Il film più citato (e quindi, conosciuto) dagli italiani che oggi hanno tra i 20 e i 40 anni? Non “Harry Potter”, neanche “Pulp Fiction” e certamente non “Il Grande Lebowski”, ma l’esordio nel grande schermo di un trio di comici la cui popolarità derivava da Mai Dire Gol: “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo.
In questi articoletti (che sono stati ai tempi raccolti nell’ebook “Anni ’90”, ma lo sapevate già, vero?), dopo la sparata iniziale, sono solito riflettere sul perché. Per quale motivo una commedia simile a tante altre negli ultimi anni ’90 è diventata un mito generazionale, un patrimonio della cultura pop italica? Beh, perché rispetto al Ciclone, Ovosodo o Radiofreccia, altra roba dell’epoca caduta più o meno nel dimenticatoio, “Tre uomini e una Gamba” ha decisamente un passo più lungo. Pun not intended.
Il motivo è semplice: il trio comico è riuscito nell’arduo compito di incastrare le loro solite gag a una trama stereotipica ma dannatamente efficace, a metà tra il viaggio e la formazione. Detta così sembra banale, ma non lo era neanche per un cazzo, e in effetti non gli è più riuscito, se non parzialmente nei due comunque onesti film successivi, di sicuro non in quelli più recenti. Del resto, se i memes e le citazioni oggi se le becca quasi solo il loro primo film, ci sarà pure un motivo.
Le gag, appunto. Come confermano i tre “intermezzi” (il primo, dei gangster combinaguai, invero non così riuscito, il secondo e il terzo, di Ajeje Brazof e dell’inganno della cadrega, a loro modo leggendari), è un film pensato da comici, con ritmi da comici: molto serrati. Però, se fate caso alle citazioni più comuni, quelle rimaste nell’immaginario, ci sono sì alcune battute che stanno in piedi da sole (“Peperonata alle otto? E a mezzogiorno? Topi morti?” o l’epica finta-telefonata “V-A-F-F-ANGULOOOOO” di Aldo), ma anche frasi che hanno un loro valore comico puramente contestuale, cioè un po’ tutte, ma per dirne una il “Non posso né scendere né salire”, verso la fine, o il “E GIACOMINO SI SPOSAAA” che chiunque è prossimo al matrimonio è destinato a subirsi (ikr), e se le buttiamo lì con gli amici, la risata la fanno sempre scattare.
Questo perché il film, contro ogni aspettativa, “funziona” non solo per le battute, ma anche nel suo complesso. La trama, come detto, non è niente di rivoluzionario: tre amici devono partire per un viaggio apparentemente banale e combinano tutta una serie di casini nel mezzo. A far da connettore tra le varia gag c’è la parentesi romantica, con la mitica (ai tempi) Marina Massironi nel ruolo della bellona un po’ svampita, ma soprattutto la riflessione “esistenziale” che serpeggia qui e là, senza risultare mai pesante, però sì, c’è. Il senso del film sta forse in un dialogo tra Giovanni e Aldo, “Certo, ci vuole coraggio. Bisogna rischiare. Tu non hai mai rischiato?” “Sì, una volta ho messo due fisso a Inter-Cagliari”.
Se ci pensiamo, è facile capire cos’è che rende Tre Uomini e una Gamba qualcosa di più dell’ennesimo accrocchio di battutine che fa man bassa al botteghino ma poi nessuno se lo fila dopo tre mesi. Il primo elemento sta nella caratterizzazione dei personaggi: Giacomino non è un semplice plot device, ma rappresenta l’adorabile sfigato in cui possiamo più o meno tutti riconoscerci. La parte del leone la fanno però Giovanni, il pignolo, razionale e “uomo della ragione” che ogni tanto si abbandona all’infantilismo più becero, e Aldo, il “terrunciello” stupidotto che però ha sempre la battuta pronta. Ed è memorabile, e riuscito più che in ogni altro loro film, il rapporto tra i tre, la solidarietà collettiva con il destino che attende Giacomino e la bromance demenziale tra Aldo e Giovanni (epiche le scene del limone e del balletto nel lago).
Se quindi non è solo un film comico, non è nemmeno un film di viaggio (in fondo, a parte Milano e Gallipoli, tutti gli altri luoghi attraversati sono sempre sfumati in una generica Italia di provincia, mai precisati), che cos’è davvero “Tre Uomini e una Gamba”? È un’epica piaciona, citazionista e a tratti un po’ sciocca ma a modo suo esistenzialista, e non è per il puro gusto del clickbaiting che l’ho paragonato a Trainspotting: certo, non c’è traccia di degradazione morale e di certo non ci sono roba e spade, ma in fondo la riflessione solo apparentemente banale di Giovanni “Sì, ma la famiglia? Il lavoro? Le prospettive per il futuro?” non ricorda un po’ il ben più noto monologo “Scegli la vita” di un certo Mark Renton? Del resto, “Ho imparato a sognare” dei Negrita non ricorda vagamente “Lust for life” di zio Iggy? E, la sparo proprio grossa, non notate addirittura un parallelismo nei due finali?
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