”… L’oppressione insopportabile dei polmoni…
le esalazioni soffocanti della terra umida…
le vesti mortuarie strettamente aderenti…
il rigido abbraccio dello spazio angusto…l’oscurità della Notte assoluta…
Questo è l’incipit presente sulla copertina del libro di Edgar Allan Poe Racconti del Terrore grazie al quale mi innamorai follemente del terrore e del grottesco garantito da E.A.Poe. In realtà avevo letto un racconto di Poe a liceo (esattamente durante le lezioni di E.L.S.A., cioè narrativa) ed in particolare Il Gatto Nero. Tornando al libro, è ovviamente una raccolta di racconti inquietanti (100 pagine 1000 lire dei tascabili Newton), dico ovviamente poiché i racconti di Poe sono prevalentemente riuniti in raccolte, spesso divise per “aree tematiche”: del terrore, del mistero , dell’assurdo ecc.
Da amante del genere distinguo sempre la narrativa di King e Poe, reputando quella di quest’ultimo come terrore PURO; leggendo i romanzi di Poe, oltre a tornare ad uno stile ed a parole oramai non più in uso, si trovano anche storie e paure tipiche del passato, ma allo stesso tempo contemporanee. I racconti, anche se brevi, sono colmi di intensità, di attenzione dei particolari e cura dei personaggi, cosa che sicuramente aiuta molto nel lavoro di immaginazione. Partendo proprio dal Gatto Nero si percepisce subito quella sensazione di orrore che va crescendo nel proseguire nella lettura, un orrore che viene raccontato in prima persona e senza appellarsi a risvolti nel paranormale, bensì nel quotidiano, tra le mura di casa. Dopo aver letto questo racconto manderete affanculo tutti i micini for the lulz che affollano internet.
In questo racconto non c’è spazio per l’immaginario, ma solo una violenta e sanguinosa realtà.
La caduta della casa Usher invece è un racconto di matrice marcatamente gotica, e questa casa può essere benissimo definita come madre di tutte le case horror della letteratura come del cinema. Un racconto che lo stesso Freud definì perturbante, non per la storia in sè, per la bara bianca ma, penso, per l’atmosfera che lo stesso Poe crea, un alone di solitudine e “umidità” pervade tutta la storia ( non so perchè ho usato la parola umidità, ma è la prima che mi è venuta in mente per esprimere la sensazione che ti appiccica addosso).
La Tafiofobia, ovvero la fobia di essere sepolti vivi, è una paura che pervadeva (credo che lo faccia anche oggi) molta gente dell’epoca: di questo parla La sepoltura prematura. È incredibile quanta angoscia si riesca a percepire leggendo questi racconti, e sono sicuro che se leggerete questo racconto, avrete il fiato corto e la necessità di respirare… e di ordinare una campanellina al più presto.
E ora arriviamo al racconto che probabilmente conoscete tutti, e che è a mio avviso epico: Il cuore rivelatore. È un racconto lasciato nell’anonimato, non ci sono nomi, luoghi o altro. È pura follia. Molto simile a Il gatto nero in realtà, dato che anche qui dopo momenti di interminabile mattanza si arriva alla rivelazione. C’è un intreccio molto curioso in questo racconto, da una parte l’impercepibile (i suoni non possono essere ascoltati da orecchio umano) dall’altro la verosimilità rappresentata dalla pazzia, dall’ossessione. Il TRIONFO della follia. Tump-tump, tump-tump, TUMP-TUMP (lo sentirete, ve lo garantisco).
Una discesa nel Maelstrom e Il manoscritto trovato in una bottiglia possono essere descritti come racconti di mare in cui mette l’uomo si misura con la forza degli elementi, uscendone sconfitto ed impotente.
L’ultimo racconto di questo libro e di questa recensione è Il pozzo e il pendolo. È un racconto ambientato un po’ indietro nel tempo rispetto all’epoca dell’autore ed è fra quelli maggiormente apprezzati dai lettori perché qui Poe descrive con maestria l’ansietà del protagonista (un prigioniero) in attesa della sua morte, una morte lenta come lento è il fluire del racconto.
Probabilmente si configura anche come un inno alla libertà fortemente limitata durante il periodo storico in cui si svolge il racconto. Intensità al racconto viene data, oltre dal pendolo che pian piano squarcerà il protagonista, anche dal fatto di essere raccontato in prima persona. Il protagonista è condannato ad una morte lenta, al buio, condannato per le sue idee Illuministe, quindi affermando il Lume della ragione vede i suoi giorni finire al buio dell’ Oscurantismo. Un capolavoro anche dal punto di vista della narrazione storica insomma.
Qualche giorno dopo aver scritto questa recensione, mi sono ritrovato a rileggere (ri-ri-ri) alcuni racconti che ho recensito qui e come ogni volta c’e’ stata una frase che mi ha fatto chiudere un attimo il libro e guardare fuori dal finestrino con aria pensante, vagamente gay. La frase in questione e’ questa:” Chi non ha mai perso i sensi non è colui che trova strani palazzi e fisionomie vagamente familiari nel carbone incandescente; nè è chi vede fluttuare a mezz’aria tristi visioni che i più non vedono; non e’ colui che medita sul profumo di qualche sconosciuto fiore; nè colui la cui mente si perde dietro al significato di talune cadenze musicali che non avevano mai attratto prima la sua attenzione”. Riflettete gente, riflettete.
Che goduria è stata scrivere questa recensione, ragazzi, davvero. Quanto leggere i racconti del terrore.
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