Secondo l’ ISTAT ci sono 439mila occupati in più nel secondo trimestre.
Lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi rilancia e twitta orgoglioso che il Jobs Act funziona.
Ma è davvero così?
Innanzitutto è bene chiarire che sì, i dati sono positivi in senso assoluto, nel senso che ci sono state attivazioni di nuovi contratti, solo che a calare è stata la quantità di nuove assunzioni rispetto lo scorso anno, ossia, senza scadere troppo nel tecnico, quella di cui stiamo parlando è la variazione tendenziale. Quello che però è discutibile è il metodo utilizzato dall’ ISTAT per ricavare questi dati ed ecco perché quella che per il lettore o l’ascoltatore medio parrebbe essere una bella notizia in realtà è un caso emblematico di “non notizia”.
Osservando le variazioni tendenziali, tre giorni prima i dati ufficiali del ministero sul secondo trimestre parlavano di un netto calo dei contratti a tempo indeterminato: le nuove attivazioni sono state 392.043, il 29,4% in meno rispetto all’anno scorso (-163.099), mentre in assoluto i contratti di lavoro sono calati “solo” del -12,1% e i nuovi assunti del 8,9%. Sul fronte delle cessazioni, i rapporti di lavoro a tempo indeterminato conclusi sono stati 470.561, il 10% in meno rispetto allo stesso periodo del 2015. La maggioranza delle cessazioni sono dovute al termine del contratto a tempo determinato (1,43 milioni). Tra le altre cessazioni sono aumentate quelle promosse dal datore di lavoro (+8,1%), mentre si sono ridotte quelle chieste dal lavoratore (-24,9%). In particolare sono aumentati i licenziamenti(+7,4% sul secondo trimestre 2016).
Precisiamo ancora: quando si parla di calo si fa comunque riferimento a nuovi contratti, che comunque ci sono stati. Per la precisione sono state registrate nel complesso 2,45 milioni di attivazioni di contratti a fronte di 2,19 milioni di cessazioni. I contratti trasformati a tempo indeterminato sono stati 84.334, di cui 62.705 da tempo determinato e 21.629 da apprendistato (potete trovare tutti i dati qui). La differenza con l’entusiasmante visione dei dati ISTAT (che pure a Luglio erano stati tutt’altro che positivi) però resta, presentando una situazione reale di forte rallentamento e di stagnazione economica generale.
Dov’è il “trucco”?
Ancora una precisazione importante: nel caso dei dati del ministero si parla di dati ufficiali, conteggi precisi, calcoli su dati certi; viceversa nel caso dei dati ISTAT ci si basa su dati statistici effettuati a campione, e secondo una ben precisa modalità che stabilisce “quando” si è occupati in base a un “come” alquanto discutibile. Per completezza va detto che l’ ISTAT ha sempre fatto riferimento a standard condivisi a livello internazionale, che però evidentemente non tengono conto del problema della sottoccupazione (in sintesi il sottoutilizzo delle potenzialità produttive degli occupati; vengono classificati come sottoccupati gli individui che dichiarano di avere lavorato, indipendentemente dalla propria volontà, meno ore di quelle che avrebbero voluto e potuto fare) rende davvero difficile se non impossibile verificare oltre al “quando” e al “come” di cui sopra pure il “quanto”, trasformando lavoratori molto parziali (qualche ora a settimana, se va bene) che finiscono sia in queste statistiche sia nei dati ministeriali a figurare come lavoratori a tutto tondo.
Arriva quindi la parte “divertente”.
Secondo il Glossario Ufficiale ISTAT su Occupati e Disoccupati la modalità è la seguente:
Forze di lavoro: comprendono le persone occupate e quelle disoccupate.
Occupati: comprendono le persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento:
– hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
– hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
– sono assenti dal lavoro (ad esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, ad eccezione dei coadiuvanti familiari, sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi.
Disoccupati: comprendono le persone non occupate tra i 15 e i 74 anni che:
– hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane che precedono la settimana di riferimento e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive;
– oppure, inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla settimana di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro.
Inattivi: comprendono le persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o disoccupate.
Tasso di attività: rapporto tra le forze di lavoro e la corrispondente popolazione di riferimento.
Tasso di occupazione: rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento.
Tasso di disoccupazione: rapporto tra i disoccupati e le corrispondenti forze di lavoro.
Tasso di inattività: rapporto tra gli inattivi e la corrispondente popolazione di riferimento. La somma del tasso di inattività e del tasso di attività è pari al 100%.
Dato destagionalizzato: dato depurato dalla stagionalità.
Variazione congiunturale: variazione rispetto al mese precedente.
Variazione tendenziale: variazione rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Settimana di riferimento: settimana a cui fanno riferimento le informazioni raccolte.
Basta leggere e emerge con chiarezza quanto siano RIDICOLI questi parametri usati dall’ISTAT per stabilire se una persona è occupata o meno. Sul “pagamento in natura” per l’ora effettiva di lavoro settimanale ci sarebbe molto da ridere anche se (perdonate il salto di tono) per prenderlo in culo basta anche solo un attimo, così come è altamente discutibile ritenere “occupato” chi per un’ora settimanale “collabora” (magari retribuito tramite “paghetta”) con la ditta/impresa/negozietto/bar di un familiare.
Questa polemica era già nata qualche mese fa e puntualmente ritorna: quanto è sensato considerare lavoratore occupato un tizio X che viene pagato con un voucher netto da 7,50 € per un’ora di lavoro settimanale?
Se sarete in grado di dare una risposta razionale a questa domanda, saprete anche dare una valutazione coerente al grado di attendibilità delle indagini sul “lavoro” dell’ISTAT e del reale stato dell’occupazione, disoccupazione e inattività in Italia.
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