Salve a tutti, sono di nuovo Cat e oggi vorrei parlarvi di un argomento assai lolloso: gli italiani all’estero. Torno da una settimana di ferie in Egitto, dove ho potuto costantemente monitorare l’atteggiamento dei nostri connazionali in una situazione assai problematica, quella delle VACANZE.
Chi viaggia spesso sicuramente conoscerà il problema: gli italiani, quando si tratta di andare in ferie, diventano le bestie più assatanate, esibendosi in teatrini a dir poco tragicomici. Si parte dal comportamento in aeroporto, per poi passare alle scenate nell’aereo di turno, arrivando fino al ritorno in un’escalation del terrore che ti porta ad odiare i nostri conterranei.
Partendo dall’inizio, si capisce che il nostro animale selvatico detto comunemente VIAGGIATORE comincia la sua drammatica evoluzione già all’aeroporto di partenza. Lo stress è tanto, le code pure , e hanno tutti almeno una ventina di kg di bagaglio da portarsi dietro. Le code diventano perciò l’occasione perfetta per scaricare lo stress, braccando costantemente chi ci precede o segue per assillarlo con discorsi privi di senso, domande imbarazzanti, alla costante ricerca di informazioni riguardanti il posto dove devono andare.
La cosa che più mi ha stupita è che gli italiani in partenza, se costretti a rispettare una coda, si attaccano tutti insieme come le zecche, neanche fosse una questione mortale il rispettare un mezzo metro d’aria tra uno e l’altro. Ecco che vedi allora coloro che hanno già fatto il biglietto che disperatamente si devono dimenare in mezzo a code apocalittiche, dove ci si può a malapena spostare di qualche millimetro, bagaglio al seguito. Gli italiani vivono con la costante paura che qualcuno gli inculi il posto, che la tipa alla scrivania si stufi di aspettare due secondi in più, che il tapis-roulant non faccia il suo dovere. E’ pazzesco.
Si passa quindi al check-in, dove la tensione cresce in maniera esponenziale. Quell’aggeggio a raggi x deve creare veramente una certa soggezione, e il metal detector diventa una sottospecie di belva mitologica, e te ne accorgi dalle facce dei presenti: tutti pallidi, col terrore di avere del metallo addosso, dell’acqua nel bagaglio a mano. Con una fretta incredibile (nonostante ci siano venti minuti di coda) si tolgono tutto ciò che hanno chiedendosi se anche il ferro che assumono contro l’anemia possa far suonare la BESTIA. Con cautela mettono il bagaglio nelle fauci del mostro, stando ben attenti a non toccare le striscioline di gomma, neanche dovessero essere ingoiati anche loro,non sia mai che gli stacca una mano. Infine, con passo felpato, passano sotto lo sguardo implacabile della porta degli inferi, che esprimerà il suo verdetto con un minaccioso bip, sotto gli occhi impassibili di una guardia che probabilmente ha fatto le ore piccole e ne ha i coglioni pieni di vedere i turisti, ma a loro fa paura lo stesso. “SIAMO SALVI!!” sembrano dire le loro facce una volta terminata la tortura. E si passa all’imbarco. Ci manca solo che si mettano ad abbracciarsi in lacrime alla “C’è posta per te”.
Ora di imbarco: 7.30. Ora attuale: 7.28.
Cominciano i commentini carichi di panico dei presenti: ma farà ritardo? dove sono le hostess? perchè non vediamo nessun autobus parcheggiato davanti al gate? dove cazzo sono? QUI NON SI PARTE PIU’. Serpeggia in maniera a dir poco dilagante la disperazione dei presenti.
Ora attuale: 7.32
Finalmente, dopo un’estenuante attesa di ben TRE MINUTI arriva il personale. La scena che si presenta ricorda molto le docce di gas dei lager: tutti si ammassano a piramide di fronte alla hostess, scavalcano sedie, panchine, donne ,bambini, si tirano spintoni e gomitate, alcuni utilizzano il bagaglio come arma contundente, il tutto per assicurarsi per primi dei posti PREASSEGNATI. Ma adesso dico io, che cazzo corri? Boooooh.
Si arriva quindi all’autobus, quegli autobus che vanno a zero all’ora dove si è tutti ammassati come i pinguini, e dove l’argomento obbligatorio da trattare è il caldo. Oh, si lamentano proprio tutti eh!
