Sempre il solito discorso: i videogiochi sono violenti e causa di violenza. Che sia vero o meno lo lasceremo dire agli esperti, perché qua tratteremo dell’altra faccia della medaglia, partendo da quella semplicissima frase che nessuno vuol mai dire a voce alta, perché trovandosi difronte ad una schiera di ignoranti videoludici è un attimo, e si passa da videogiocatori compulsivi a psicopatici fatti e finiti: la violenza è divertente.
Lo è. C’è poco da dire in merito. La violenza simulata è divertente. Prendere un ammasso di poligoni e pixel e farlo passare sotto le ruote di una macchina è divertente. Fargli cadere in testa un peso considerevole è divertente. Legarlo ad un razzo artigianale e farlo partire nelle vuote immensità di un deserto per acciuffare uno struzzo velocissimo è divertente… Ma forse quello non è un videogioco.
Ecco allora i 6 videogiochi violenti più violenti di tutti i videogiochi violenti, più controversi tra i videogiochi controversi e più divertenti tra i controversi videogiochi violenti divertenti.
Anche solo la trama di questo famosissimo videogioco della Rockstart Games è un tripudio dark e disperato: James Earl Cash, detenuto per vari crimini violenti e condannato a morte, viene salvato dall’iniezione letale dal regista Lionel Starkweather che lo “assolda” per girare uno snuff movie di epiche proporzioni. Il povero ma non troppo protagonista si vede quindi catapultato a Carcer City, dove centinaia di criminali suddivisi in gang lottano per il territorio e il potere, e per ucciderlo, soprattutto.
Cash dovrà quindi farsi strada in questo sanguinolento teatrino a colpi di mazza, ascia, spada e sacchetti di plastica, tentando di sopravvivere fino all’incontro finale, per ottenere così la libertà. Il gioco preferisce e consiglia un approccio stealth, quando non si parla delle sezioni in cui è necessario usare la pistola, ed è anche abbastanza difficile e lento in certi punti: attendere che un nemico sia in posizione ottimale per poterlo uccidere silenziosamente e senza allarmare i suoi alleati richiederà tempo, ma tutto viene ripagato con il gran numero di esecuzioni silenziose presenti e divise per arma. Un sacchetto in testa e una ginocchiata nei denti, un colpo di falcetto laddove non batte il sole o la cara vecchia decapitazione per spolverare un po’ di evergreen sono solo alcuni delle decine di modi in cui potrete toglier la vita. Non c’è molto altro da fare oltre a seguire la semplice trama e uccidere qualsiasi cosa si muova, e alla lunga potrebbe risultare anche abbastanza ripetitivo.
Menzione d’onore al secondo capitolo, arrivato nel 2007 (quattro anni dopo il primo) che conserva le medesime meccaniche ma, ovviamente, con una grafica rinnovata.
Quando la Marvel porta il suo personaggio più oscuro alla ribalta videoludica lo fa bene e senza mezzi termini.
La storia di questo capitolo, prodotto da Volition Inc., è assolutamente dimenticabile: The Punisher è a caccia dei membri della Eternal Sun, una gang locale capeggiata da Jigsaw, altro personaggio Marvel. Punto.
Scalando la gerarchia a colpi di pistola e quant’altro, il punitore arriverà in ultimo alla testa del serpente, completando la sua missione. È perlopiù un semplice videogioco d’azione, criticato da molti per il suo essere lineare e ripetitivo, il gameplay infatti non brilla particolarmente, ma il suo punto forte e novità sono gli interrogatori. Qualsiasi nemico infatti avrà delle informazioni da darvi come il numero di nemici nella prossima area, la strada da percorrere o il codice per aprire una porta. E siccome si parla di videogiochi violenti di certo questi interrogatori non saranno per niente all’acqua di rose: perché non schiacciare la faccia del criminale di turno contro una sega circolare? O minacciare di trapanargli il cervello? O magari appenderlo a testa in giù da un tetto e farlo ondeggiare un po’? Tutte cose che potrete fare per rendervi il gioco più facile e per godersi un po’ di giustizia stile The Punisher.
