Salve a tutti, miei teneri e pucciosi beagle da laboratorio.
Anche a me è stato chiesto di cimentarmi nel compito arduo di esaminare l’argomento della settimana: gli hipsters. Non è facile per me, affatto. Innanzitutto perché prima che mi fosse chiesto di parlare di loro, non sapevo nemmeno chi fossero: ai miei tempi al massimo c’erano gli hippie, per cui mi sono dovuto informare un po’ al riguardo, e per fortuna ci sono state le rubriche precedenti che mi hanno aiutato non poco. Inoltre, da quel che ho potuto capire, questa categoria di giovani intellettual-chic, portatrice sana di ray-ban e di Converse (che ai nostri tempi schifavamo perché costavano diecimilalire al mercato e ti facevano puzzare i piedi come una discarica di Calcutta in pieno agosto), ha la peculiare caratteristica di non rispecchiarsi in una specifica categoria, o credo politico, o chessò, fede calcistica. In questo caso sarebbe stato semplice buttar lì una discettazione sul fenomeno del bisogno di appartenenza al gruppo insito in ogni essere umano. Caratteristica particolare di questa che noi vediamo come categoria a sé è, invece, che ogni individuo hipster crede di essere una persona originalissima e irripetibile in uno o più ambiti, dalle capacità artistico-fotografiche all’abbigliamento, all’originalità della tosatura.
Dato che non mi pare esista ancora un filone di ricerca sugli hipsters ho pensato di girare la questione su di voi. Vi sentite diversi da loro, vero? Vi sentite pregni di libero pensiero e di opinioni vostre, presumo. Orbene, vi chiedo: ma ne siete proprio sicuri? Siete proprio sicuri-sicuri di essere immuni dalle influenze della vostra società, dei media, di tutto ciò che vi circonda, o sotto sotto siete un po’ hipster anche voi in qualcosa, ovvero vi credete tanto unici e invece siete come tutti gli altri?
Vediamo cosa dicono le neuroscienze a riguardo, poi pensateci su nel buio delle vostre stanzette.
Partiamo ad esempio da idee che sentiamo come molto personali, come il ragionamento per stereotipi. Tutti noi (be’, quasi) abbiamo un bel daffare a proclamarci antileghisti, antirazzisti, antixenofobi, e molti di noi credono seriamente in questi ideali tanto da essere perfino iscritti a qualche pagina facebook in difesa delle minoranze più bistrattate. Indovinate un po’. Lo stereotipo del nigga stole my bike è talmente radicato in noi che, anche se coscientemente non diremmo mai qualcosa di cattivo contro un mangiaangur-ehm scusate, un africano, i nostri tempi di reazione risultano più veloci quando ci si chiede di classificare una parola “brutta” presentata vicino alla foto di un diversamente bianco piuttosto che una parola piacevole, e il contrario succede quando le stesse parole ci vengono presentate vicine a foto di individui bianchi. Non ci credete? Provate per credere, vi sto parlando dell’Implicit Association Test che potete tranquillamente far fare online sul sito dell’Università di Harvard ai vostri amici paladini dei diritti civili, per poi percularli a morte una volta arrivati al risultato. C’è l’IAT sul pregiudizio razziale, sulle women-in-da-kitchen, quello sugli anziani e perfino quello sui potatoes, vi ci potete sbizzarrire.
Potremmo dire che lo stereotipo, come forma di associazione implicita (che è un po’ come dire inconscia), è talmente forte che non ce ne rendiamo nemmeno conto. Per fortuna però poi subentra il pensiero cosciente che ci rende quello che siamo e ci distingue dai bonobi, ma mica sempre.
Proseguo ora parlandovi ora di libero arbitrio: il dibattito in questo campo è ancora veramente caldo. Esiste veramente la facoltà di decidere coscientemente? Qual è la parte del cervello che influenza le nostre decisioni? L’argomento è ampiamente studiato nelle neuroscienze: digitando “decision making” su PubMed ho ottenuto 7861 risultati, e sono pronto a scommettere che domani il numero sarà già salito. Coloro che si occupano di studiare i processi decisionali nell’uomo cercano di capire quali sono le variabili legate alla persona, al cervello, all’ambiente, che influenzano la risposta. I pubblicitari da anni si scervellano su questi argomenti, tipo qual è la forma o il colore o la disposizione nell’ambiente che mi fa propendere per l’acquisto di un prodotto piuttosto che un altro.
Ma il risultato più famoso e più sorprendente in questo ambito viene da un certo Benjamin Libet, che trovò il modo di confutare sperimentalmente l’esistenza di un vero e proprio “libero arbitrio”. In pratica, misurando con un elettroencefalogramma il “Potenziale di prontezza”, un’onda cerebrale specifica che compare prima di rispondere a uno stimolo, è stato in grado di dimostrare, con un semplice esperimento -chi vuole approfondire lo trova qui-, che il nostro cervello ha già attivato la risposta da dare BEN PRIMA che noi prendiamo la decisione, ne diventiamo coscienti e pigiamo il bottone. Paura eh?
E allora cos’è veramente la coscienza, se quello che decidiamo è in realtà già stato predeterminato dal nostro scumbag brain? E se a sua volta lo scumbag brain decide i nostri pensieri e le nostre azioni in base alla probabilità che si verifichi un avvenimento, alle esperienze passate, alla società, alle relazioni affettive, al fatto che in quel momento ci scappa la cacca e abbiamo fretta… Dov’è che va a finire la nostra tanto decantata autodeterminazione?
TL;DR: siamo molto, ma molto più predeterminati, omologati, influenzabili e prevedibili di quello che crediamo. Certo, forse gli hipsters lo sono un po’ di più.
Cordialmente vostro
Dr Sucks
Il Dr Oliver Sucks nasce numerosissimi anni fa in un paesino imprecisato del Uaiòming. Dopo un’infanzia e un’adolescenza assolutamente mediocri, si iscrive al corso di Psicologia e Neuroscienze della scuola Radioelettra di Torino e si laurea col massimo dei voti. Consegue poi un dottorato in Neurotuttologia alla CEPU e infine corona il suo sogno scientifico diventando emerito professore di Cognitive Neuroscience alla Fave University. Da qualche tempo, nei momenti liberi tra un simposio, una conferenza e una frustata ai suoi dottorandi, si dedica alla divulgazione di argomenti neuroscientifici per voi giovani topini da laboratorio di IMDI. E’ anche un accanito fan degli Elio e le Storie Tese, nel caso non ve ne foste già accorti. http://www.facebook.com/ilDottorSax
16 Marzo 2017
16 Ottobre 2012
19 Maggio 2012
16 Maggio 2012
Il Dr Oliver Sucks nasce numerosissimi anni fa in un paesino imprecisato del Uaiòming. Dopo un’infanzia e un’adolescenza assolutamente mediocri, si iscrive al corso di Psicologia e Neuroscienze della scuola Radioelettra di Torino e si laurea col massimo dei voti. Consegue poi un dottorato in Neurotuttologia alla CEPU e infine corona il suo sogno scientifico diventando emerito professore di Cognitive Neuroscience alla Fave University. Da qualche tempo, nei momenti liberi tra un simposio, una conferenza e una frustata ai suoi dottorandi, si dedica alla divulgazione di argomenti neuroscientifici per voi giovani topini da laboratorio di IMDI. E’ anche un accanito fan degli Elio e le Storie Tese, nel caso non ve ne foste già accorti. http://www.facebook.com/ilDottorSax
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.