Ciao a tutti summerfagz.
Dalla mia postazione situata in Roma mi accorgo che anche la mia città è sempre più deserta – è ovvio, siamo nel mezzo della stagione calda, e le orde di gente dabbene migrano in luoghi più piacevoli.
Dato, quindi, che la maggior parte di noi è in ferie dal lavoro (o in vacanza da scuola, o se sta a grattà la panza in pensione), si può trovare il tempo di concentrarsi di più su ciò che il periodo estivo offre da un punto di vista musicale leggermente più serio di Danza Kuduro.
Ora, fortunatamente non è estate in tutto il mondo, dunque anche gli artisti più business-looking, se vivono in Argentina o in Laos (chi non conosce le grandi star del Laos?), non possono produrre quei deliziosi pezzi che peggiorano la calura.
Considerato che si tratta di recensioni dove il gusto personale conta e non conta, i miei pensieri, assolutamente umili e opinabili, li inserirò con parsimonia -pur non potendo ovviamente prescindere da essi.
I primi a farsi sentire sono i Linkin Park. La band nu metal/punk rock (nda:come al solito non cercate il pelo nell’uovo, i generi sono spesso poco definiti) esce con Living Things, album che ribadisce la loro posizione musicale.
L’album è infatti una fusione fra il primo periodo hard della band e i loro sviluppi elettronici e all’avanguardia. Il primo singolo rilasciato, Burn It Down, si presenta come una canzone in pieno stile Linkin Park, perfettamente in riga con quanto dimostrato dalla band finora; si associa alle strofe di spicco pop il solito ritornello spinto, e poi arriva la parte rappata. C’è da dire che il chorus riesce a entrare in testa facilmente anche a chi non ama molto nè il genere nè gli artisti (vedi me). La voce di Bennington, anche se sembra essere passata sotto un processo di autotune (ma le mie orecchie possono tradire) rimane più o meno la stessa da liceale brufoloso che ha avuto fin dalla pubertà.
In “In my remains” invece emergono dei Linkin Park più heavy, meno alternativi, con strofe decisamente più potenti e meno suoni elettronici, diciamo che trattasi di una canzone più improntata al metal classico (con i dovuti cambi di stile e influenze alternative), e in quest’ambito non si eleva.
Il primo pezzo dell’album, Lost in the Echo, è uno dei più hip hop dell’album: pur rimanendo ovviamente nell’ambiente pesante della band, si apre con un intro decisamente poco metal, anticipando strofe rappate che presiedono a un ritornello, come dire, già visto.
In effetti questo album, che comunque presenta altri pezzi come Skin To Bone, anch’esso prevalentemente hip hop ma di pochissime pretese (personalmente la trovo una canzone orribile sotto molti punti di vista), sembra comunque poter piacere soprattutto ai vecchi fan dei Linkin. Predicando un’insolito eclettismo fra generi, in realtà non si esce quasi per niente dall’ambito a cui la band ci aveva sempre abituato, e i pezzi sono tutti piuttosto simili fra loro, e pochi spiccano. In particolare, il lavoro messo da Shinoda e gli altri sembra un’operazione più commerciale che altro. Ci sono pezzi riempitivi, come Victimized, che, pur associando all’hip hop il thrash metal di Hetfield & co. (cantato però in semi-growl), è palesemente nient’altro che un estrapolato da una sorta di jam session, o un’idea non sviluppata. Infatti dura un minuto e mezzo, il che è…proprio troppo poco per una canzone, soprattutto quando la si presenta come “la più potente dei Linkin”. Significa che io posso accordare la mia chitarra un tono sotto, mettere il gain al massimo e fare due o tre accordi cupi, e poi dire che è il mio pezzo più improntato al black metal, e che sono eclettico. Boh.
Stessa cosa per Tinfoil, si tratta di un minuto d’atmosfera, che band monumentali come i Pink Floyd o i Toto (per essere mainstream) non userebbero nemmeno per una intro.
