Il monsignore polacco Krzysztof Charamsa fino a pochi giorni fa ricopriva cariche di tutto rispetto all’interno della Chiesa cattolica: ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede, segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana e insegnante di teologia alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum a Roma. Questo fino a quando ha deciso di rivelare al mondo la sua omosessualità e rivendicare la vita di coppia che conduce con il suo compagno.
Questo coming out alla vigilia del Sinodo sulla famiglia avrebbe potuto rappresentare un importante atto simbolico a favore della comunità LGBT; peccato che Charamsa abbia anche dichiarato che il libro che racconta la sua esperienza è già pronto per la stampa, e e viene da pensare che il vero fine del Monsignore sia farsi pubblicità. In un mondo ideale questo non influirebbe affatto sulla situazione, poiché su certe questioni si dovrebbero giudicare le idee e non come si comporta chi le porta avanti.
Ma questo non è un mondo ideale: il monsignore è stato cacciato e rimarrà il sospetto che abbia solo cercato di attirare l’attenzione per lucrare sull’omofobia della Chiesa – dopo aver peraltro vissuto per anni con lo stipendio da prelato, cui vanno ad aggiungersi le remunerazioni per i vari incarichi che ricopriva, al contempo violando uno dei concetti fondamentali della prelatura: consacrare tutto sé stesso al servizio della Chiesa e di Dio. C’è anche un altro problema: il suo libro, che avrebbe potuto risultare qualcosa di interessante per la posizione degli omosessuali all’interno della Chiesa, sarà invece trascinato nelle polemiche sull’ipocrisia del suo autore. E finirà prevalentemente nelle mani di morbosi mangiapreti che lo useranno per vomitare cattiverie gratuite sulla Chiesa. Il riconoscimento degli omosessuali, temo, dovrà aspettare ancora.
A. & R.
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