Torna IMDI in cucina con due ricette etniche al passo coi tempi: Tzatziki e Kiopoolu (o Babaganush)!
Dopo aver esplorato insieme i recessi più profondi del vostro portafogli con gli italianissimi spaghetti alle cozze, oggi vi proponiamo due preparazioni stuzzicanti ideali per un aperitivo finger food, da portare a una festa o come rinfrescante cenetta estiva.
I recenti fatti di cronaca ci proiettano sempre più verso l’oriente, queste terre “esotiche” alle porte della nostra europa sono teatro di conflitti e instabilità che ci toccano da vicino. Con la recente ondata di flussi migratori siamo sempre più spesso esposti a nuove contaminazioni culturali e culinarie, ma si sa, le guerre in cucina fanno solo aggiungere buchi alla cintura e a tavola le intolleranze comportano soltanto qualche disturbo di pancia.
Allora, perché non mettere da parte la ruspa e provare per una volta a vestire i panni di un rifugiato affamato?
Lo Tzatziki è l’ormai arcinota salsa “greca” che fa già da contorno a molte preparazioni entrate a far parte del nostro panorama street-food, primo fra tutti il kebab, ma quella che troviamo per strada il più delle volte è semplicemente una crema acida a base di oli vegetali e yogurt, ben lontana da quello che mangiano oltre l’Adriatico. Il vero tzatziki è un altra cosa, ma sopratutto non è a esclusivo appannaggio dei greci!
Gran parte dell’area balcanica e persino alcune zone aldilà del Bosforo possiedono una loro versione di questa gustosa ricetta, figlia della cucina contadina, in qualunque paese dell’est con alle spalle qualche millennio di tradizione nell’allevamento esiste una salsa a base di yogurt aromatizzata con vari ingredienti. Ma è in particolare nei paesi che si affacciano sul Mar Nero che la tradizione ha dato vita alle mille e una versioni che questi popoli mettono tutti i giorni sulle loro tavole, la ricetta cambia letteralmente casa per casa. Quella che vi propongo io è lo tzatziki Bulgaro, più precisamente della capitale Sofia, un approccio personale che mi è stato tramandato direttamente da mia nonna.
Ma come vi starete giustamente chiedendo il titolo recita “Tzatziki e Kiopoolu” e allora cosè il secondo? Il Kiopoolu o “caviale di melanzane” è una preparazione che se possibile estende le proprie radici ancora più ad est, quasi fino ai paesi arabi dove è noto come Babaganoush. La versione universalmente più conosciuta è infatti quella mediorientale, della tradizione persiana, che comprende anche ingredienti come la pasta di ceci e l’olio di sesamo. Anche in questo caso però “persiana” è una denominazione geografica che calza stretta, forse anche più dello Tzatziki, il Kiopoolu è un piatto veramente onnipresente sulle tavole dell'(purtroppo)ex Impero Romano d’Oriente. Una ricetta base che col tempo ha assunto veramente infinite sfaccettature, anche all’interno di uno stesso paese possono esistere decine e decine di varianti.
Per fare un esempio, oggi vi propongo una versione sempre bulgara della ricetta, sempre della capitale Sofia, sempre di mia nonna. Ma se volessi, spostandomi di poco verso la costa, ad Harmanli, dalle parti di suo marito, ovvero di mio nonno, già dovrei aggiungere peperoni e pomodoro agli ingredienti, per dire.
Tutto chiaro no? Ah no? Perché proporverle insieme dite? Questi due grandi classici della cucina orientale e medio orientale insieme coprono praticamente la totalità dei paesi coinvolti dall’ondata di conflitti etnici e religiosi che sta stravolgendo la regione a partire dalla prima metà degli anni ’90 ad oggi. Ecco perché. Come da titolo, questa ricetta vuole essere un modo per sdrammatizzare sulle follie umane con una bella stretta di mano a tavola. In più le due salse sono assolutamente complementari e addirittura vedrete che nel procedimento utilizzeremo gli stessi contenitori e utensili tra una preparazione e l’altra senza alcun problema di interazione tra i sapori, anzi guadagnandone in gusto!
