“Può un “negro” […], venduto come schiavo, diventare membro della comunità politica, formata dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America, e titolare di diritti, privilegi e immunità garantiti dall’istituto della cittadinanza?”
Le cronache non riportano la reazione di Dred Scott, nato “schiavo, di razza negra”, alla lettura di questo passaggio delle motivazioni della sentenza, redatta di proprio pugno dal Chief Justice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Roger B. Taney.
Sicuramente, non avrebbe mai immaginato che, presentando istanza per la propria liberazione, avrebbe rappresentato una delle maggiori concause di una guerra civile che avrebbe poi mietuto oltre mezzo milione di vittime.
Nella prima metà del XIX secolo, gli Stati membri della Confederazione erano divisi in Stati schiavisti e Stati abolizionisti; in uno di questi, l’Illinois, soggiornò Dred Scott, nato schiavo in Virginia e venduto ad un maggiore dell’esercito.
E avendovi soggiornato, ritenne di dover essere dichiarato libero, basandosi sul presupposto di aver ottenuto irrevocabilmente la libertà.
Scott, cui era stata data la possibilità di sposarsi (negli USA il matrimonio poteva essere perfezionato solo da uomini liberi), per evitare che la figlia dovesse vivere come il padre, decise di presentare istanza per la propria liberazione e per essere considerato cittadino.
Nel 1856 la vicenda giunse, in ultima istanza, alla Corte Suprema degli USA, presieduta da Roger B. Taney; il giudice, notoriamente filo-schiavista, decise di affrontare e risolvere, definitivamente, il problema degli schiavi che intendevano presentare istanza per il riconoscimento della propria libertà.
La prassi giudiziale era quella di non riconoscere il “locus standi”, ossia la capacità di agire in giudizio, agli schiavi: la conseguenza era l’automatica dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Ma Taney, invece di considerare il precedente e ritenendo di avere l’appoggio popolare, decise diversamente.
Sostenne, nel rigettare l’istanza di Dred Scott, che “i costituenti non hanno mai inteso che un “negro” potesse essere cittadino” e che accogliere l’istanza “darebbe alle persone di “razza negra”… il diritto di entrare in qualsiasi Stato avessero voluto, … il pieno diritto di parola in pubblico ed in privato su qualsiasi soggetto del quale un cittadino può parlare; di tenere riunioni pubbliche su questioni politiche e di detenere e portare armi se avessero voluto”.
La Corte, con la decisione, annullò ogni tentativo del Congresso di stabilire, attraverso la legge, restrizioni alla schiavitù; la motivazione era l’incostituzionalità di una legge (nota come “Compromesso del Missouri”) che incidesse, retroattivamente, “sul diritto di proprietà tutelato dalla Costituzione”, il cui oggetto era, nella fattispecie, lo schiavo.
Il compromesso del Missouri del 1820 era l’accordo in materia di regolazione della schiavitù, vietata a nord del parallelo 36°30′, salvo che nei territori del Missouri.
La dichiarazione di incostituzionalità si fondava sul presupposto che l’abolizione della schiavitù si configurasse come una forma indiretta di esproprio della proprietà, possibile solo “due process of law“.
Il caso Dred Scott vs Sandford venne deciso con sentenza il 6 marzo 1857, due giorni dopo l’insediamento del Presidente Buchanan.
La sentenza, finalizzata a garantire il consolidamento definitivo della schiavitù e il superamento delle spinte abolizioniste, ebbe l’effetto di consolidare le posizioni degli Stati del Nord e rappresentò una delle concause della Guerra Civile.
Attraverso l’esercizio della judiciary review e la dichiarazione d’incostituzionalità del compromesso del Missouri, la USSC segnò l’inizio di una fase di instabilità politica.
La sentenza destabilizzò Buchanan, il quale cercò, vanamente, di riconciliare le posizioni abolizioniste del Partito Repubblicano e filo-schiaviste dei Sudisti, e di trovare un bilanciamento tra la judicary review della USSC e le legislazioni dei singoli stati membri.
Dred Scott morì un anno dopo la sentenza e non avrebbe mai potuto sapere che, un aspirante al seggio di Senatore dell’Illinois, lo stesso Stato in cui originariamente aveva presentato ricorso, in campagna elettorale, si riferisse a quella decisione come “la più aberrante della Corte” e che sostenne la necessità di introdurre un nuovo emendamento in costituzione [il XIV].
Il suo nome era Abrahm Lincoln.
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
Studente di Giurisprudenza all'Università Cattolica del Sacro Cuore, articolista per le sezioni Diritto e Storia.
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