Gruppo scialbo, ripetitivo, mai innovativi, gli Elio e le Storie Tese si stanno muovendo verso un sempre più inevitabile declino, del quale L’album Biango è la prova tangibile.
Ecco, queste sono le parole che nessuno utilizzerebbe per descrivere il lavoro dei sei milanesi.
Nati sulle orme di un rock demenziale Skiantos-style, hanno sviluppato uno stile tutto loro, complesso ma orecchiabile e “musicale”, il tutto ricoperto da un umorismo non sterile, che anzi modifica attivamente la musica suonata.
Andando ad analizzare il lato tecnico, questo album risulta molto più pop dei precedenti: meno genialate sia a livello di testi che di musica. Pochi riferimenti sessuali, poche citazioni, pochi messaggi criptati e poco non sense. Ciò nonostante, questo lavoro si dimostra comunque interessantissimo e stilisticamente ottimo, anche se con meno “eliosità” ; aperto ad un pubblico più vasto, ma un po’ deludente per i fan di lunga data.
Analizziamo singolarmente le tracce:
Dopo una piccola intro imitante un telegiornale russo, con l’annuncio del tema principale negli ultimi cinque secondi, la canzone lancia subito tutti i suoi colpi: intro orchestrale, umorismo linguistico e figure retoriche; il tutto si chiude in un ritornello orecchiabilissimo, ma non scontato. Molto orchestrata e piena di cori (come peraltro la traccia successiva), essendo pezzi nati per Sanremo.
Dopo una ripresa dell’intro, la seconda traccia si apre con una liricissima sezione Elio+Orchestra, evidente sfottò degli altri artisti del Festival. Il pezzo è oramai celebre per il Do di Belisari; ciò che i più tralasciano è la marea di invenzioni, sempre diverse, con la quale i sei riescono a mantenere alto l’interesse sul pezzo. Nonostante la singola nota, il cantato è tutt’altro che sterile, influenzando costantemente la musica ed essendo costantemente influenzato da essa.
Interplay nella sua forma più pura.
Magistrale ritorno delle Figu, insieme alle voci ottavate, direttamente da Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu. Solo chi ha mai suonato in un gruppo capirà il significato più profondo di questo pezzo.
Una raccolta di tutte le disavventure che possono capitare nell’ecosistema “Sala Prove”, suonata in uno stile volutamente bambinesco, che non impedisce ai sei di dimostrare la loro maestria e perfetto affiatamento. Da notare l’assolo di armonica di Paolo Treves.
Probabilmente la traccia che lascia più l’amaro in bocca. Un rock tra Police e Toto, con una progressione poppeggiante ma azzeccata, i suoni giusti, gli assoli giusti,una modulazione minore nel punto giusto, tutto giusto.
Eppure manca di quelle punte di stile che hanno fatto grandi gli Elii.
Dalla parola Penis ci si aspetterebbero grandi cose, giochi di parole, riferimenti, samples, un pizzico di volgarità. E invece niente. Per carità, ci sono battute, ma non di quelle che ti fanno ridere come uno psicopatico mentre ascolti il pezzo camminando per strada.
Un nuovo personaggio assurdo sfornato dalla mente degli Elii, un pugile che non viene picchiato in quanto occhialuto, con non poche rime meravigliose (come “botte/boxe”), pause inaspettate, ritmo azzeccato, anche se pare forzato l’uso degli archi nel chorus. Genialata nella parte finale della canzone, dove la perdita di denti di Luigi trasforma la voce di Elio.
Atmosfera alla sala da ballo anni 50 (con Faso alla seconda chitarra) resa in modo perfetto, dalla chitarra “spiaggiosa” ai cori armonizzati. Bell’assolo di chitarra e basso sul tema.
A parte la meravigliosa intro stile Big Band e le orchestrazioni di fiati (compreso assolo di tromba), pezzo fortemente sottotono. Basta ascoltare come lo stesso argomento sia stato trattato sia stato trattato in “Servi della Gleba” per comprenderlo.
Davvero poco da dire su questo pezzo. Stesse lodi e stessi difetti di Lampo. Soffre soprattutto se raffrontato alla pirotecnicità della precedente e della successiva traccia.
Suonato dagli Area, gruppo italiano attivo dalla metà degli anni 70 fino a metà dei 90, pezzo dominato dalle tastiere di Fariselli, incalzate dal drumming di Paoli; il tutto contornato dal Basso di zio Tavolazzi. Mistica, quasi atonale.
Un compendio di tutto ciò che rende grandi gli Elio e le Storie Tese, tra la parodia, la volgarità, il meta-umorismo e l’umorismo linguistico, in poche parole quella eliosità che manca al resto dell’album. E FINALMENTE APPARE MANGONI( sotto la cui invettiva, ascoltando bene, si sente il tema di “Bella Ciao” suonato in chiave “balcanosa”).
Gli Elii riescono a sviscerare generi per poi ricomporli in chiave personale, rendendo la loro parodia perfino migliore dell’originale, dopo averla annegata nel nonsense e nello sfottò.
Anche la critica, lungi dall’essere sterile insulto, diventa spunto musicale, come nel caso del “percussionista ghanese”, che permette di inserire una sezioni di percussioni tribali, o nel caso del complesso “molto povero” che apre una sezione di musica gitana.
La lunghezza della traccia (quasi 19minuti ) nasconde ben 2 Ghost Track:
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