E dopo questa “breve” introduzione da romanzo russo: Tzatziki e Kiopoolu.
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Cominciamo la preparazione dal Kiopoolu, prevedendo anche un passaggio nel forno iniziare dalle melanzane ci permetterà di incastrare bene i tempi delle due ricette durate il loro tempo di cottura.
Le vostre melanzane dovranno essere belle mature, di un viola scuro intenso, sode e con la buccia liscia senza ammaccature o macchie, perciò non come le mie.
Pulite bene le vostre melanzane sotto un getto di acqua corrente.
Strofinate bene la superficie con le mani e non risulterà necessario l’uso di alcun additivo chimico per la disinfezione.
Asciugate la superficie delle vostre melanzane prima di infornarle, non farà un enorme differenza ma una cottura ad aria secca all’interno del forno permetterà alle melanzane di perdere i propri liquidi con maggiore rapidità. E poi di questi tempi sprecare carta in cucina fa molto professionale.
Rivestite con carta da forno una leccarda antiaderente abbastanza capiente da contenere comodamente entrambi i frutti.
La mia non è una leccarda, è una teglia-stampo di Natale a forma di albero, però è antiaderente e con un po di fantasia potete immaginare che sia a forma di Star Destroyer.
Forate la superficie della buccia con i rebbi di una forchetta o con la punta di un coltello, senza bisogno di scavare dei buchi, questa operazione servirà a far uscire l’umidità dalla melanzana sotto forma di vapore.
Ponete le melanzane nella teglia esattamente così come sono, intere. Non rimuovete il picciolo e per l’amor di Dio non tagliatele in quarti o a metà per farcele entrare meglio.
Vogliamo che si stufino nella loro stessa buccia, come se fosse un cartoccio naturale. Perché sprecare pure alluminio?
Impostate il forno statico a 200°c o 180°c per quello ventilato.
Adagiate le vostre melanzane sul ripiano centrale del forno.
Non preoccupatevi se saranno vicine alle resistenze, la melanzana è naturalmente molto ricca d’acqua e difficilmente rischierete di bruciarle.
Impostate il timer a un ora, indicativamente dovrebbe bastare, quello che vogliamo ottenere sono dei frutti ben morbidi e facili da sbucciare che abbiano perso gran parte della loro umidità. Naturalmente maggiori le dosi maggiori i tempi di cottura.
Non preoccupatevi, un ora vola via e nel frattempo avremo già concluso al 100% con il nostro Tzatziki! Anzi, ci scappa pure la pausa cannetta…
Adesso siamo pronti a fare sul serio con yogurt e cetrioli.
Sceglieteli non troppo grandi, sodi e con la buccia ben tesa. Sopratutto con il caldo i cetrioli tendono a perdere croccantezza e raggrinziscono facilmente sui banconi del supermercato, conservateli in frigorifero per ottenere una salsa già fresca subito dopo la preparazione.
Lavateli bene sotto acqua corrente, sopratutto se vorrete mantenere qualche pezzetto di buccia per dare colore alla preparazione finale.
Sbucciate i vostri cetrioli prima di svolgere qualsiasi altra operazione, così facendo avranno qualche minuto per perdere un po della loro umidità e non trasuderanno eccessivamente. La loro acqua di vegetazione e lo yogurt infatti tendono a non mischiarsi per via delle particelle di grasso presenti nel latte e questo può portare a un antiestetico residuo in superficie nella preparazione finale (comunque aggirabile rimescolando spesso la salsa). Con questa ricetta in particolare velocizzeremo di molto il processo ricorrendo a un piccolo robot da cucina, con però lo svantaggio di accentuare ancora di più questo processo. Se vorrete veramente stupire con la qualità del vostro Tzatziki il mio consiglio è di ricorrere al buon vecchio coltello e olio di gomito.
