E’ arrivato ordunque ottobre, e legioni di fancazzisti universitari, dopo aver passato l’estate a superare il record di coma etilici in Salento con le dispense lasciate intonse nello zaino tra le mutande sporche e Focus, tornano ad ammorbare le aule universitarie, le sale studio, le mense, le ricevitorie SNAI, i circoli Arci e, ovviamente, i social network.
Tra le principali occupazioni dell’universitario italiano, oltre alla collezione di bottigliacce vuote sopra ai mobili, all’uso improprio dei carrelli della spesa e all’accumulo di tazzine di caffè nel lavandino, c’è ovviamente la tirata boriosa su come il proprio corso di studi sia tanto superiore agli altri, in termini “morali” e di potenziale di occupazione, per giustificare la totale dipendenza economica da papi e mami a 27 anni. Se il soggetto in questione ha molta faccia da culo, tirerà in ballo i dati di Alma Laurea, ma nella maggior parte dei casi le argomentazioni sulla presunta nobiltà del proprio corso sarà “almeno non è facile e inutile come il corso x”. Dove il “corso x”, con poche eccezioni (il buon vecchio DAMS oppure ingegneria gestionale, da parte dei più “puri”, che poi spesso e volentieri sono figuri che si autodefiniscono “startupper” e passano i pomeriggi, se si svegliano in tempo, a googlare “come si fanno le tabelle in html”), è l‘ormai funesta Scienze della Comunicazione.
In questo articolo non voglio combattere contro i mulini a vento difendendo la serietà e l’utilità della laurea in comunicazione (i luoghi comuni, del resto, si basano quasi sempre su un fondamento di verità), né rispondere banalmente che per far carriera devi essere bravo in quello che fai, determinato e un po’ stronzo, non avere un pezzo di carta che certifica veramente poco (non siamo gli USA, e questo brillante articolo degli amici dell’Oltreuomo spiega perché). Volevo invece cercare di capire come mai Comunicazione sia diventata la “scienza delle merendine” per antonomasia, con tante lauree ancora più farlocche di cui però la gente si vanta quando da Bologna torna al paesino di 700 anime per dare una mano nella friggitoria dello zio.
Io ritengo che il problema stia, ironicamente anche nell’infelice nome “Scienze della Comunicazione”. Nei campus americani, infatti, i laureati “zimbello” sono quelli in arte, ben più dei giornalisti, la figura professionale che, a rigor di logica, dovrebbe uscire da una laurea in comunicazione. O almeno, gran parte di chi sceglie SDC lo fa perché si è rotto il cazzo della matematica e tra gli studi non-scientifici sembra quello più adatto per diventare giornalista o scrittore professionale o qualcosa del genere. E se è vero che la professione del giornalista tradizionale è in forte crisi, internet offre sempre più opportunità nell’ambito della comunicazione aziendale, uffici stampa e salcazzo: checché ne pensino gli ingegneri, di gente che sappia scrivere bene e che integri le basi umanistiche con dei fondamenti tecnici di marketing, informatica e diritto (sì, è il profilo di un laureato in sdc) ce n’è bisogno.
E allora perché la laurea in comunicazione viene considerata come inutile (spesso, ma per fortuna non sempre, anche dai datori di lavoro)? E’ proprio il concetto di “comunicazione” a puzzare di fuffa: persino i laureati in sociologia e beni culturali sono inquadrabili in una figura professionale definita, per quanto sfigata. Chi invece è laureato in comunicazione sarà ineluttabilmente scartato a favore dei laureati in giurisprudenza (specie se figli di un imprenditore o manager della zona) in ambito giornalistico e da gente con una scalcinata triennale in economia e un master a caso in marketing in ambito pubblicitario e di comunicazione aziendale. Se poi, superato con patimento l’inferno degli stage e dei contratti a progetto, riusciranno a fare carriera, la promozione sarà soffiata da un ingegnere gestionale random, perché è ovvio che un ingegnere debba fare il capoufficio, no?
Questo per quanto riguarda la “spendibilità” della laurea. Per quel che invece concerne la sua proverbiale “facilità”, evito di starvi a parlare del culo che mi sono fatto per gli esami di linguistica o di semiotica interpretativa quando magari i miei amici di lauree “serie” si bullavano di aver preso 30 copia-incollando un articolo a caso come tesina, perché, sì, gli esami di SDC, nella media, sono facilotti. Quando i corsi in comunicazione comparivano come funghi negli ultimi anni ’90, spesso per riciclare i professori dei dipartimenti sfigati, i laureati in lettere si trovarono spesso con coetanei che passavano esami semplificati rispetto ai loro, ma che non erano costretti a fare 40mila concorsi per elemosinare una cattedra da insegnante in quanto, prima della crisi e quando la loro laurea era ancora considerata “figa”, trovavano spesso buoni lavori in azienda. D’altro canto, all’invidia di filosofi e damsiani si unì l’ira degli ingegneri, che dopo 4 anni di fuoricorso ritenevano scandaloso che dei laureati delle odiatissime facoltà umanistiche potessero ambire a incarichi più nobili del cassiere nel Mc Donald. Questo temibile fuoco incrociato di rivalità, insieme a quanto scritto sopra, portò poi agli sfotto sul tema delle “scienze delle merendine”. Ma pensateci bene, un corso di studi che è stato denigrato e insultato dalla Gelmini e da Bruno Vespa non può poi essere così male.
E quindi? I laureati in comunicazione sono semplicemente vittime dalle circostanze, quando in realtà sono tutti dei novelli Eco? Beh, no, per ogni studente serio e talentuoso che fa ingiustamente fatica a trovare lavoro c’è almeno qualche capra che si trova in qualche modo in possesso di un titolo che magari gli permette di scrivere puttanate in un blog ma che non gli risparmia una crisi nervosa quando si trova davanti un excel pieno di cifre e sigle. Quindi, se volete per forza studiare Scienze della Comunicazione anche voi (sì, se non si fosse capito sono anch’io un merendinaro, con l’aggravante della magistrale in semiotica), fatelo con serietà e cercate di applicare quanto imparato con un lavoro serio (fa lo stesso anche se non pagato o pagato pochissimo, tanto prima o poi vi tocca) già durante gli studi. E se invece fate un altro corso di studi siate almeno un po’ più originali con gli sfottò, dai, anche se capisco che vi manchi la nostra padronanza della lingua.
Ps: non per fare il bullo, ma per fare una marchetta, grande skill degli esperti di comunicazione, io grazie alla laurea in comunicazione ho aperto una casa editrice.
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