Una volta arrivati in aereo parte la pazza corsa per aggiudicarsi il posto (che ricordo essere preassegnato) e per mettere a posto il bagaglio. Parte una competizione insanguinata, tutti contro tutti a insultare chi ha messo lo zainetto perchè non ci sta la valigia, a stringersi in quel minuscolo corridoio per far passare gli altri che poi alla fine ti passano sopra, a litigare perché “c’ero prima io”. Ma zio porco vorrei dire, non lo vedi in che cazzo di belva stai appoggiando le chiappe? Zio billy ottanta chilometri di aereo, che tanto poi il bagaglio a mano praticamente lo apri solo per tirare fuori il lettore e le riviste ,e rompi i coglioni perché lo devi mettere due posti in là rispetto a dove sei tu? Sempre più sconvolta. Ed è per questo motivo che il mio bagaglio lo tengo con me. Lo appoggio sotto i piedi e mi sta bene così.
Il viaggio in aereo prosegue tranquillo, a parte i rompipalle standard. Ne elenco alcuni: mamma con bambino urlante, compagnie chiassose di amici (e mi dispiace doverlo dire ma per la maggior parte sono meridionali), il vicino di posto che si deve alzare ogni due secondi, la signora che non ha un cazzo da fare perché ha dimenticato la settimana enigmistica a casa e quindi ti stalkera silenziosamente per leggere quello che leggi tu ( e tu fai finta di niente ma in realtà la cosa ti urta).
Arrivati a destinazione riparte il crazy far west per far vedere il passaporto, la carta d’identità o per fare il visto d’entrata. Una volta arrivato all’estero, il viaggiatore italiano prende un virus tremendo che agisce a livello nervoso, impedendogli categoricamente di fare la coda. E’ un virus contro il quale non c’è vaccino, che provoca quindi ammassi di persone allo sportello senza nessuna regola matematica, senza nessuna disciplina. Mentre facendo la coda ci avresti messo mezz’ora, in questa maniera in un’ora e mezza sei ancora ammassato là, chi sviene non casca nemmeno tanto che si è appiccicati, nemmeno a Woodstock la gente era così attaccata, nemmeno quelli ignudi che fornicavano. A momenti ci si fonde insieme in un unico, grande, enorme italiano con una valigia gigantesca e delle gocce di sudore che pesano cinque chili l’una che quando cascano si alza il livello del mare.
L’italiano appare così disorientato, come un cucciolo di panda senza la mamma, ed ecco che parte il processo dell’IMPRINTING con la guida. Ebbene sì, noi ci ricorderemo praticamente solo di COLEI, la prima persona che parla italiano e che non ha una valigia che incontriamo in aeroporto, e che ci viene a salvare da quei brutti cattivi che guardano le foto di quando avevamo ‘ntanni e ci eravamo tinti i capelli di verde sui nostri documenti.
Arrivati nel luogo del pernottamento, una volta trovata la stanza (sperando che vada bene), si deve affrontare quella che per la maggior parte degli italiani all’estero è una piaga biblica: IL CIBO.
L’italiano può mettersi a dormire una settimana su un cesso, può nuotare in un mare color puffo andato a male, può portare al guinzaglio le pulci domestiche rinvenute nella camera e magari anche affezionarcisi e portarle a casa, se mangia bene. Ma se mangia male….APRITI CIELO!! Di colpo la spiaggia caraibica, i pesci pappagallo a riva, i pavimenti lindi e chissà quale altro lusso,lazzo, divertimento diventano MERDA.
Ok, ho capito, noi italiani abbiamo una delle cucine più apprezzate al mondo, ma mica esistiamo solo noi cazzo. Ecco che le strutture si organizzano quindi per accontentare un po’ tutti i palati italiani e non, creando quel tipo di cucina che accontenta un po’ tutti, quella internazionale. Consiste in un tot di piatti che soddisfano tutte le necessità fisiche dell’individuo: il dolce, il salato, la frutta, la verdura, la pasta, il riso… di solito è tutto a buffet, e generalmente in parte c’è un cuoco straniero col cappellone bianco che magari ti prepara la specialità del giorno.
Ora, volete veramente dirmi che per una settimana si muore?! In Egitto ho mangiato la pizza che fanno loro (che non ha niente a che vedere con la nostra) col ketchup, E MI E’ PIACIUTA (orrore!!!) . Alla mattina mi facevo fare l’ovetto fritto col french toast e lo mangiavo proprio volentieri, io che la mattina a malapena una brioche e forse manco quella. Ho rinunciato al caffè per non farmi male, ma ho sempre mangiato e anche decentemente. Ho bevuto il the caldo perchè era buono, e ogni tanto mi compravo il mango e me lo mangiavo se avevo voglia di frutta. Tuttavia il nostro animale da cortile, l’italiano medio, decide immediatamente di farsi male mangiando la PASTA.
