Arrivo in pompa magna, urràh! Mesi orsono Spotify approda finalmente nella nostra Italietta. Tutti pazzi di gioia e giubilo per quello che effettivamente è un buono, anzi, ottimo servizio (ben collaudato da anni in terra straniera) e che già conta milioni di utenti al suo nuovo debutto europeo. Il motivo è semplice, un misero log-in e si ha accesso all’equivalente di un iTunes store in streaming gratuito attraverso l’apposita app (anche iOs, Android e WindZoz) o il web-player direttamente via broswer, avendo a disposizione tutto ciò che si possa desiderare ascoltare. L‘utente potrà usare addirittura una simil funzione “Genius” con cui far partire stazioni radio personalizzate su artisti, un album o sigole tracce e playlist. Streaming fluido, buona interfaccia, scrobbling LastFM e per chi sottoscrive un abbonamento premium l’eliminazione delle sporadiche pubblicità tra una canzone e l’altra, una maggior qualità audio, ricchi premi e cottijon. Un paradiso si schiude per tutti gli amanti della musica a portata di click, tutti…
O quasi, perché alcuni in paradiso ci svolazzavano già da più di qualche annetto, a partire da coloro che via proxy o plug-in broswer come HolaUnblocker Spotify stesso lo tastarono al lancio effettivo. Gli altri utenti lo stanno scoprendo ora essendo Spotify forse uno dei primi a questo livello, nonostante non sia sicuramente l’unico ad affacciarsi sull’ormai prospero mercato del free-access ai grandi archivi musicali (lol major discografiche). Il vecchio Pandora, Music Unlimited, Google Play e il prossimo iTunes Radio sono servizi per molti versi simili e sicuramente paragonabili alla creatura in cui si è visto tra l’altro coinvolto anche Sean Parker (Napster, The Social Network).
La differenza con questi risiede principalmente nell’effettiva qualità del servizio, con conseguente popolarità, ma spratutto nella totale gratuità. Tolto Pandora infatti, tutti i servizi sopraelencati sin dal propio day1 hanno scelto la nefasta politica del pay-to-listen, per cui senza una congrua sottoscrizione ad abbonamento è impossibile usufruirne nella totalità delle loro funzioni.
Almeno fino a inizio estate, cioé quando anche :leHappyMerchants: di Spotify hanno ben pensato di capitalizzare sulla base utenti imponendo limitazioni ben più restrittive alla piattaforma (#throwBack parentesi: come fu costretto a fare LastFM con le sue radio, decretando la fine della prima golden age nel free-streaming).
Dopo un periodo iniziale di sei mesi dal sign-up: 10 ore di musica mensili, ossia 2,5 scalate settimanalmente (ogni volta che il tempo durante una settimana non viene utilizzato, le ore rimangono a disposizione). Per intenderci, c’è chi di Spotify fa un uso casual rivivendo le emozioni di Emma Marrone live a Mazzolate sul Cranio, chi invece sfrutta l’archivio per un ascolto preventivo in vista di futuri acquisti ma, se siete anche solo in parte come me e con la musica ci riempite le vostre giornate, la stessa aria che respirate vibra costantemente sulle note di qualcosa, ciò significa che dopo i sei mesi non ricorrerete più o quasi ai suoi servigi (lol, pagare per la musica su internet nel 2013).
Peccato. E allora dopo il “periodo di prova” che si fa? A cosa aggrapparsi nei miasmi della rete per le vostre maratone discografia dei tizi #shazzammati al bar lungi dall’essere consumabili nelle misere due orette e mezza concesse?!?
Quei quattro gattiMatti che il mese scorso hanno letto per sbaglio il mio agghiacciante debutto su queste stesse pagine potrebbero stare timidamente sussurando 8trachs e dimostrerebbero di aver (in)giustamente fatto tl;dr alle prime due righe. Nello stesso articulo infatti cerco di far chiara propio la diversa natura dei due concorrenti, l’uno fondato sull’ascolto ragionato e ricercato di playlist “handCrafted” dall’utenza, l’altro col suo strapotere del grande archivio in cui disperdersi nello shuffle, ma anche dove trovare tutto di tutto on-demand. Ed è qui che entra in gioco il vero concorrente alla pari del ben più blasonato Spotify, ossia GrooveShark.
Misconosciuto, da molti considerato vetusto e non all’altezza, il funky squalo è in realtà una ben più che valida alternativa al mainstream dei servizi a pagamento. Esatto, per prima cosa è ed è sempre restato gratuito nella gran parte delle sue funzionalità e ci sono tutte, possiede anch’esso un archivio enorme al quale è addirittura possibile (e caldamente raccomandato) collaborare con materiale propio, creare playList, ascoltare singole tracce/album/discografie, far partire da esse una radio a tema o di genere via #tag, scrobbling LastFM, applicazioni Android/iOs e addirittura il player in html5. Insomma un clone, un clone che però è arrivato prima (2006 vs. 2008) e in tutti questi anni ha resistito alla tentazione del vil danaro, forse anche per via della base utenti inferiore ad altri servizi (seppur numerosa).
Le differenze comunque ci sono e si sentono, Spotify può vantare il sostegno dell’intera industria musicale, sopratutto big label, per questo non mancherà mai in generi e discografie di grandi artisti come, tòh i Beatles. Dal canto suo GrooveShark non gode dello stesso appoggio (anzi, l’ultimo grande cappottone giudiziario risale al 2012) e se la vostra prima ricerca saranno propio gli Scarafaggi di Liverpool ve ne accorgerete subito ma, fareste un errore a non dargli una seconda possibilità. Infatti mentre su Spotify troverete sempre le grandi etichette, ben presto vi renderete conto che manca tutto quell’underground hipster, il tanto famigerato “you probably never heard of it” che invece contraddistingue GrooveShark (sopratutto quanto concerne materiale inb4 ’72 per questioni di copyright). Etichette indipendenti, le tragedie greche, la colonna sonora di Katamari Damacy o anche “solo” la discografia degli autori dell’OST di Akira, tutte cose che avrete molta più probabilità di trovare nella vasca dello Squalo e in più tutta la musica “di superficie” che amate c’è, a portata di mouse, propio come su Spotify. Solo che mettete play, lasciate andare la radio per una settimana, poi potete continuare con un altra ancora, ancora e ancora. Gratis e senza quelle cazzo di pubblicità, speriamo per sempre.
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