Articolo originale sulla birra artigianale qui.
Posso perdonare la maggior parte dei peccati degli hipster. Le barbe. Il preferire i vinili in un’epoca in cui si possono avere milioni di canzoni in un dispositivo che puoi tenere nella tasca dei pantaloni. Anche il caffè ai cereali. Ma finchè sarò in vita non li perdonerò mai per ciò che hanno fatto alla birra.
Hanno corretto la bevanda più democratica del mondo con lo snobbismo. Il movimento degli appassionati della birra artigianale, presidiato da borghesotti che preferirebbero andare a Raqqa piuttosto che metter piede in un pub Wetherspoon’s, ha portato la pignoleria degli amanti del vino nel poco pignolo mondo dei bevitori di birra.
Gli snob della birra sono facili da individuare. Sono coloro che descriverebbero un calciatore con la parola ‘leggiadro’. Gli verrebbero le convulsioni se gli proponeste una Bud. E vi annoieranno a morte con i racconti dei loro esperimenti con la birra fatta in casa.
Le microbirrerie, definite negli Stati Uniti come quelle che producono meno di 15.000 botti all’anno, nacquero in Gran Bretagna negli anni ‘70 e si diffusero in America negli ‘80. Sono generalmente un’ottima cosa: più birra l’umanità produce, meglio è. Ma gli hipster detrattori di tutto ciò che non è autentico sono ora entrati nel mondo dei microbirrifici e l’hanno reso ‘artigianale’. Che un tempo voleva dire “qualcosa di fatto a mano”, e che oggi significa solo “qualcosa che i plebei non comprano, e quindi è buona”.
C’è stata un’esplosione di birre dai nomi folli. Qualcuno vuole una Arrogant Bastard Ale? O una bottiglia di Hoptimus Prime? Perchè ormai che senso ha farsi una birra se non puoi postare su Instagram il suo buffo nome, ovviamente con l’hashtag #craftbeer, cosicchè altri detrattori dell’alcol industriale possano riderci sopra, mentre sorseggiano la loro bevanda fermentata (sorseggiano davvero la birra, è la cosa peggiore).
E a proposito dei sapori. La basilare combinazione di amido, lievito e luppolo che per secoli ha fatto gli uomini contenti non è abbastanza per il bevitore snob. La sua birra deve sapere di frutta o noci. C’è quella alla banana, al burro di arachidi, e al donut. Non scherzo. Immaginate di dover ordinare un miscuglio così appariscente in un normalissimo pub – la tua faccia verrebbe decorata con bottiglie di birra almeno quanto la tua bacheca di Instagram.
Con tutto questo consumismo modaiolo, il pignolo della birra artigianale vuole effettivamente distinguersi da loro: la ‘gente comune’, che mangia al MacDonalds, fa la spesa da Primark e – tenetevi forte – beve Stella Artois. Il fatto che la Stella sia chiamata “la picchia-moglie” la dice lunga sul loro snobbismo: noi, amanti delle birre artigianali, vogliamo solo deliziare il nostro fine palato; loro, gli ubriaconi della birra delle corporation, scelgono il loro veleno e ne abusano.
Non è l’autenticità che questi strani consumisti critici della società dei consumi cercano – è l’elitarismo, il sentimento di appartenenza a un gruppo alla moda che, al contrario di noi, riesce a resistere all’esca delle grandi catene di pub. Bere Maple Bacon Coffee Porter (sul serio) è come dire: ‘sono meglio di te’.
Odio questo sprezzo, perchè la birra è la bevanda dell’uomo comune, e la più popolare dopo l’acqua e il tea. Principi e pezzenti la amano allo stesso modo. Nel medioevo, quando bere acqua non era sempre sicuro, i contadini dipendevano dall’economica e affidabile birra per l’idratazione. Ora ce n’è una chiamata ‘La Fine della Storia’ che costa 500 sterline a bottiglia. Probabilmente perchè la bottiglia è dentro una donnola morta. Sul serio.
Microbirrifici, micro-ristoranti (con un tavolo): perchè quest’ossessione con la piccolezza? Grande è bello. Ecco tre birre prodotte in massa che superano qualsiasi birra artigianale che abbia mai provato: Innanzitutto la stessa ‘picchia-moglie’; può avere una schiuma piuttosto effimera e sembrare urina, ma lascia un ottimo sapore di malto. Samuel Adams, maltata e dolce (originariamente preparata da un tizio nella sua cucina a Boston nel 1984, e di cui ora si producono 5 milioni di litri all’anno. Un venduto, per i puristi).
E infine Brooklyn Lager. Questa si atteggia a birra di moda, ed è bevuta da gente che ama le birre di moda. Ma, considerando che ne vengono prodotte 250.000 botti all’anno, in più di 20 nazioni, fa parte in effetti delle grandi marche. Fatta secondo una ricetta datata prima del proibizionismo, è dolce e caramellosa, e bevendola sembra quasi di sentire il traffico della Brooklyn di inizio secolo scorso, quando birra come questa veniva tracannata, non sorseggiata, da tutti: il grande lubrificante sociale che non conosceva classi.
In ogni caso, la Pagaia Nera, che potete trovare qui, – birra italiana targata IMDI – attende chiunque abbia intenzione di continuare a esplorare il mercato delle birre artigianali restando immune dallo spirito hipster che lo permea.
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