Per me l’album non è dei migliori; per un fan dei Linkin sicuramente piacerà, ma non credo che sia all’altezza dei precedenti.
Passiamo ora da un estremo all’altro: gli avanguardisti Linkin Park sono seguiti da qualcuno che invece nell’ambito della musica “potente” ci sta da tempo, meritando l’aggettivo, per niente critico, di vintage. Si tratta della mamma del rock Patti Smith, col nuovo album, datato 5 giugno, Banga.
Già la tracklist, che propongo integrale perchè è anche bella da vedere, anticipa un carattere particolarmente spirituale dell’album: titoli di una sola parola, emblematici e forieri dell’esperienza della cantante.
“Amerigo”
“Fuji-san”
“April Fool”
“This is the Girl”
“Banga”
“Maria”
“Tarkovsky (The second stop is Jupiter)”
“Mosaic”
“Nine”
“Seneca”
“Constantine’s dream”
“After the gold rush”
E già la prima canzone, dedicata al celeberrimo Vespucci, si apre con un parlato toccante, e si sviluppa in un’atmosfera soft rock che da molto non si sentiva. Non si tratta di un masterpiece ,ma certamente è un pezzo pieno di impegno, con melodie a volte un po’ banali ma totalmente in linea col genere.
In realtà, più o meno tutto l’album si configura come una sorta di tributo; ci sono dediche, per esempio, a Amy Winehouse nel pezzo This is The girl, in cui la signora del rock forse si lascia andare ad un vezzo poco elegante, con la frase piuttosto pacchiana “this is the wine of the house”, e a Johnny Depp (Nine).Ma ci sono anche riferimenti colti ed elevati come quello a Piero Della Francesca (INFORMATEVI!!1!) in “Constantine’s Dream” o alla guerra nucleare giapponese in “Fuji-san”.
In particolare, quest’ultima canzone, che si apre con un’altra atmosfera (invero sempre presente in quasi tutte le track), è quasi un self-portrait involontario della cantante, che emerge proprio come una vecchia signora del rock. Atmosfere quasi country decisamente appesantite lo rendono un pezzo rock davanti al quale forse non avremmo storto il naso se lo avessimo sentito su qualche palco degli anni ’70; canzone classica, musicalmente senza troppe pretese, ma, di nuovo, ben fatta e, benchè non sia il mio genere preferito (inb4 yaoming), si colloca come una canzone perfettamente orecchabile. Alla fine la signora Patti Smith questo genere l’ha quasi inventato, dunque è difficile poterle dire “troppo classico”, no?
Avanzando a quella che è stata definita una rock suite, Constantine’s Dream, troviamo la solita apertura d’atmosfera (fra l’altro sotto echeggia una preghiera in italiano); le musiche appaiono più medioevali (dunque in tema), malinconiche, e il ritmo cadenzato non ci abbandonerà per tutti i 10 minuti. Se vi aspettavate che la signora iniziasse a cantare, dimenticatelo: parlerà praticamente per tutta la canzone, rendendola dunque un pezzo decisamente particolare, con un’interessante chitarra che echeggia nel sottofondo e finalmente esplode con la batteria alla fine della canzone, che si configura comunque come qualcosa di piuttosto psichedelico, con caratteristiche quasi epiche, e certamente ottime. Forse una canzone da colonna sonora.
