Nessuno può portarti un fiore testimonia la vita di persone normali, divenute eroi loro malgrado. Storie di donne che la Storia sembra non ricordare, e di cui il film vuole raccontare. Abbiamo intervistato Stefano Chiovetta, regista, e Viola Kanka, direttrice della fotografia. Se desiderate supportare il loro progetto o curiosare nella progettazione del film, vi invitiamo sul loro sito.
“Nessuno può portarti un fiore”: perché il titolo? Com’è nato il progetto?
Viola: “Il progetto nasce dal bisogno di poter fare qualcosa di utile e di palpabile per alcune eroine che, fino a un punto della nostra vita, neanche sapevamo di avere. Eroine silenziose, nascoste e dimenticate dalla storia. Quando ci siamo accorti che queste tre donne, come tante altre, erano assenti dal panorama storico, abbiamo sentito il bisogno e la necessità di fare qualcosa. Come artisti, ma prima di tutto come persone che cercano di rendere il mondo un posto migliore. Un posto in cui gridare e lottare per i propri ideali non sia semplicemente la cosa più difficile da fare e sia la strada più efficace per un’umanità migliore. Nessuno può portarti un fiore nasce dalla lettura del libro di Pino Cacucci, che ci ha aperto le porte di questo nuovo universo. Nel libro abbiamo trovato storie di vari ribelli dimenticati, tra cui alcune di queste donne, a cui nessuno può portare un fiore, perché dimenticati.”
De Giovanni, Bandiera, Bunke, Smailovic (il “Violoncellista di Sarajevo”): chi sono questi “eroi dimenticati”?
Viola: “La scelta di queste donne non è stata per nulla un caso; diciamo che il destino ci ha regalato la voglia di scoprire qualcosa in più, che nessuno a quanto pare conosceva di queste donne: la loro forza, la loro tenacia, e il loro spirito. Quando abbiamo iniziato a fare ricerche su donne e eroine dimenticate, non abbiamo trovato nulla. Ma con un po’ di insistenza e testardaggine abbiamo saputo di una ragazza di Bologna che, nel 1944, di fronte a un plotone di esecuzione, urlò ai propri boia: “Vedo che tremate, anche una ragazza vi fa paura”. Quella ragazza impavida era Edera Francesca de Giovanni, prima donna fucilata durante la Repubblica di Salò. Dopo di lei, Irma Bandiera, che portava con sé i segreti per far cadere la Resistenza. Fu rapita, torturata, e dopo sette giorni di tortura le strapparono gli occhi. Fecero di tutto affinché parlasse, ma non ci riuscirono. Trucidata, venne lasciata sotto casa dei genitori. L’ultima donna, Tania Tamara Bunkee, la trovammo qui, nel paese che ci ospita, l’Argentina. Tania era il braccio destro del Che; per anni fu accusata di averlo tradito, facendolo catturare e uccidere. Non solo dimenticata, ma anche infangata, lei che aveva lottato a denti stretti per un mondo migliore, un mondo diverso. E per ultimo, il nostro moderno Caronte, Vedran Smailovic. Vedran è stato sempre una figura di spicco nelle nostre fantasie. Vedran, dopo che una bomba trucidò donne e bambini [nel mercato di Sarajevo], decise di combattere con l’unica arma che aveva a sua disposizione, il suo violoncello: scese in strada e suonò l’Adagio di Albinoni, per far sì che quella guerra sanguinosa lasciasse i cuori dei soldati.”
Il film è nato per puntare i riflettori sul ruolo della donna, ma lascia spazio anche a Smailovic: un tentativo di superare le fratture della Fourth-wave feminism?
Stefano/Viola: “No, la scelta di mettere un uomo nel film mi aiuta a poter essere io stesso colui che racconta la storia. Mi sono identificato in Vedran, perché ho sempre immaginato che anche lui ritenesse che questa storia non era né mia né sua. Noi siamo solamente quelli che accompagnano e fanno scoprire allo spettatore i dubbi e le paure che hanno dovuto vivere queste donne. Da qui la scelta di non far mai girare, di non scoprire mai il volto di Vedran. Abbiamo sempre saputo che questo non era il nostro momento, e che noi eravamo solo un intermezzo tra il mondo e la memoria, tra il passato e il presente.”
Cosa potrebbero dire le protagoniste del ruolo della donna nella società, oggi?
