Rilanciare l’economia in Italia non è semplice. Il titolo riprende uno scritto satirico di Jonathan Swift, in cui suggeriva di risolvere la grave carenza di carne di buona qualità in Inghilterra e la sovrappopolazione irlandese vendendo i bambini irlandesi in eccedenza agli inglesi, con carne a buon prezzo e in abbondanza per tutti. Nonostante fosse una palese provocazione molte persone vi credettero e si sdegnarono, così come molti anni dopo migliaia di americani entrarono nel panico a causa di uno scherzo radiofonico di Orson Welles che raccontava dello sbarco degli alieni sulla Terra. Oggi milioni di persone credono nella pseudoscienza, nelle scie chimiche e in altre fandonie. Nulla di nuovo, quindi, ed ecco il perché scelgo di citare Swift nella mia (non tanto) modesta proposta.
In Italia l’economia è in crisi. Una profonda crisi sistemica che sta trasformando un paese industriale (industrializzato con politiche demenziali che l’hanno privato di una sua solidità strutturale, lasciandolo in completa balia di aiuti di stato mascherati da detassazioni, baby pensionati ed altre politiche economiche da assoluti incompetenti) in un paese post-industriale, costituito da fornitori di servizi frammentati e privi di potere contrattuale ne di tutela (chiunque abbia una partita iva sa di cosa parlo, chiunque abbia una partita iva e lavori nei “nuovi settori” di comunicazione, pubblicità e marketing sa DOLOROSAMENTE di cosa parlo). Ci ritroviamo quindi in un paese dove gli indici di benessere sono dati dai consumi e non dalla produzione, con un enorme patrimonio privato, milioni di pensionati e di statali e una concezione quantomeno asfittica del progresso e dell’innovazione.
Ora, ci sono due strade. La prima consiste nel salire sulla cassettina della frutta, puntare il ditino e dare la colpa a qualcun altro (scegliere tra i bersagli più gettonati: i politici ladri sottosezioni Renzi Grillo Berlusconi, le tasse, l’Unione Europea, gli immigrati che ci rubano il lavoro, scie chimiche, rettiliani, Pippo Franco, chi vi pare). La cosa positiva è che dopo aver puntato il dito ed esservi lamentati potrete evitare di fare qualcosa di concreto, la cosa negativa è che non cambierete un beneamato cazzo. E in generale, urlare e/o dare ragione a chi urla non cambierà un beneamato cazzo.
La seconda, che è solo un’ipotesi ed un parto malato della mia mente, è un’idea. Come ogni idea sembra buona fino a quando non la si attua, potrebbe essere una stronzata come no. La mia idea è che viviamo in una società capitalista. Il capitalismo, come ogni ideologia, è buono nella teoria e può essere più o meno buono a seconda di come lo si attua. Ora, il problema è che il sistema capitalista tende a remunerare chi possiede il capitale, considerando tutto il resto una semplice variabile dell’equazione di profitto che per comodità chiameremo RISORSA. Ora, una risorsa è il tempo di un operaio per assemblare un dato prodotto, un dato ambiente e il suo inquinamento, l’energia eccetera. La somma delle RISORSE dà il COSTO. Più il COSTO è basso più potrà essere basso il PREZZO di un PRODOTTO che verrà venduto in quantità sempre maggiori remunerando il capitale, che per essere remunerato il più possibile dovrà tenere più bassi possibili i costi. Fino qui nulla di male, se non fosse che la vita delle persone non si può considerare un mero costo, e così la tutela dell’ambiente, la scelta delle fonti energetiche e tutta una serie di temi etici che concorrono a formare, insieme al reddito generato dal lavoro o dal capitale, la qualità della vita. Questo è un tema non nuovo, discusso finanche da Kennedy prima che gli spalmassero il cervello come un formaggino, quindi non mi dilungherò.
Vengo invece alla mia idea. Definiti i concetti che oggi governano il mondo, ci sono anche qui due strade. La prima è cambiare il mondo. Che equivale a cambiare casa perché vi si è otturato il cesso: costoso, difficile, dagli esiti imprevedibili. E potreste non riuscirci in tempo utile e ritrovarvi a cagare sulla merda vecchia di quattro giorni, e non è cosa buona. La seconda strada invece si rifà ai principi del judo. Prendere la forza dell’avversario e usarla per atterrarlo, con un dispendio minimo di energia. La mia idea è quella di trasformare il consumatore/prestatore di lavoro in capitalista. Intendiamoci, è un cambio di paradigma e mentalità epocale, di non facile percezione, quindi proporrò qualche esempio.
