco in uscita quali gameplay, trama o comparto grafico avevano ormai perso importanza a discapito di una mera esaltazione della semplice presenza, nel gioco in sé o nel relativo team di sviluppo, di elementi su temi come multiculturalismo, omosessualità o femminismo, tanto cari alle “sinistre occidentali”.
Tre anni dopo quella richiesta è stata non solo inascoltata, ma è stata sistematicamente rispedita ai mittenti, continuamente accusati di persistere in questa “guerra” solo per far prevalere un ipotetico ideale conservatore, codino e misogino, accusa in realtà in larga parte demagogica (sebbene sia indubbio che la community dei gamergater negli ultimi mesi abbia subito al suo interno “infiltrazioni” alt-right). La critica videoludica è diventata così un campo di una “battaglia virtuale” puramente ideologica e che coi videogames non ha nulla a che spartire. In tantissimi si sono però domandati se davvero ne valesse la pena, d’altronde alla fine si parla pur sempre di un tema assolutamente non vitale come i videogiochi. Ognuno gioca a quello che gli piace e pace per tutti, giusto?
Sbagliatissimo: per quanto sia assolutamente valido il concetto del de gustibus, una rigorosa critica videoludica è necessaria sia per formare il “gusto critico” del videogiocatore, sia per essere un arbitro quanto più imparziale impossibile tra le varie software house e case di produzione e distribuzione. Non è un caso che una sempre più latitante deontologia, basata esclusivamente sul giudizio tecnico dei prodotti, nella critica videoludica internazionale abbia generato in un sol colpo una community di gamers di una tossicità senza eguali, dedita sempre più a spammare bait ed alimentare console wars (o meglio console-PC wars, se ne parlerà dopo) sui social network piuttosto che a giocare e a condividere le proprie esperienze di gioco, sia una pericolosa tendenza da parte di una larga fetta di sviluppatori e di distributori dell’industria ad allinearsi ai diktat conformistici della blogosfera SJW e del pubblico left-liberal in genere, tutto “MUH DIVERSITY!” e nient’altro. Il tutto per paura di ricevere da quest’ultimi la loro personale lettera scarlatta di cattivibigottinazistimisogini, anche a costo di scaricare senza troppi complimenti persone che hanno lavorato per la buona riuscita del prodotto finale se esse si macchiano di lesa maestà verso i “benpensanti”, poco importa se completamente fraintesi…
Tutto questo ahinoi non è limitato alla sola critica videoludica internazionale, ma anche a quella degli altri media, principalmente quella cinematografica, e (ed è la cosa più grave di tutte) sta inesorabilmente permeando nell’opinione pubblica e nei settori più nevralgici della nostra società come la politica o l’istruzione. Ma questo è un altro discorso, che merita analisi ben più ampie…
Ritornando nei ranghi, a questa generalizzata decrescita (in)felice delle grandi redazioni di giornalismo videoludico si sta assistendo ad una contemporanea e costante ascesa di un consistente numero di youtuber dai numeri importanti che, a partire da un semplice intrattenimento a tema videogames, principalmente gameplay commentati, è passato a veri e propri format di infotainment, con recensioni, analisi ed altro. Questo fenomeno, insieme alla già citata percepita mancanza di credibilità della critica “scritta”, ha fatto sì che al giudizio finale su videogames e console da parte di questi format si dia molto più credito rispetto al passato. Esattamente quello che sta accadendo anche per l’informazione generalista, con tutto ciò che ne consegue: tizi qualsiasi che pontificano sulla qualità di videogames e console, spesso senza nessuna conoscenza in merito al mondo dell’industria e che nonostante ciò hanno seguito sono molto pericolosi, poiché trasformano quelle che sono semplicemente le proprie opinioni in giudizi insindacabili, ma che con il credito acquisito “dalla rete” possono costare variazioni anche forti nei ranking come Metacritic e possono spostare in generale le valutazioni del pubblico. E se poi quelle opinioni risultano essere più figlie di fattori esterni che delle caratteristiche del gioco recensito, il quadro che ne risulta non è certo idilliaco…
