Prendete un respiro profondo e ripetete con me:
“La riuscita di un film tratto da un fumetto non dipende dall’aderenza al materiale originale.”
Lo scrissi altrove con veemenza e forse fin troppe parole, ma ogni tanto ripetere non fa male.
Ciononostante siamo circondati da nerd frignoni che sono pronti ad apprezzare film scritti e diretti coi piedi solo perché riprendono l’estetica o la trama del fumetto in maniera relativamente fedele. Come già detto nell’articolo sopra riportato: NO, CAPRE.
Questo preambolo mi serve per fare una prima, importante affermazione: “X-Men: giorni di un futuro passato” non c’entra quasi nulla con la storia a fumetti da cui è tratto. Riprende una serie di informazioni di base, ma molti personaggi e molte situazioni hanno subito cambiamenti, se non proprio autentici stravolgimenti.
E visto che il film tutto sommato è godibile, la considero come una piccola, grande rivincita contro i nerd di cui sopra.
Per spiegare come mai io trovi “X-Men…” un film godibile, occorre fare un passo indietro. La saga cinematografica degli X-Men si articola in:
Ne consegue che le mie aspettative nei confronti di “Giorni di un futuro passato” fossero piuttosto altalenanti.
La premessa è interessante (mettere insieme le due linee temporali/narrative dei primi tre film e di “X-Men: l’inizio”), ma il primo trailer era di una bruttezza rara (“Hey, copiamo Christopher Nolan e il suo Batman tristone che va di moda!”). Inoltre Bryan Singer come regista stava uscendo da un periodo di prove discutibili e/o di scarso successo (tra cui il sopracitato orrido film di Superman) e i sei film passati avevano messo in fila un bel po’ di incongruenze tra loro.
Andandosi a impelagare con viaggi temporali e futuri alternativi, questo nuovo film rischiava di complicare ulteriormente le cose e, da un certo punto di vista, così è stato: ci sono dei buchi qua e là che sono rimasti tali in riferimento al corso della saga, ma va anche detto che il finale (SPOILER) crea il presupposto che tutto sia stato cancellato e riscritto senza specificare (ancora) come questo sia avvenuto. E’ una soluzione grossolana, ma non contraddice (in teoria) nulla (ricordate che sono un grandissimo scassacazzi quando si parla di coerenza in un’opera narrativa), lascia solo tante porte aperte.(FINE SPOILER)
Detto questo, il film tendenzialmente si articola su livelli di qualità medi: mai niente di trascendentale a livello tecnico (effetti speciali abbastanza arretrati, funzionali ma non particolarmente esaltanti) o narrativo (forse questo è anche un pregio, anziché creare paradossi e rimandi continui, il film si limita a tenere un’andatura lineare e parallela tra passato e presente, con meno scambi di quanto ci si potesse aspettare), ma fa il suo. Ci sono però dei veri picchi qualitativi e sono ciò che rende il film gradevole alla fin dei conti.
Questi picchi sono dati da personaggi quasi sempre azzeccatissimi e dalle dinamiche con cui interagiscono tra loro: temevo di vedermi un altro film Wolverine-centrico (difetto storico della serie) e invece ne è venuta fuori una trama molto più equilibrata. In particolare Xavier e Magneto nelle loro doppie interpretazioni (Stewart/Mc Avoy il primo, McKellen/Fassbender il secondo) sono personaggi potenti, tragici e incredibilmente affascinanti, articolati su un dualismo giocato su potere, senso di colpa, rimpianti, potenzialità, maturazione. Davvero niente male.
Wolverine da parte sua come già detto non è più al centro di tutta l’azione, ma come sempre Hugh Jackman riesce a dargli un carisma e una presenza fisica invidiabili. Se andiamo a vedere i comprimari, anche qui la situazione è soddisfacente: Jennifer Lawrence si conferma una patata di qualità e la sua Mistica è tanto spietata quanto umana; Evan Peters ci regala un Quicksilver vestito come un idiota ma reso perfettamente su tutto il resto (a lui va la palma della miglior scena di tutto il film secondo la mia modestissima opinione); Nicholas Hoult interpreta un Hank McCoy/Bestia che rende bene la sua natura di “nerd coi muscoli” nonché custode/infermiere di Xavier. Anche figure minori come il gruppo di mutanti ribelli del futuro, pur non brillando per longevità/minutaggio all’interno della pellicola vengono caratterizzati in maniera più che accettabile e non danno l’impressione di essere messi lì per far numero. Si riesce pure a provare empatia per loro in certi momenti, il che non è male affatto per un semplice contorno.
Un altro piccolo, grande pregio di questo “X-Men: giorni di un futuro passato” è l’aver saputo dribblare l’effetto “raccolta di figurine” che la presenza di troppi personaggi generava in film come “X-Men: conflitto finale” e, in misura minore, “X-men: l’inizio”. Ci sono camei, personaggi citati o anche solo intravisti, ma nulla dà mai l’impressione che queste comparse siano fatte per puro appagamento dei nerd in platea. A livello di personaggi questo film è un grande mosaico: alcune tessere sono in primo piano rispetto ad altre, ma è l’insieme che conta e il risultato complessivo è davvero buono.
Unica nota di demerito il Bolivar Trask interpretato da Peter Dinklage: mi secca dover deludere i fan della sua strepitosa interpretazione di Tyrion Lannister ne “Il trono di spade”, ma in questo film il suo utilizzo come attore di qualità è assolutamente al di sotto del minimo sindacabile. Se avessero messo un qualsiasi altro attore il risultato sarebbe stato il medesimo, di conseguenza spiace un po’ che le potenzialità di un attore come Dinklage non siano state sfruttate per niente. Si tratta comunque dell’unico neo in un casting davvero riuscito.
Il ritmo della narrazione è moderatamente lento, ma come cosa funziona piuttosto bene perché ci dà il tempo di apprezzare le dinamiche tra i personaggi sopracitate. L’unica parte in cui si ingolfa un po’ è curiosamente all’inizio, quando Singer deve infilare un numero spropositato di spiegoni su viaggi nel tempo e limitazioni annesse in una sola scena. Complice anche un doppiaggio non esaltante (eufemismo nel caso di Kitty Pride interpretata da Ellen Page: mai ho sentito una dizione tanto forzata), l’effetto è terribilmente didascalico, ma almeno ci risolve qualche mal di testa pensando ai paradossi temporali (merito anche della trama lineare-parallela menzionata più in alto).
Morale della favola: è un film perfetto? No. E’ un film che parte da poche, umili fondamenta e riesce a investire su quello che ha, creando una pellicola che dopo due ore non mi ha lasciato deluso. Siamo tornati ai livelli del primissimo film della saga: un film discreto, forte di tante buone idee e colpevole di una o due magagne tecniche e narrative.
E se visto al multisala con un paio di amici appassionati anche loro di questo genere di film e consumando una cospicua dose di caramelle gommose, ci scappa pure una bella serata.
Sempre meglio che un calcio nei denti, no?
Non molto tempo fa uno studente specializzando operante a Milano venne ingiustamente condannato da un tribunale militare. Evaso da un carcere di massima sicurezza iniziò a spacciarsi per studente Erasmus. E' tuttora ricercato, ma se Spina, Frullo e Weber hanno un argomento di nicchia che interessa a quattro gatti, forse, ogni tanto, ingaggiano il famigerato... COLIN FARTH.
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