Il primo capitolo fu prodotto da Running With Scissors nel 1997, un action a visuale isometrica che raccontava la storia di un signor nessuno che impazzisce e uccide tutti. Tutto qua, niente storia. Il secondo non è particolarmente diverso il “Postal Dude” come gli sviluppatori stessi lo chiamano, è un cittadino normale che fa cose normali: comprare il latte, ritirare un assegno, pisciare sulla tomba del padre. Purtroppo trova sempre un qualche tipo di problema lungo la strada, come una protesta, dei macellai pazzi, soldati dell’esercito e altro, che si frapporranno tra lui e il suo obbiettivo. Le cose si risolveranno sempre allo stesso modo: piombo per tutti e arrivederci, in un tripudio di smembramenti, gente in fiamme estinguibile con la propria urina e gatti con canne di fucile su per l’ano per essere usati come silenziatori. Una storia divertente e un personaggio sopra le righe rendono il secondo capitolo godibile per qualche ora; il simil open-world offerto al giocatore aumenta la libertà ma, come detto, tutto si risolve in una e una sola maniera, la varietà di armi e modi di uccidere civili innocenti è un divertimento che invecchierà in fretta.
Sono stati spesi fiumi di parole sul sacro mostro di casa Rockstar. Ad ogni capitolo una nuova ondata di mamme si precipitano in preda alle sacre convulsioni a fare raccolte firme e dio solo sa cos’altro per impedirne la pubblicazione. Eppure GTA vive.
Con le sue folli corse in automobile e sparatorie mortali GTA non è intrinsecamente violento. Il background è abbastanza normale nonostante racconti sempre la storia di un criminale, o aspirante tale, che incontra altri criminali per scalare le gerarchie e ascendere al successo e al potere. È forse l’assoluta libertà e quindi le possibilità a renderlo violento: investire centinaia di pedoni ignari in mille modi diversi, sparargli, colpirli, annegarli, bruciarli, tutti metodi di morte possibili e assolutamente non inerenti alla trama in sé. Una libertà da accostare al gameplay che non stanca mai e ad un intreccio complicato, longevo e colmo di sfaccettature è il mix perfetto e che, come è sotto gli occhi di tutti, paga sempre. L’ultimo capitolo, in particolare sta avendo una innaturale lunga e sempre fresca vita grazie alla possibilità di giocare online.
Creato da Platinum Games e distribuito da sega, Madworld è una esempio di videogioco estremamente violento per Wii.
Un gruppo di terroristi chiamati The Organizers liberano un virus in Varrigan City, comunicando che chiunque ucciderà un altro cittadino riceverà il vaccino. Consci del potenziale, l’intera città viene trasformata nel gameshow che avrebbe dovuto ospitare da lì a poco: DeathWatch, uno show abbastanza autoesplicativo.
La follia di un’intera città viene portata alla ribalta e non senza piccole chicche: la grafica ricorda la fotografia di Sin City, l’unico colore oltre al bianco e al nero è il rosso del sangue versato dai nostri nemici mentre in sottofondo due speaker esagitati commentano il tutto come fossero allo stadio. Lo stile grafico, il gameplay solido e le musiche hanno ricevuto molti apprezzamenti dalla critica di tutto il mondo, sfiorando il 10/10 su alcuni famosi siti di recensioni. Dall’altra parte e quasi unitamente è stato biasimato per la sua enorme dose di violenza, aggravata dalla storia.
Madworld alla fine è un action arcade che non stanca e fila liscio dall’inizio alla fine, diverte e stimola con il suo design più unico che raro e l’enorme quantità di modi con cui uccidere.
“I giapponesi sono strani” è la frase più sentita quando ci si interroga sulla cultura del sol levante. Al di là di bieche e vuote riduzioni, in casi come Rapelay è difficile smentirlo. Uscito nel 2006 dal grembo di casa Illusion, è forse uno dei videogiochi più controversi, poiché porta davanti alle tastiere di tutto il Giappone un tema ancora più spinoso e molto meno trattato della più semplice violenza: lo stupro. Come già il “sottile” e di classe nome poteva suggerire, in questo videogioco sarete uno stupratore. Seguite la vostra vittima mentre torna a casa dal lavoro, attendete un luogo oscuro e appartato e fate la vostra mossa. La vittima sarà alla vostra mercè e potrete lanciarvi in atti di vario tipo, scegliendo vestiti, azioni e posizioni.
Inutile dire la montagna di critiche ha creato (fuori dal Giappone). Con una grafica in pieno stile giapponese e un gameplay limitato e ripetitivo, Rapelay è più un porno interattivo che un videogioco, e la cosa comunque non macina punti a suo favore.
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