Last but not least, si è fatto cenno in precedenza alle nuove console wars, di come non se ne vedevano dagli anni ’90. Allora erano Nintendo e soprattutto SEGA attraverso campagne pubblicitarie martellanti (tutte raccontate in questo libro dalla lettura consigliata) a letteralmente spaccare in due il pubblico videogiocante, allora principalmente in età scolare e senza la possibilità odierna di comunicazione. Negli anni però, nonostante tutti i marasmi elencati prima, è sopraggiunta una certa maturità del medium videoludico, grazie soprattutto alla scena indipendente, capace di scrollarsi da dosso quell’aura puerile che si trascinava da troppo tempo e di riuscire a trattare pesanti tematiche esistenziali (basti pensare a titoli come To the Moon, The Talos Principle o Firewatch). A questa tendenza non è però corrisposta una parallela crescita di maturità nella community internazionale dei videogiocatori diciamo così “organizzati”, come detto in precedenza dedita e che si diverte più ad alimentare infantili guerre di branco tra chi preferisce questa o quella console, piuttosto che a giocare e condividere le esperienze di gioco con maturità. Perché? Una spiegazione tl;dr potrebbe essere questa…
Più analiticamente, è molto probabile che ci sia una correllazione di causa-effetto tra la latitanza di una critica videoludica credibile e un pubblico di fatto alla mercé di “fedi videoludiche” piuttosto che di semplici gusti (e a cui neanche chi ha scritto quest’articolo è totalmente immune). Ad esempio, l’ultimo astio scoppiato in rete è in merito all’emulazione ormai quasi completa della versione Wii U di The Legend of Zelda: Breath of the Wild su PC: da un lato i fanatici della Glorious PC Master Race con il loro classico feticcio dell’FPS rate quanto più alto possibile, dall’altro le “truppe cammellate” nintendare che lo stanno giocando su Switch. Una critica forte avrebbe potuto (e dovuto) stroncare sul nascere l’ennesima sterile polemica, spiegando sia come attendere (o addirittura vantarsi di giocare a scrocco) ad una IP proprietaria di piattaforme di generazione corrente su macchine terze sia semplicemente una poracciata, ma d’altro canto un lavoro di terzi su un titolo tuttora assistito dai team di sviluppo non può che portare benefici al gioco in sé e a chi lo gioca, come insegna la forte community di modders su Steam. Invece si è assistito da parte della stampa del settore alla solita fiera del frasifattismo e del luogo comune sui videogiocatori PC tutti scrocconi e dediti solo al “pimping” delle proprie macchine o sui possessori di console che giocano agli slideshow. La prossima puntata si sta già svolgendo sulla da poco presentata Xbox One Project Scorpio, nella quale a contendersi questa volta ci sono i “boxari” che aspettano le magnificenze dei nuovi titoli per questa terza versione della stessa console (era necessario?) e dall’altra i “sonari” che invece sbandiereranno le esclusive di punta di PS4. Tutto francamente risparmiabile e risolvibile se per una volta si facesse fronte comune, così come accadde tre anni fa, questa volta però con intenzioni meno bellicose e più propositive verso un giornalismo del settore sempre qualitativamente peggiore e prono alla moda del politicamente corretto.
Terrone, quasi ingegnere informatico, moderatamente misantropo, razionalista e liberalista convinto, ex weeaboo ora pentito, videogiocatore incallito da oltre 25 anni: mi piacciono le sfide, per questo sono su IMDI. Posso parlarvi di IT, letteratura moderna, musica elettronica, vidya e sport americani, basta che mi offriate una trappista. La mia waifu è Selphie Tilmitt.
30 Maggio 2017
22 Aprile 2017
18 Aprile 2017
1 Aprile 2017
30 Marzo 2017
Terrone, quasi ingegnere informatico, moderatamente misantropo, razionalista e liberalista convinto, ex weeaboo ora pentito, videogiocatore incallito da oltre 25 anni: mi piacciono le sfide, per questo sono su IMDI. Posso parlarvi di IT, letteratura moderna, musica elettronica, vidya e sport americani, basta che mi offriate una trappista. La mia waifu è Selphie Tilmitt.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.