L’economia turca ha percorso molta strada negli ultimi dieci anni ed Erdogan ora punta a fare della Turchia una delle prime dieci economie al mondo entro il 2023. Ma le difficoltà interne innescate dallo scandalo corruzione, le proteste di piazza e le crescenti tensioni provenienti dai limitrofi stati di Siria e Iraq hanno appesantito lo scenario.
Fino al 2013, il Pil nazionale e il Pil pro capite sono raddoppiati mantenendo un tasso di crescita medio annuo del 5%. La crescita esponenziale del Pil turco è stata accompagnata anche da una diminuzione del Debito Pubblico dal 74% al 36% del PIL. Come se non bastasse a rendere l’idea di quanto sia cresciuta l’efficienza del sistema turco, possiamo aggiungere questo dato; il tempo stimato per l’apertura di una società in Turchia è compreso tra i sei e gli undici giorni, che dire, in poco più di una settimana e con il capitale giusto ci si può trovare con un business in mano.
L’economia turca è cresciuta anche grazie ai numerosi investimenti stranieri derivati dalla delocalizzazione della produzione del settore auto, della meccanica industriale e dell’industria manifatturiera conseguendo così una diminuzione del 4,5% del tasso di disoccupazione negli ultimi cinque anni portandolo al 10%.
Il numero di abitanti è cresciuto fino a 79 Mln e ha una tendenza positiva.
Tutto ciò a prova del fatto che la Turchia è un paese davvero moderno e in costante crescita.
Ma che tipo di conseguenze potrebbero verificarsi, a seguito di quello che è avvenuto, nei prossimi giorni?
Ricapitolando, dopo il fallito golpe del 15 luglio, e tutto ciò che ne consegue (situazione d’instabilità, malcontento e incertezza), al mattino di lunedì la borsa di Istanbul ha aperto in perdita del 5%,con una svalutazione della Lira del 4,8%.
Anzitutto, guardando all’Italia, che ha una bilancia commerciale all’attivo nei confronti della Turchia, il Bel Paese non potrà che rimetterci: i turchi avranno più difficoltà a importare dai nostri produttori.
Le imprese turche avranno più difficoltà a rapportarsi con i mercati. La Turchia infatti è un paese che importa più di quanto esporti, pertanto le sue imprese correranno il rischio di ritrovarsi con delle spese legate alle forniture molto più elevate. Detto ciò è anche vero che la svalutazione della lira comporterà una maggiore competitività dei loro prodotti su tutti i mercati.
Prendendo in considerazione il fatto che sia un paese povero di materie prime per quanto riguarda il settore energetico (petrolio e gas) ma ricco di materie minerali (boro (72% del fabbisogno mondiale), marmo e soda) la bilancia commerciale non potrà che peggiorare,dato che dal punto di vista energetico le risorse interne sono in grado di coprire solamente poco meno del 15% del fabbisogno nazionale.
L’Italia è al 5° posto tra i fornitori della Turchia, con una prospettiva al ribasso; ed è quarta, al rialzo, tra i clienti dei turchi, secondo ice. I rapporti economici e commerciali con la Turchia sono eccellenti e l’Italia si colloca sempre ai primi posti tra i principali partner del paese (con il livello record di scambi raggiunto nel 2011, pari a 21,3 miliardi di dollari, e ottimi risultati fatti segnare anche nel 2012 e 2013 con circa 20 miliardi di dollari). Per il 2014, sono apprezzabili sia il livello delle esportazioni (12 miliardi di dollari), che quello di importazioni dalla Turchia verso il nostro Paese (7,1 miliardi di dollari), con un saldo attivo a favore dell’Italia di circa 5 miliardi di dollari.
Non potremmo che rimetterci da un rallentamento di un paese così lontano e così vicino.
Alessandro Michele Rivolta
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