Tutti conosciamo, bene o male, la legge dei grandi numeri e la sua adattabilità a circa ogni ambito. Quanto appena affermato ci consente di rilevare che, perfino nella galassia del becero populismo, possa celarsi qualcosa di salvabile.
Per quanto raro possa essere, in effetti, è proprio quello che avviene per uno dei più grandi problemi della giurisprudenza moderna: la certezza della pena. Nome comune di questa piaga è “tanto domani escono”. Nella pratica è un problema molto sentito, complici i giornali, la televisione e la passerella di politici che si esibiscono sul tema ogni volta che aumenta l’allarme sociale per il reato del momento.
Per parlarne in modo approfondito è necessario partire dalla base, soffermarsi sul significato stesso della pena: solo allora sarà possibile compiere un ragionamento completo ed ipotizzare qualche possibile soluzione.
Nel diritto italiano la pena non è fine a se stessa, non si esaurisce nella crudeltà di una ripicca al fatto illecito. Funzione cardine del nostro sistema è la funzione riabilitativa della pena: la possibilità del recupero del criminale. Questo ci porta ad escludere le tanto conclamate “pene esemplari”. Non vi è nessuna utilità nello sfogo verso un soggetto, praticamente casuale, la cui principale colpa è di aver commesso il reato oggetto dell’interesse pubblico momentaneo. La pena, dunque, non si concretizza per essere unicamente retributiva – il classico occhio per occhio – ma si colora dell’elemento della prevenzione. Un’altra importante funzione della pena è dunque quella di prevenire il delitto. Il criminale, quindi, messo di fronte ad una pena, valuterà se sarà maggiore il piacere procurato dal reato o il nocumento derivante dalla punizione prevista. Arrivati a questo punto ci scontriamo col muro introdotto prima: l’incertezza della pena. La mancata condanna farebbe propendere la valutazione del criminale per la commissione del fatto illecito.
A questo punto sono possibili due strade, teoricamente opposte, che conducono ad un traguardo comune: l’inasprimento delle pene o la depenalizzazione.
Per quanto riguarda la prima essa può sicuramente avvenire ma non deve essere vista come unica soluzione. A questo punto può essere d’aiuto un esempio, prendendo come riferimento altri ordinamenti europei. Il delitto di omicidio, il più grave nel nostro sistema, è un reato unico che può tingersi di alcune ipotesi aggravanti. Da questa impostazione derivano non poche incertezze. L’applicazione delle circostanze aggravanti, quelle che comportano l’ergastolo o comunque un aggravio della pena, durante il processo vengono bilanciate con le ipotesi attenuanti. In tutti gli altri ordinamenti, invece, l’omicidio aggravato è previsto come ipotesi a sé stante, separata dall’omicidio doloso. In questo modo non avviene alcun soppeso delle aggravanti, rendendo la sanzione più certa.
La seconda, già in parte adottata dalla recente riforma sulla depenalizzazione, concorre ad aumentare la celerità del processo. Questo elemento in realtà non riguarda tanto la certezza della pena classicamente intesa quanto quella percepita. Il pensiero comune, come detto in apertura, in merito alla certezza della pena, non è orientato alla condanna in sé ma piuttosto alla sua pronta applicazione. In realtà in Italia la pena viene erogata, anzi, sulla carta la media della pena è superiore a quella di molti altri Stati. Il problema si verifica prima della sua applicazione. Pensiamo ad un soggetto nei confronti del quale non siano riscontrabili i presupposti per la carcerazione immediata. Nell’attesa del processo, e più raramente di ogni grado del giudizio, questa persona è libera. Vive nel nulla, attendendo un esito incerto che, come una spada di Damocle, lo condanni ad un periodo di sospensione. Questo periodo non è infruttuoso solo per l’imputato, per la sua vita alla Miglio verde, ma anche per la società. La comunità percepisce la mancanza di una condanna immediata, aumentando così la sensazione di pericolo sociale ed il risentimento verso l’incertezza della pena.
Perché vi sia certezza, infine, è necessario che ogni reato venga punito con una sanzione adeguata. Non possono esserci situazioni, come purtroppo ci sono all’interno del codice penale, in cui un reato meno grave viene punito con una sanzione maggiore rispetto ad un altro sostanzialmente più grave. Prendiamo ad esempio la distruzione di un bene mobile: essa è punita in maniera meno severa rispetto all’imbrattamento. Occorrerà quindi sperare che un bene, imbrattato, sia danneggiato irreparabilmente altrimenti, paradossalmente, la sua salvezza comporterà l’inflizione di una pena più severa. Ma questa problematica è intrinseca nel nostro codice. Il progetto, risalente all’epoca post-fascista, di un nuovo codice non è mai stato portato a compimento. Sarebbe dunque necessario riprendere in mano tale progetto o, almeno, pensare ad un completo aggiornamento puntando, un po’ ambiziosamente, all’adeguamento indiretto ad un sistema unico europeo.
Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
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Nato in provincia di Vicenza nel 1990. Laureato in Consulenza del lavoro e laureto in giurisprudenza all'università di Padova, praticante avvocato. Scrivo per IMDI dal 2013.
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