Per finire, il pezzo che dà il nome all’album, Banga, è, come gli altri, un rock cadenzato tipico della Smith. Troviamo poi altri pezzi come l’emozionale “Maria” e la cover finale di Neil Young…Tutto ciò plasma un album certamente di qualità, non di spicco e non destinato a rimanere nella storia (sperando comunque di sbagliarmi!), ma in ogni caso orecchiabile, e d’effetto per i lunghi viaggi in macchina, nonchè assolutamente non riduttivo per i vecchi fan della cantante.
http://www.youtube.com/watch?v=teU97iOpViY
Passiamo ora al versante nostrano, con un cantautore forse meno famoso di quanto meriti, colto e umile: parliamo di Samuele Bersani con Psycho. Visto come l’album di riassunto, in realtà è più o meno una raccolta (fortemente tematica, comunque) dei successi, ma soprattutto delle emozioni, dell’autore, che, fortunatamente, è sempre stato lungi dal buttarsi nel commerciale. Diviso in due CD, il primo presenta forse i pezzi meno conosciuti (più due inediti), dove trovano spicco “Cattiva”, canzone decisamente meritevole, con un ottimo testo affiancato a una musica tipica di un Bersani fatto da un pop assolutamente ricercato, e “Replay”, dove forse quest’ultimo aspetto viene un pochino edulcorato, componendo comunque un pezzo emozionalmente speciale.
Il secondo disco presenta i maggiori successi, fra cui spicca ovviamente Spaccacuore, così come Caramella Smog (nda:il solo titolo m’è sempre piaciuto un sacco!) e Chiedimi Se Sono Felice. Giudizi Universali, con il suo intro di piano a cui si confà la concezione più elegante dell’aggettivo “bello”, apre il CD con i suoi accordi classici che accompagnano parole altrettanto eleganti. Un buono spunto è invece “Un periodo pieno di sorprese”, canzone uscita relativamente da poco ma già, come si vede, entrata fra gli evergreen del cantante: dalle strofe leggermente enigmatiche, talvolta poco musicali (nel bridge), si arriva a un ritornello molto piacevole e, come al solito, ricercato.
Parlando degli inediti, il primo brano è quello presentato a Sanremo, “Un pallone”. Volutamente allegro, affronta con ironia i problemi della società: certamente non sarà la canzone melodica che ci si aspettava, nè vuole esserlo; nemmeno diverrà simbolo di una stagione, ma comunque è un buon punto di svolta.
Psycho, invece, che dà il nome al CD, è secondo me un pezzo rock assolutamente ottimo. Raccontando la storia di un uomo psichicamente debole, riflette su come, alla fin fine, anche gli altri, non sapendolo nè sottolineandolo, abbiano labilità non differenti dalle sue: analisti logorroici, ma soprattutto VOI: “A volte io ho paura di voi più che della solitudine”.
Queste parole riempiono un’atmosfera musicale buonissima, con ritmi più potenti del Bersani classico, chitarre leggermente distorte e un carattere generale più che sufficiente.
Insomma, per i fan dell’artista e non, è un must-have per tutti coloro che amano la musica italiana.
Concludo le recensioni dettagliate con l’album più “di nicchia” di tutti: si tratta di Stones Grow Her Name dei finlandesi Sonata Arctica.
La band, guidata dal cantante (ma, di nascosto polistrumentista) Tony Kakko, a mio dire una delle voci migliori non solo del metal, ma della musica in generale, sforna qualcosa che forse lascerà i fan di sempre un po’ attoniti. Effettivamente si tratta di un album più ricercato ed eclettico, il che, però, non necessariamente è un bene.
Togliendo il fatto che la copertina è di una bellezza sconcertante (!), il primo singolo rilasciato, I have a right, è una canzone melodic metal (invero piuttosto leggerina) che affianca a un ritornello decisamente orecchiabile e armonico, delle liriche introspettive in pieno stile Sonata -a differenza della parte musicale.
Particolari le strofe, con la solita chitarra superdistorta stile motosega (ma non è detto che sia un male) targata Elias Viljanen (certamente non il miglior membro del gruppo) su atmosfere tristi come non mai. La canzone parla, infatti, di un figlio subissato dal padre e dalle aspettative; e perciò ricorda (anche un po’ musicalmente) il masterpiece Caleb.
Shitload of Money, invece, è un pezzo che si discosta totalmente dalla tradizione dei finnici. Heavy Metal in tutto e per tutto, dalle parole alla batteria, non c’è molto da descrivere se non proprio quelle due parole: heavy metal. Niente pianoforte triste, niente synth melodico, niente riff progressive: she got a shitload of money e tanta chitarra.