Per donare una sfumatura di colore in più potete decidere di lasciare qualche traccia di buccia che salteranno subito all’occhio nella preparazione finale con il loro bel verde acceso. Attenzione però a non esagerare, la buccia del cetriolo è molto amara e potreste compromettere il risultato finale.
Sbucciate due becche d’aglio medie aiutandovi con il solito trucchetto del coltello a lama larga o schiacciandole con il palmo della mano.
Non abbiate timore di sperimentare, in questo caso mischiare due varietà di aglio diverse amplierà lo spettro della vostra base aromatica.
Spaccate le noci e liberatele da ogni traccia di guscio, due per cetriolo faranno già il loro dovere ma per una texture ancora più croccante non abbiate timore di abbondare.
Naturalmente andranno benissimo anche delle noci già sgusciate e pronte da usare, ma occhio al prezzo!
Ora prendete il vostro robot da cucina… Non ce l’avete? Poco male, certo oggi con 50€ ci si può portare a casa uno strumento dignitoso ma non c’è niente di sbagliato ad essere poveri o un poco nostalgici della tradizione. Se questo è il caso, in entrambe le preparazioni vi consiglio di ricorrere al buon vecchio mortaio e pestello. Sopratutto nel caso delle melanzane infatti l’obbiettivo finale sarà una crema omogenea con però quel che di rustico dato dai pezzettini interi sfuggiti al mortaio. Per la base invece vale in entrambi i casi il vantaggio di avere un fondo quasi omogeneizzato tra i vari aromi, che andrà poi a fondersi con gli ingredienti principali.
Questo è l’originale pestello e mortaio in legno della tradizione bulgara, un oggetto affascinante, sopratutto per le donne che di generazione in generazione ci hanno lasciato i tendini delle braccia. Da notare infatti il generoso spacco “vintage” sul lato del pestello.
Ma torniamo nel 2016, versate nel bicchiere del robot tutti gli ingredienti della vostra base aromatica: Aglio, noci sgusciate, Aneto, un tappo di aceto e pepe. Ma non l’olio, lo aggiungeremo più tardi, anche per evitare di ungere gli ingredienti nel mixer rendendoli sfuggenti alle lame del frullatore.
L’aneto è una pianta aromatica tipica delle cucine dei paesi di clima continentale o comunque freddo, molto usata sia fresca che secca in tutti i Balcani fino al nord del Baltico. In italia può invece risultare più difficile da trovare, anche se spesso è disponibile in piantina dai vivai, può essere più pratico ripiegare sulla versione essiccata reperibile negli ormai onnipresenti “bangladini” che ormai invadono le nostre città soffocandone l’economia.
Non indugiate troppo (circa 20 secondi) sul mixer e utilizzare le velocità più basse del vostro utensile, quello che vogliamo ottenere è un finto “effetto mortaio e pestello” ossia aglio e aneto ben amalgamati con però dei pezzettini di noce ancora riconoscibili sotto i nostri denti.
Più o meno così. Non vi preoccupate di raccogliere il composto dalle pareti, tra un attimo penseremo anche a quello direttamente con i nostri cetrioli.
Questa è la parte in cui non ci vuole una laurea in ingegneria. Sostituite la lama del vostro utensile con lo strumento per affettare à la julienne con la base aromatica ancora all’interno del mixer, così che sia lo stesso cetriolo a ripulirla dai bordi per voi, successivamente mescoleremo le due fasi in un altro contenitore.
Un cetriolo grosso, bello, che riflette.
Et voilà! Bel lavoro Super-Womanator 2000.
Come vi ho già accennato prima, sarebbe stato meglio svolgere questa operazione “di coltello” per non incorrere nello spappolamento delle pareti cellulari del cetriolo. Naturalmente in quel caso non avremmo ambito a un risultato così rapido e omogeneo, ma con un po di olio di gomito è sufficiente tagliare in due il cetriolo per la lunghezza e una volta poggiato saldamente sulla parte piatta così ottenuta ricavare tanti più tagli longitudinali possibile, che andremo poi a trasformare in “fiammiferi” tritando nel senso opposto.
