Se lo chiedevano anche durante l’età classica, infatti hanno inventato il finanziamento del contenzioso. In sostanza, si trattava di fornire assistenza finanziaria al titolare di un diritto leso, di modo che avesse la possibilità di farlo valere in giudizio. Ottenendo magari un grasso risarcimento, in grado di soddisfare sia il soggetto leso che il finanziatore.
L’istituto, come già detto, nacque in epoca classica, parallelamente nelle società greca e romana. L’età dell’oro però la vide nell’Inghilterra del Basso Medioevo, agli sgoccioli del quale fu proibito probabilmente a causa del dilagare degli abusi di tipo usurario. Il divieto durò per ben seicentonovantadue anni, fino al 1967. Sulla scia di alcune considerazioni più o meno contemporanee, che ritenevano i tempi oramai maturi per la reviviscenza dell’istituto, quest’ultimo fu di nuovo elevato agli onori della liceità. Da quel momento, dopo un paio di decenni di sana meditazione, il finanziamento del contenzioso ha assunto un ruolo di preminenza nel panorama del contenzioso civile e non, in quasi tutto il mondo.
In Italia, chiaramente, non se ne è (quasi) mai sentito parlare.
Una definizione univoca non esiste, può concretizzarsi in talmente tante forme diverse che fornire una descrizione valida per tutti i fenomeni correlati non sembra possibile. Può variare il soggetto finanziatore: da investitore privato a un istituto di credito, oppure può essere lo stesso studio legale a fare un accordo col cliente. Può avvenire per un giudizio davanti l’autorità giudiziaria oppure nell’ambito dell’arbitrato; può intervenire prima o dopo l’instaurazione del giudizio o l’inizio della procedura arbitrale. Il soggetto finanziato può essere tanto l’attore quanto il convenuto. Insomma, non è un fenomeno dai confini ben delimitati ed è proprio per questa caratteristica che si pongono problemi di regolamentazione.
Tutto ciò che interessa sapere per capire di cosa si parla è che c’è un soggetto titolare di un diritto leso, il quale per poter vantare il proprio diritto in giudizio ha bisogno che un soggetto terzo gli presti del danaro. Questo finanziatore sarà poi ricompensato con una buona fetta dell’eventuale risarcimento frutto della vittoria nel giudizio.
Se siete italiani e non siete dei grossi industriali, purtroppo sicuramente non voi. Nel Bel Paese infatti il fenomeno non ha ancora preso piede come in altre parti del mondo, probabilmente per via dei grossi problemi del nostro sistema giudiziario.
Gli investitori infatti, che per la maggior parte sono istituti di credito, prima di finanziare un caso fanno un’attenta analisi delle probabilità di vittoria che questo presenta, del suo valore (si tratta spesso e volentieri di cause in cui le sole spese legali superano abbondantemente il milione di euro), nonché dell’ordinamento in cui si svolgerà il giudizio: quale investitore potrebbe mai voler investire in un caso di cui si saprà l’esito dopo lustri?
Se però vivete nel Regno Unito, o in un Paese del Commonwealth, per non parlare degli USA, oppure in qualche importante centro sede di arbitrati intenzionali, come Hong Kong o Singapore, non preoccupatevi: troverete sicuramente assistenza finanziaria su misura per il vostro caso. L’importante è che abbiate buone probabilità di vittoria e siate disposti a rispettare i vincoli imposti dal finanziatore. Questi infatti può imporre varie condizioni, tra le quali la più frequente è la scelta del consulente legale (l’avvocato, ndr), come a dire:”Ci metto i soldi, lasciami decidere in mano a chi lasciare tutto quanto”.
In generale sì. Permette a privati o enti, in una situazione di momentanea crisi, di poter vantare un diritto in giudizio e magari di poter risanare la stessa crisi. Quindi l’istituto principalmente assolve ad una importante funzione di allargamento dell’accesso alla tutela giurisdizionale e arbitrale.
Contestualmente però funziona anche come filtro: i casi più deboli, con scarse probabilità di vittoria, non superano il vaglio del finanziatore, quindi non accedono alla tutela giurisdizionale/arbitrale, garantendo un mantenimento dello standard qualitativo dei casi azionati. Possiamo concludere che il finanziamento del contenzioso è utile a garantire in molti casi un’eguaglianza sia formale che sostanziale nel circuito della giustizia.
Ogni caso che viene presentato al soggetto finanziatore per ottenere il finanziamento subisce una rigorosa procedura di valutazione: si cerca di capire la probabilità di successo, la durata, le spese, se ci potrebbero essere altri soggetti coinvolti, ecc. Solo dopo si procede all’instaurazione del giudizio. Il finanziatore quindi investe del denaro nel caso riducendo al minimo la componente aleatoria dell’investimento e attendendo quindi un ritorno economico (che spesso raggiunge il 50% del risarcimento ottenuto). Questo meccanismo fa in modo che si ragioni su un caso come si ragiona su un qualsiasi strumento finanziario. Chissà se un giorno avremo un mercato regolamentato per lo scambio di casi?
Si pensi pure al caso dell’arbitrato internazionale: se l’arbitro (o uno degli arbitri) è in qualche modo legato al soggetto finanziatore, sarà rilevante il conflitto di interessi? Ancora oltre: è necessario dichiarare che si sta fruendo del finanziamento del contenzioso, proprio per evitare problemi come quello di cui poco sopra? E se sì, fino a che punto si deve estendere la dichiarazione? Andrebbe rivelato tutto il contratto?
Queste sono domande che ancora non hanno risposte definitive, i legislatori di tutto il mondo hanno iniziato da poco a rivolgere l’attenzione al fenomeno. Vedremo cosa accadrà.
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
23 Ottobre 2016
23 Ottobre 2016
5 Novembre 2014
20 Maggio 2013
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
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