Kakko & co. escono dal seminato anche con il pezzo Cinderblox, dove fondono atmosfere tipicamente country con tanto di mandolini, a strofe degne del più pop Bon Jovi e intramontabili cori e chitarrone che lasciano intendere l’atmosfera melodic metal che la band non perde: soprattutto, dalla seconda parte, le strofe dal carattere classico sono accompagnate da un’atmosfera power metal: il che è un espediente non nuovo nel repertorio dei Sonata. Tutto sommato si tratta di un esperimento musicalmente accettabile! Notevole l’assolo, specialmente nella prima parte, dove Viljanen accrocchia un connubbio fra Eddie Van Halen e Michael Angelo Batio.
La ballad Don’t be mean, a suo modo, esce anch’essa dai ranghi, presentando accordi e atmosfere decisamente più pop (ma non negative: degne comunque di molte ballad che hanno segnato la storia, alla stregua di Sorry seems to be the hardest word o I won’t hold you back, fra le migliori di sempre). Commovente come al solito, ma in modo diverso; forse la voce graffiante di Kakko non esalta appieno la canzone, che, senza un briciolo di doppio basso o Ibanez disorte, si configura come un’altro esperimento molto classico, o, in alternativa, un ritorno alle origini prima del primo album.
Forse il miglior pezzo è il pezzo d’apertura: decisamente “Sonatesco”, Only the broken hearts (make you beautiful) è semplicemente un bel melodic metal ricercato e stracolmo di cambi particolari e cori, oltre a un ritornello che, seppur potente come ogni canzone di quel genere, entra in testa che è un piacere.
Si tratta dunque di un album particolare, che vede i Sonata Arctica, in origine melodic metal, power metal e progressive, sperimentare moltissimo, e non più solo nell’ambito del metallo ma anche in campi differenti. Se qualcosa è forse troppo ricercato (vd. gli ultimi due pezzi), troppo complesso e dunque, oltre che difficilmente riproponibile live, intricato, qualcos’altro può far storcere il naso perchè esce dai generi. Effettivamente forse un’altro po’ d’esperienza avrebbe fatto bene; ma in ogni caso Kakko si riconferma come una delle migliori voci di sempre, e un compositore di altissimo livello.
Concluso coi Sonata, mi sembra però doveroso lasciarvi con un altro po’ di advices: ci sono molti altri album da poco in commercio, e un elenco non può far altro che farvi drizzare le orecchie…Spero.
Gli Europe di Final countdown escono con Bag of Bones, con un Joey Tempest ancora in forma per il glam rock/soft metal/melodic di sempre, affiancato poi da un featuring speciale firmato Joe Bonamassa. Anche il celebre Marilyn Manson esce col suo ottavo album in studio, Born Villain, dove conferma il fatto di essere un bravissimo parlatore (da quando canta?), e dove colleziona collaborazioni fra cui quella con Johnny Depp, alla chitarra, per una cover del celebre brano “You’re so vain”.
Biagio Antonacci (Sapessi dire no) conferma il suo essere uno scarto non solo della società ma anche della natura, mentre la “musica” italiana continua a ruota con Marco Carta, Annalisa Scarrone (<3), i Club Dogo e Piotta. Ci sarebbe anche Vasco Rossi, ma fate finta di esservelo perso stavolta…Che peccato!
Madonna si conferma una sempreverde nonnetta con MDNA, certamente in linea e non deludente per i fan; Bruce Springsteen esce con Wrecking ball, e i Cranberries con una ritrovata (ma afona) Dolores O’Riordan, riuniti perchè, come confessato, stavano invecchiando, sfornano l’album Roses.
15 Maggio 2017
21 Gennaio 2017
16 Dicembre 2016
11 Novembre 2016
29 Ottobre 2016
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.