Svuotate dunque il bicchiere del frullatore in una ciotola capiente dove mescolare bene le due fasi della lavorazione fin’ora ottenute.
A questo punto potete aggiungere l’olio. Un buon extra vergine di oliva certo andrà benissimo, ma se volessi essere veramente fedele alla tradizione dovrei optare per un olio di semi, più precisamente per l’olio di girasole. Infatti è l’olio alimentare più usato nei paesi dell’est sia per cultura che per economicità, inoltre se di buona qualità e ottenuto a freddo senza ulteriori processi di raffinazione non ha nulla da invidiare sia nutrizionalmente che organoletticamente al suo cugino mediterraneo.
Sposate lo yogurt con la vostra base aromatica e il gioco è fatto! Due paroline sullo yogurt: oltre a volerlo obbligatoriamente intero perché rinunciare al 3% di grassi è mentire a sé stessi, sappiate che qui in Italia e lì nel “secondo mondo” associamo la parola yogurt a due cose ben diverse. Mentre il nostro cremosetto e dolciosetto batuffolo di fermenti lattici omogenizzato non è altro che una poltiglia quasi insapore, là hanno il vero yogurt di latte intero vaccino al 4,5% di grassi, non omogenizzato e Dio solo sa se pastorizzato o meno. Vi posso assicurare che è tutta un altra cosa, l’acidità è pungente, la consistenza soda e gelatinosa lo fa uscire quasi a stampino dal barattolo ed il sapore è di vero latte, sembra quasi cagliata.
Qui in Italia l’unico succedaneo veramente vicino all’esperienza originale (neanche tanto) incredibilmente è il prodotto discount marchio “Milbona” della Lidl, praticamente identico in tutto e per tutto, ma prodotto in Germania. Perciò se avete sotto casa una succursale della nota catena, a malincuore vi consiglio di ottenere lì il vostro ingrediente più importante per questa nostra ricetta. Non cascate nemmeno per un istante dietro la chimera dello yogurt greco da supermercato, prodotti inutilmente grassi che si sforzano di essere cremosissimi all’inverosimile e invece finiscono per essere pastosi, per di più a prezzi ridicolmente alti.
Come potete vedere dall’immagine ho trasferito il composto in una ciotola più grande, anche per farvi vedere la quantità d’acqua buttata fuori dai nostri cetrioli “frullati”. Non fraintendetemi, non gettatelo, quel liquido è dolce e saporito come l’Ambrosia ma non si omogeinizzerà mai con le particelle di grasso presenti nello yogurt e se lascerete il vostro Tzatziki a riposo anche solo per pochi minuti ve ne accorgerete subito. A voi la scelta, se l’occhio vuole il 100% dalle vostre ricette scansatelo e riutilizzatelo, magari per condire delle bruschette, io l’ho rimesso dentro e tanta pace all’anima dei narcisisti della forchetta.
But wait, there’s more riponete il vostro capolavoro in frigo per il tempo necessario a completare la nostra doppietta e cominciamo con il Kiopoolu.
Pausa cannetta o non, se ha suonato il timer è ora di tirare fuori those bad boys dal forno e dargli quantomeno un occhiata. Le nostre melanzane devono essere ben morbide ma non troppo raggrinzite.
Se le vostre melanzane non sono così belle rimettetele in forno finché non avranno imparato che nella vita l’aspetto è tutto.
Intanto che si raffreddano capate l’aglio, pepate e versate un tappo d’aceto nel bicchiere del vostro mixer insieme a un pizzico di Chubritza, ossia Satureja hortensis, ossia nient’altro che l’italianissima Santoreggia. Quest’erba aromatica ha uno degli areali di utilizzo più vasti tra le spezie e la si può trovare praticamente in tutta Europa, nord Africa, Medio Oriente e ne esiste addirittura una sottospecie Americana. Non avrà un impatto stravolgente sulla ricetta ma donerà complessità al sapore della melanzana arrotondandone la naturale amarezza.
