Dai tempi in cui sembravano poco più di un accrocchio di pixel fino alle ultime sboronate ad alta risoluzione, i videogiochi hanno sempre dato enfasi alla grafica e agli elementi di interazione rispetto alla narrazione, e fin qui c’è poco da stupirsi. Eppure le cosiddette Visual Novel, una nicchia di titoli basati strettamente sulla lettura di lunghi testi, con rare possibilità di interazione, fioriscono da molti anni nel bizzarro Sol Levante, e recentemente giochi “text-based” hanno fatto parlare molto di sé anche in occidente, sia nell’ambito dei “nomi grossi” con i giochi basati sulle serie TV di Telltale, o Life is Strange prodotto da Square-Enix, sia in quello “indie” con Undertale, To the Moon e tanti altri casi. Addirittura, sempre più progetti indipendenti stanno tentando la fortuna in questo settore, con idee più o meno originali. Che cacchio sta succedendo? Ebbene, per capirlo, bisogna ovviamente guardare indietro…
Prima di tutto, che cacchio intendiamo con Visual Novel? Non si tratta semplicemente di giochi pieni di testo dove la storia è importante… ma dove la storia è tutto, o quasi. Fondali statici (e spesso riciclati), protagonista che non è quasi mai visibile, personaggi caratterizzati da un numero limitato di sprite, e animazioni pressoché inesistenti. Giochi molto poco interattivi e fondamentalmente a basso budget, quindi. E perché la gente dovrebbe giocarli? Beh, il successo del genere in Giappone dipende in parte dal background culturale comune con manga e anime, ma soprattuto da un certo fattore che fa rima con “no”… quale? La figa, no?
La popolarità delle cosiddette dating-sim (non sono abbastanza giappominkia per conoscere la definizione originale) deriva da un gioco di Konami del 1994 che i brufolodati dell’epoca potrebbero aver sentito nominare su qualche rivista da dissociati: Tokimeki Memorial. Si tratta in soldoni di un “simulatore di appuntamenti”, anche se in realtà si parla più che altro di corteggiamento: in base alle scelte del giocatore, la storia si sviluppa in modo diverso e alla fine si finisce per uscire con una tra le varie donzelle, il tutto in un’atmosfera piuttosto edulcorata, altrimenti sarebbe stato impossibile pubblicarlo anche su console.
Ma da cosa nasce cosa, e qualche direttore marketing particolarmente pragmatico ha capito che quello che spingeva molti ragazzi o non-più-ragazzi a comprare Tokimeki Memorial e i vari cloni era… beh, ci siamo capiti. Da qui, negli ultimi anni ’90, la proliferazione dei cosiddetti Eroge, dove il protagonista di turno finiva per farsi una o più tra le scolarette. Alcuni miei coetanei dall’onanismo facile potrebbero ricordarsi di un certo Three sisters o di altri “classici” che, nonostante la povertà della grafica e la traduzione approssimativa, hanno avuto i loro bei motivi per farsi conoscere anche fuori dal Sol Levante.
Nel mentre, lo sviluppo tecnologico ha reso possibile simulare in un videogioco la grafica degli anime, obiettivo scimiottato dalle prime VN e finalmente ottenuto degnamente da titoli come Clannad e Fate/Stay Night, ancora considerati tra i capostipiti del genere, con trame complesse e di forte impatto emotivo. Perché, a oltre 10 anni dalla loro uscita, sono usciti ben pochi titoli in grado di emularli per qualità? Beh, perché i disegni di qualità costano, fondamentalmente, e la scarsa appetibilità del genere fuori dal Giappone ne ha sempre minato le ambizioni commerciali; ben più comuni titoli low-budget per un pubblico di ragazzine sognanti (le otome, dating-sim al femminile) o di gozzilloni arrapati (le già citate eroge). L’eccezione alla regola è costituita da prodotti che, pur basandosi sul testo e su un numero limitato di animazioni, ambiscono a essere qualcosa di più di una semplice VN, rendendosi così appetibili anche ai gusti occidentali: è il caso delle serie Ace Attorney e Professor Layton, ad esempio, o più recentemente di Danganrompa, ma su Steam vanno anche forte le serie porno-soft come Nekopara e Sakura, o le VN demenziali (ma con un lato serio che non ti aspetti) come Hatoful Boyfriend, di cui ho parlato qui. Grazie anche alla popolarità di questi ultimi giochi, qualcuno ha capito che pure i gaijin possono leggere più di tre righe di testo in un videogioco senza morire di noia, e anche dalle nostre parti si sta piano piano arrivando a interessanti contaminazioni tra romanzo, serie animata e videogioco.
Ultima ma doverosa citazione: la recente proliferazione non solo di giocatori occidentali di VN, ma anche… di sviluppatori! Programmi freeware come Ren’py e community specifiche come Lemmasoft o Fuwanovel hanno stimolato l’ambizione di svariati piccoli team di sviluppo, con risultati altalenanti ma in alcuni casi, come Analogue: a Hate Story o Cinders, incoraggianti dal punto di vista commerciale. C’è poi l’esempio di Katawa Shoujo di cui ho già parlato qui, un progetto senza fine di lucro di un gruppo di folli che da solo ha portato molti alla scoperta del genere: lo inizi a giocare per le scene sporcaccione, lo finisci per i feels.
Bene, qual è il bilancio alla fine di tutte queste chiacchiere? Che se tutto andrà bene, diventerò sviluppatore di VN pure io. Mal che vada, mi metto a fare eroge demenziali… segui intanto la mia pagina FB, entro 3-4 anni ti farò sapere.
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