Cosa succede se io, italiano, mi metto a preparare un chicken tandoori senza averlo mai preparato in vita mia, col solo ausilio di un post-it con scritta sopra una frettolosa ricetta? Probabilmente verrà una schifezza per l’indiano che lo assaggerà. Allora perchè all’estero bisogna per forza impuntarsi a voler mangiare italiano che NON SONO CAPACI?
Sono giunta a una conclusione: probabilmente nel cibo italiano ci sono delle fortissime droghe diluite che a distanza di 12 ore causano tremende crisi d’astinenza, peggio di quelle che provocano gli stupefacenti classici. Non si spiega altrimenti la testardaggine del connazionale nel voler trovare a tutti i costi la cucina di casa anche quando quella locale magari è più buona. Ci sono mezze penne che una volta cotte diventano 50 centimetri, che le tagliano a fette e ti dicono pure ” tre etti e due, lascio?”. Ci sono sughi improbabili frutto di miscugli mefistofelici che nonostante abbiano dentro il mondo non sanno di niente. IL GRANA NON ESISTE, è il grande assente delle nostre ferie fuori dall’Italia, sostituito da dei fantomatici cheese bianchicci e dall’improbabile natura. Nonostante ciò l’italiano mangia lo stesso questa improponibile schifezza, lamentandosi poi che fa schifo. Ma che cazzo pretendevi?!?
L’alternativa esiste: entri nelle cucine, ammazzi il cuoco, e ti metti a cucinare tu. Il risultato è schifoso comunque, e sapete perchè? Perchè gli ingredienti sono diversi, per cui alla fine il prodotto è comunque differente. Portai alla mia amica irlandese delle zucchine italiane, limoni, pomodori e altra verdura. Dopo il viaggio in aereo (un’ora e mezza in tutto) già non sapevano da niente, ma erano comunque meglio della verdura che girava lì, che di facilmente riconoscibile aveva solo il colore. Dunque l’italiano che non si vuole adattare si arrangi.
Si arriva dunque alla prima mattina passata nel villaggio, dove c’è la consueta riunione che però viene chiama breathing perchè fa più figo con la nostra mamma guida di cui parlavo prima, quando mi riferivo all’imprinting. Armati di una pila di fogli da far paura alla Fabriano, gli italiani attendono con impazienza che la mamma parli e che magari li imbocchi con qualche vermetto, cosa che però non succede. La seconda intendo.
Parte così un monologo di DUE ORE E MEZZA riguardante tutte le escursioni disponibili e i relativi costi, ed è lì che si distinguono le tre categorie fondamentali di turisti compatrioti: coloro che le fanno tutte (per cui una vacanza dai 700 euro iniziali arriva a 2000), coloro che ne fanno qualcuna e coloro che non hanno voglia di fare un cazzo.
Ho conosciuto una coppia che per tutta la settimana è andata a letto alle nove perchè ogni santo giorno dovevano andare da qualche parte. Niente spiaggia, niente bar, niente spettacolino serale, a malapena la cena ma POCO perchè erano pieni di pregiudizi pescati da chissà quale sito. Ora, l’acqua non è potabile, ma il riso puoi mangiarlo, la carne pure, le uova anche…
Un’altra coppia è quella che io definisco GENTE VISSUTA. Sono stati in Egitto un miliardo di volte, e smontavano ogni cosa che per noi fosse nuova ed esotica, tipo i pesciotti che facevano lo scrub a riva se rimanevi fermo o le stelle marine del luogo. Se tu eri stato male loro lo erano stati di più, se ti era venuto il cagotto loro avevano concimato un campo, se avevi visto un pesce loro erano andati a fare un giro in Australia sulla groppa di Moby Dick. Insomma, una palla.
Una terza coppia invece non è mai uscita dal villaggio. MAI. Ormai rassegnati a non trovare nessuno che venisse con noi a fare delle scorribande in giro per la città, fatalità ci siamo imbattuti in una coppia giusta. Ma era una, su un milione di persone che c’erano lì. A proposito, grazie Mauro, grazie Romina.