Stefano: “Come regista, sento di dire che indubbiamente abbiamo fatto un salto in avanti. Però questo salto in avanti cela un retrogusto piuttosto amaro: ad oggi non è chiara la forza della donna. Questa forza e questo amore capace di tutto, capace di abbracciare le grandi sfide con la semplicità e la grandezza che soltanto il potere femminile ha dentro di sé. Al giorno d’oggi, anche se reputiamo di vivere in un mondo migliore, in cui la differenza settaria tra uomo e donna è quasi annullata, ci scontriamo con una realtà diversa. Soprattutto in Italia, in cui si vuole far tornare la donna ad un ruolo di subordinazione che, con sofferenza, moltissime hanno cercato di superare. Per quanto riguarda l’idea che potrebbero avere le nostre protagoniste, del ruolo della donna nella società oggi, penso che rimarrebbero deluse, che i loro sacrifici e quelli di migliaia di altre donne, hanno portato a così poco. Non hanno restituito alla figura femminile il potere e la forza di cui ha bisogno. Tutt’ora, la storia rimane scritta dagli uomini. Questa è la sfida che dovremmo affrontare nel prossimo secolo.”
Le riprese sul Delta del Tigre e l’uso degli elementi naturali dimostrano che avete girato scene complesse in situazioni estreme: pronti a tutto? È stata buona la prima?
Stefano: “Mi hanno sempre accusato di essere un regista che cerca la perfezione, rifacendo i piani più e più volte. Tuttavia in questo corto ho sentito la necessità di sprigionare la potenza in modo conciso e diretto. Quel bisogno che ti nasce solo quando qualcosa può venire bene solo una volta, perché ha dentro di sé tutta l’alchimia e la potenza giusta per poter colpire qualsiasi cuore. Non è stata sempre buona la prima, ma ci sono andato molto vicino per i miei standard. Penso che, per raccontare queste storie, la natura avrà un ruolo fondamentale, semplicemente per poter raccontare gli stati emotivi delle protagoniste. Credo che la suggestione dei paesaggi naturali, di determinati e particolari paesaggi naturali, possa racchiudere dentro di sé la giusta miscela di emozioni, sensazioni, nostalgia e malinconia che queste donne hanno potuto provare in determinati momenti delle loro vite. Se questo sarà un prodotto d’eccellenza, lo dovremo anche alla natura che abbiamo scelto di ritrarre.”
Edifici abbandonati, format in 16 mm e RED weapon: perché queste scelte di regia?
Stefano: “Come dicevo prima, l’ambientazione, soprattutto in un corto poetico, fa sì che si crei una suggestione che possa portare lo spettatore ad un viaggio oltre ogni limite, che si possa anche manipolare per poter far provare e sentire la verità che queste donne credo abbiano sentito. La natura e l’architettura abbandonata, che l’uomo ha lasciato dietro di sé, sono i posti perfetti per poter narrare la memoria di queste donne, per poter narrare la sofferenza e la solitudine che hanno patito. Tra coraggio e forza, si insidia sempre il dubbio di star facendo la cosa giusta. Per quanto riguarda il formato, avevo bisogno della nostalgia che potesse scaturire usando il 16mm: la pellicola è qualcosa che ci aiuta non solo come mezzo, ma anche come ricorso. La pellicola resta un utile ricorso poetico da poter utilizzare come un linguaggio adeguato a narrare qualcosa di così tacitamente profondo. Per quanto riguarda il digitale, sentivo la necessità di poter catturare alcune parti del giorno, che purtroppo la pellicola non può catturare. Tramonti e albe, che dobbiamo cercare di catturare; per non parlare poi di quelle inquadrature che hanno bisogno del rallenty, per nascere in forza e potenza.”
Il progetto è stato sponsorizzato dall’Universidad del Cine, da Kodak e Cinecolor: quali sono gli sviluppi? E dalla sponda italiana, che aiuti sono arrivati?
Stefano: “Gli sviluppi semplicemente sono date sicure in cui poter filmare il corto. Il 14 Dicembre, quasi sicuramente, urlerò “azione, si gira!”. Dalla sponda italiana, l’unico supporto che abbiamo avuto è stato quello dell’Istituto Italiano di Cultura, che si è mosso per aiutarci in ogni modo. Sfortunatamente, non essendo filmato in Italia, abbiamo avuto grandi problemi nel coinvolgere altri produttori italiani nel progetto. Ora siamo tutti pronti per poter iniziare, bisogna solo concretizzare quest’ultima fase di crowdfunding, per rendere un “grazie” a queste donne.”
Sviluppi: quando sullo schermo?
Stefano: “Per quanto riguarda gli sviluppi sullo schermo, stiamo cercando di avere tutto il materiale filmato e finito per marzo-aprile. Il gruppo si è diviso, sulle destinazioni del progetto. Viola, co-ideatrice e direttrice della foto, preferisce Berlino, mentre i produttori anelano Cannes. Io preferisco qualcosa di più olandese, come Rotterdam. Ma questo si vedrà. Manca ancora molto tempo. Adesso dobbiamo dedicarci ad essere perfetti durante le riprese e non dimenticarci mai di quello che vogliamo trasmettere. È quello che avrebbero voluto le nostre protagoniste. Ciò che vogliamo rispettare e onorare è la forza femminile e quanto è capace di fare.”
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
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