Non vi curate di pulire il vostro robot da cucina tra una preparazione e l’altra, anzi aggiungete pure un cucchiaio del vostro Tzatziki alla base aromatica del Kiopoolu per dargli cremosità. Aneto e Chubritza si sposano perfettamente.
Quando le melanzane saranno maneggiabili, ponetele in uno scolapasta con un piatto sotto e iniziate a sbucciarle delicatamente aiutandovi con un coltellino. Per quanto commestibile e anche piùttosto saporita, la buccia delle melanzane risulta indigesta ai più rendendo il piatto molto pesante. Stesso discorso vale per il liquido di vegetazione, una volta sbucciata curatevi di strizzare bene la melanzana fino a quando non avrà rilasciato gran parte del liquido marrone e amaro che contiene. Con questi due accorgimenti renderete il vostro caviale di melanzane alla portata di chiunque oltre a migliorarne di molto sapore e consistenza.
Le nonne una volta lasciavano scolare naturalmente le melanzane per ore e ore, ma noi giovani d’oggi siam fatti così si sa.
Separate grossolanamente la melanzana in filetti e poneteli poco per volta nel mixer, facendo cura di raccogliere tutto il ben di Dio che si è andato accumulando sulle pareti durante la precedente preparazione, prima però date pure un paio di colpi di lama all’agio per tritarlo finemente.
Non sforzate troppo la macchina mettendo contemporaneamente tutte le melanzane, cominciate con una e aggiungetene man mano facendo bene attenzione che la lama raggiunga i nuovi pezzi.
E questo è il risultato, una salsa cremosa dalla consistenza vellutata, con l’occasionale pezzetto di melanzana rimasto qua e là a dare un tocco rustico alla preparazione.
Anche in questo caso piano con la manopola, non ci serve un frullato ma una crema omogenea, 20 o 30 secondi al massimo dovrebbero essere sufficienti.
Trasferite il composto in un contenitore abbastanza capiente per mescolarlo, io ho riutilizzato la stessa ciotola dove avevo furbamente fatto la prima commistione tra i cetrioli e la base aromatica, così da ritrovarmela impregnata con quegli odori.
Ponete a riposare in frigo con un coperchio mentre diamo il tocco finale alla nostra presentazione. Curatevi di stendere bene lo strato superficiale dell’impasto così che non prenda troppa aria ossidandosi prima del tempo.
Ed ecco il colpo di grazia, crostoni di pane di grano duro scottati a fiamma lenta direttamente sul fornello, una combo micidiale nonché l’accompagnamento perfetto per far esprimere al meglio le nostre due ricette.
…Ed ecco il frutto dei nostri sforzi! In un ora abbiamo portato a tavola un pezzo di qualcosa che fino a qualche decennio fa non ci apparteneva minimamente, un pezzo di storia, un piccolo tassello del melting-pot culturale Europeo di cui facciamo inesorabilmente parte. Fino a qualche anno fa l’aglio crudo in Italia nella cucina popolare era relegato alla bruschetta e poche altre preparazioni per “coraggiosi pionieri” dell’alito da camionista. Ma oggi chi si vergogna più di dire di aver degustato una raffinata tartarre allo Tzatziki o aver partecipato a un delicatissimo aperitivo lounge a base di specialità orientali? L’esotico ha sempre avuto il suo fascino. Le generazioni di profughi balcanici sbarcati in Italia con la guerra del Kosovo hanno avuto figli, che a loro volta hanno avuto altri figli, magari con italiani. Gli immigrati dall’URRS dopo la caduta del muro sono qui da molti più anni e ormai la cucina fusion macina stelline Michelin in tutto il mondo, perciò eccomi qua a far entrare a fare parte anche voi di questo fenomeno sociale di massa, l’integrazione! AH, a tavola si può, ha gia funzionato e il bene, anzi il buono, ha vinto. La pizza al kebab non ci spaventa più ma il kebbabbaro ancora si.
23 Settembre 2016
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