Ma il vero italiano imbelvato lo vedi nel momento più cruciale della vacanza: QUANDO VA IN SPIAGGIA. Sembra di essere in guerra: tutti lì a contendersi l’ombrellone come dei pazzi. 40 gradi all’ombra, sole che ha il suo picco alle dieci della mattina. Vedi queste lucertole tutte piazzate nei posti più riflettenti, coi piedi ammollo per concentrare i raggi solari, il tutto SENZA NESSUNA PROTEZIONE. E poi alla sera…. FUOCO!! SANGUE!!! Certi eritemi solari da far paura, insolazioni ovunque, pelle morta a perdita d’occhio e ometti doloranti che girano facendo attenzione a non far muovere la maglietta altrimenti sono dolori. Spalle psichedeliche, culi come i babbuini, una situazione da far paura. L’ombrellone, questo grande sconosciuto. La crema solare, questa grande assente. Ho sentito di miscugli fatti con lievito, birra, olio, addirittura MERCUROCROMO pur di avere una tintarella da fare invidia ai polli allo spiedo. Ma dico io, è necessario?? Anche su questo argomento ho la mia opinione: una volta la tintarella era dei poveri, dei braccianti. La pelle bianchissima era un must, poi improvvisamente tutto è cambiato. Perché? Cos’è successo nel frattempo? Forse abbiamo capito che gli agricoltori erano sexy tutti belli neri? Forse gli egiziani ci fanno rodere il culo e quindi dobbiamo fare il garino di tintarella? In ogni caso è una causa persa. Fortuna che nei loro attrezzatissimi bungalow ci sono dei medici che per la modica cifra di 120 euro ti mettono una cremona allucinante peggio della pasta di fissan,roba da far impallidire un buondì, ti fanno delle punturone da cavallo che ti sballano per due giorni e tutto passa. Però lasciatevelo dire, vedere anche la pelle del cuoio capelluto che parte fa davvero schifo, è una forfora gigante, cose grosse come corn flakes. Ne vale davvero la pena di essere a chiazze per un mese e mezzo pur di diventare un po’ più scuri?? Bleah.
La sera poi arriva il gran galà: essì, l’italiano medio si porta via certi capi d’abbigliamento che nemmeno alle sfilate di moda e li mette TUTTI. Ho visto certi puttanoni… poi tornano a casa e li rimettono nell’armadio, perchè qua si vergognano. Il senso del pudore evidentemente è un concetto che varia a seconda della latitudine.
Ultima sera nel villaggio e vado a farmi ribattere il tatuaggio all’hennè. Lì ho visto la stupidità umana nella sua totalità: tre ragazzi che si facevano tatuare il loro nome in arabo (tatuaggio vero) in uno studio zozzo, con una tartaruga che girava libera, con una tipa che si stava facendo la tinta lì vicino, con gente che fumava vicino a loro nella sporcizia più completa. Il tocco di classe è stato che al posto della garza gli hanno applicato la carta igienica, roba da matti. La mattina dopo il tatuaggio comprendeva anche la carta, due al prezzo di uno. Il prezzo? 40 euro. Vai in uno studio normale qua e te ne chiedono 50. Fossero anche di più, piuttosto di dormire con la compagnia di una probabile epatite pagherei anche 300 euro.
Dopo una settimana così, arriva il momento del ritorno: sveglia alle tre e mezzo della mattina, colazione alle quattro, tutti fuori dalle balle alle quattro e mezza. Arrivi in aeroporto con gli occhi che sembrano quelli di Spongebob e il corpo che si ribella alla camminata infame fino al check. E chi ti trovi?? IL GRUPPO NAPOLETANO. Ragazzi simpatici per carità, ma minchia urlavano sempre, sempre!! GGGIACOMO!! GGENNNARIIIII!! AMOOOOOOO!! OGGI NON HO MANGIATO UN CAZZO PERCHE’ NON VOLEVO FARE LA CACCA!! Ecco, ora lo sanno tutti. Ma perchè?! Probabilmente sono sordi, ma il mio corpo a malapena risvegliato sentiva le loro urla che trafiggevano i timpani come coltelli. In ogni villaggio c’è un gruppo di ragazzi così, io li paragono ai branchi di cani: abbaiano per sentirsi forti.
Ma la parte migliore arriva nell’autobus che ci deve portare all’aereo: una signora evidentemente milfona da sbarco comincia ad attaccare bottone con gli sfigati di turno insultando l’Egitto, gli egiziani, il cibo, le gite, tutto. Non le passa nemmeno per l’anticamera del cervello di farlo in maniera dignitosa, anzi lo urla. Metti che l’autista magari parla un pelo di italiano (cosa abbastanza frequente)…bè io l’avrei uccisa. Una mancanza di rispetto pazzesca, una stronza assurda, roba da lasciarla lì in compagnia di 18 cammelli arrapati nel periodo degli amori. Brutta zoccola la prossima volta se vuoi farti la vacanza stattene a casa che ci fai un favore.
Una volta arrivata a casa mi sono bevuta un buon caffè, e ho tirato un sospiro di sollievo perchè la situazione era tornata nella normalità. Ci sentiamo con la prossima storia di giungla urbana, ciao butei.
Cat
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