Oddio vi prego non chiedetemi se stiamo vivendo nuovamente una nuova bolla dot-com, perché è una cosa a cui non saprei rispondervi. L’unica che per ora abbiamo conosciuto è cresciuta in tre anni ed è scoppiata nel 2000. Forse ne avremmo vissuta un’altra se la crisi finanziaria non avesse ribaltato il tavolo come un tizio che manda a monte una partita di Risiko; forse sta avvenendo proprio sotto i nostri occhi, in questo momento, e sta guidando la new new economy.
Fatto sta che ogni articolo di giornale che parla della redditività di applicazioni per cellulari, o della potenziale quotazione di alcuni siti internet, finisce con il domandarsi, ammiccando al lettore: “Is this the first sign of a Internet bubble?”. Ripeto: non lo so. Ma del resto non credo che ci sia una visione univoca sulla faccenda (al netto di alcuni catastrofisti che predicano di tutto per poter dire, almeno una volta, “Ve l’avevo detto”). Del resto se fosse evidente a tutti a questo punto suppongo sarebbe che la bolla sarebbe già scoppiata, according to la razionalità dei mercati.
Questi che girano sossoldi
Senza dubbio il capitale si sta muovendo con valori importanti verso i social network, i servizi di crowdsourcing, le applicazioni di messaggistica e insomma tutto ciò vive su Android e Iphone. Così, mentre nell’industria tradizionale non si trovano i soldi per un bullone, c’è chi è disposto a investire 1,15 miliardi per Waze (un navigatore satellitare che mostra percorsi calcolati secondo le indicazioni degli utenti), mentre Facebook si è vista rifiutare l’offerta di acquisto di Snapchat (messaggistica che sparisce dopo pochi minuti, ottima per il sexting) per 3 miliardi; poco male, ne ha spesi 19 per Whatsapp.
L’impressione che si stia investendo di tutto su tutto (quindi anche su merdate) è forte, e se anche gli aneddoti non fanno un database di ricerca, vale la pena certe volte portarli ad esempio. Ed ecco che Il Post si mette a raccontare di un social network (Introbiz, Introbuzz, nessuno ha ancora capito come si chiami ufficialmente) che sta raccogliendo cariole di dollari pur non avendo un business model chiaro. Anzi, non ha un business model. Pare infatti che sui mercati OTC – per capirci, quelli a cui voi stronzi non potete accedere tanto facilmente – i soci di Introbiz stiano scambiandosi titoli a prezzi sempre più alti, alimentando la golosità di qualche falco che pensa “E’ una bolla” e allora comincia a vendere allo scoperto. Peccato che sia una trappola. I soci, dopo aver assecondato un lieve calo delle quotazioni, hanno ricominciato a comprare, e comprare, e comprare, tagliando le palle ai ribassisti.
Certo: una frode è comunque una frode, sia fatta sulle dot-com, sia fatta sui BTP o sul real estate. Eppure se pensiamo ai grandi nomi “che sono una garanzia”, quali Facebook e Twitter, vediamo un rendimento che non outperforma il mercato (o addirittura fa peggio). E allora perché investire?
Quelli generati soccomunquesoldi
Ammetto di essermi entusiasmato per Blablacar: i benefici per guidatore e passeggero sono evidenti e significativi. Poi però mi è venuto un dubbio: mentre il guidatore azzera i costi, e il passeggero risparmia rispetto ad altri mezzi di trasporto, dov’è che Blablacar guadagna? Non so quanti degli utenti si siano resi conto che l’intermediario non ha preso alcuna commissione: il pagamento avviene in contanti durante il viaggio, e non esistono forme di prenotazione con carta di credito. Mi sono scervellato per un po’ su quale fosse la fonte reddituale per la società, escludendo il traffico di dati (inesistente se paragonato ad altre applicazioni) e i proventi da pubblicità. Sono andato sul sito inglese, e anche lì veniva indicato lo stesso metodo di pagamento. Invece in Francia (paese d’origine di Blablacar) e in Spagna i pagamenti sono fatti esclusivamente attraverso carta di credito, al momento della prenotazione. E su questi si applica la commissione di servizio (proprio come Airbnb).
L’impressione quindi è che la società si stia espandendo sempre più velocemente (8 milioni gli utenti in Europa) e lo stia facendo offrendo per ora un servizio del tutto gratuito. Poi, con una struttura che molto leggera dal punto di vista dei costi, comincerà a macinare soldi applicando il modello francese al resto dei mercati. Ed è su queste basi che ha senso il recente investimento per 100 milioni da parte della Index Ventures.
Una classifica finale
Insomma, sta bolla non si sa se c’è e come in ogni settore ci sono società con un business model profittevole e società con un livello di affidabilità misurabile in centesimi di un cazzo di niente. Forse sarebbe comodo suddividere in tre livelli questo calderone di applicazioni per smartphone, ovvero:
Comunque ho ordinato una felpa su Zalando e la taglia era troppo grossa per essere una M.
Devono fallire tutti, cazzo.
(Foto tratte dall’installazione di Tomas Saraceno, On Space Time Foam, un anno fa presso l’Hangar Bicocca)
Per quelli che la partita doppia è andare allo stadio ubriachi. Prendo un libro o un giornale di economia, lo apro a caso, leggo e – qualche volta – capisco l'argomento, infine lo derido. Prima era il mio metodo di studio, adesso ci scrivo articoli. Sono Dan Marinos, e per paura che mi ritirino la laurea mantengo l’anonimato.
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