Caso1 Sardegna e crisi economica La Sardegna vive una profonda crisi economica perché le sue attività estrattive e di lavorazione dei minerali non si avvalgono più dell’energia sovvenzionata dallo stato che quindi non sono più concorrenziali e chiudono lasciando migliaia di persone a spasso. Inoltre agricoltura e allevamento sono piagati dalla concorrenza estera e da malattie come la lingua blu per gli ovini. Ora, immaginiamo che con una presa di coscienza collettiva i sardi si coalizzassero per far produrre la loro terra. Potrebbero realizzare dei reef artificiali per allargare le spiagge, più performanti ed estetici delle dighe foranee, facendo lavorare manodopera specializzata e operai. Spiagge più larghe significa maggiori possibilità di insediare stabilimenti balneari, aumentando il servizio e quindi andando incontro ad un ceto medio impoverito che non si può più permettere le mete tradizionali come Costa Smeralda e Golfo degli Aranci. Potrebbero rilanciare l’immobiliare creando regolamenti che obblighino all’uso di determinati stilemi costruttivi per creare omogeneità nel paesaggio, e contemporaneamente aumentare i servizi (ci sono zone non coperte da segnale cellulare. Nel 2014). Potrebbero cooperare proprietari immobiliari, agricoltori e allevatori per la cura del paesaggio e la vendita dei prodotti sia ai flussi turistici sia ai mercati esteri (una casa immersa in una campagna curata è il segreto della bellezza della Toscana, per esempio). E così via.
Caso2 Aziende in crisi Prendiamo la FIAT, come esempio principe. L’azienda è in crisi(in Italia) perché compete sui costi e gli operai, sindacalizzati, costano troppo. E allora perché gli operai non se la comprano? Si consorziano, versano una quota, fanno un’OPA e si comprano il pacchetto di controllo. Dopodiché se l’azienda lavora bene, si portano a casa i dividendi, se è gestita male licenziano gli amministratori che gli fanno perdere soldi e lavoro. Ogni operaio darebbe consigli migliorativi al prodotto forte della sua esperienza, ci sarebbe innovazione e le vendite salirebbero perché i proprietari dell’azienda sarebbero orgogliosi di acquistare un’auto fatta da loro (e se la potrebbero permettere). Nessuno però ha mosso un dito, salvo mandare avanti i sindacati, questioni, scioperi e altre cose assolutamente inutili, oggi.
Non è un concetto nuovo. Si tratta semplicemente di cooperazione. Il classico uovo di Colombo, la cooperazione è molto usata in ambiti di volontariato, umanitari, ONG, ONLUS. Ma pochissimi di questi ambiti prevedono il profitto, e quelli che dovrebbero tutelare una categoria, come i Consorzi, non si rendono conto delle sinergie che perdono. Come è possibile che un dettagliante piagato dalla crisi, dai centri commerciali, dai blocchi del traffico eccetera non riesca a comprendere il valore, il potenziale enorme che la cooperazione può dare? Come è possibile che non si riesca a capire che generare iniziative genera irrimediabilmente denaro? Prendete per esempio il fenomeno della “movida” nei centri medio-piccoli, termine spesso abusato per consentire a studenti fuorisede del Salento di ubriacarsi con rum del discount. Quale potrebbe essere il valore aggiunto di iniziative d’arte, come performance, mostre, concerti finanziati da un moderato aumento dei prezzi dei drink a fronte di una clientela più desiderosa di godersi un’esperienza anziché di stordirsi di birre comprate dal kebabbaro? Più ordine, meno problemi, più soldi. Anche un modo per fare cultura infine, facendo lavorare chi ogni giorno si impegna per portare qualcosa di bello ai nostri occhi, come gli artisti? (No studenti del DAMS, voi probabilmente sarete in un appartamento con gli studenti salentini a sfondarvi di canne).
Abbiamo per le mani un potenziale enorme, inesploso, pronto a proiettare il nostro Paese in particolare in vetta. Abbiamo Arte, Cultura, Idee, Fabbriche, abbiamo tutti i fattori per poter funzionare come una potenza economica, eppure un giovane su due è disoccupato e ci preoccupiamo ancora della precarietà. Ma la precarietà è insita nelle persone libere, quelle che invece di alzarsi alle sei per andare in fabbrica possono permettersi di pensare e studiare di fare qualcosa di nuovo, grande, bello. Abbiamo di più eppure lo usiamo di meno. Abbiamo accesso illimitato alle informazioni e giochiamo a Candy Crush Saga. Possiamo studiare gratuitamente qualsiasi cosa grazie alle biblioteche, a internet e ai corsi a libero accesso alle università e ci piaghiamo il cervello con puttanate come l’omeopatia. Ridiamo ai post di ScuolaZoo.
Ricordiamoci sempre che siamo noi a determinare il nostro destino. Sta a noi decidere se essere Uomini o Servi.
Umile braccio armato di Frullo. Se avete bisogno di qualcosa, dovete chiedere all'uomo col fucile. Per parlare con me http://ask.fm/ImdiSpina, per richieste particolari inerenti a imdi.it [email protected], per richieste particolari inerenti alla mia persona (n-no homo) [email protected]
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