Come sapete, in questi articoli continuo a menarvela sugli anni ’90. E parte integrante dell’identità di quel decennio è in realtà dovuta a una mancanza: gli anni ’90 sono anni senza internet. Tranquilli, non c’è bisogno che veniate a menarmela sul Cern, su Mosaic, sulla preistoria del web o che nell’estate del ’98 usavate il computer del vostro zio ricercatore per digitare “donne nude” su Yahoo. Internet magari c’era già, ok, ma non veniva usato comunemente se non da una ristrettissima cerchia di professionisti o ubernerd, e soprattutto non in Italia.
Ma allora come facevano i nerd in erba dell’epoca a reperire le loro preziose informazioni? Beh, c’erano robe, oggi dimenticate, chiamate riviste. Ricordate, eh? Tali reperti archeologici trattatavano degli argomenti più disparati. Ai dodicenni di quei tempi, tuttavia, interessavano più che altro le riviste di videogiochi (e un altro tipo di riviste che lascio alla vostra immaginazione). Ricordiamocelo: erano anni in cui le informazioni sui giochi da comprare le reperivi (spesso falsate) dal fighetto del quartiere o da bimbi con maglioni bisunti durante la ricreazione. Erano anni in cui se ti bloccavi a un gioco eri di fatto fottuto. Beh, in quegli anni le riviste di videogiochi per noi erano molto più di una fonte di intrattenimento o di un passatempo vacanziero: erano la chiave per un mondo prima inaccessibile, erano il nostro vangelo. Ce le compravamo all’edicola uscendo da scuola e le divoravamo pagina per pagina già aspettando l’autobus. Una volta letta tutta, le custodivamo religiosamente e le consultavamo all’occorrenza, o, nei casi più patologici, le rileggevamo. La domanda giustificava l’offerta, e ai tempi c’erano riviste per tutte le piattaforme di gioco, con target diversi, con o senza gadget, tematiche (solo trucchi, solo recensioni etc.), insomma di opportunità per bruciarsi la paghetta ce n’erano eccome.
C’erano periodi in cui spendevo quasi più soldi in riviste che videogiochi. Leggevo recensioni di giochi che non mi interessavano assolutamente, soluzioni di giochi che non possedevo, news su console che non avevo comunque intenzione di comprare, prendevo tutto quello che propinavano le riviste dei videogiochi come oro colato, compresi i voti ai giochi. E poi? Beh, prima arrivò la disillusione dell’età della ragione, quando capivi che molte recensione venivano scritte dopo 15 minuti stentati di prova della demo e riciclando il comunicato stampa fornito dalla stessa software house, che i voti dipendevano molto più dall’hype che dalla qualità del gioco e, pertanto, non contavano un cazzo. E dopo, beh, arrivò internet, e quindi l’accesso libero alle recensioni online e soprattutto ai forum. E poi la maggiore età, la perdita dell’innocenza, l’imbarazzo sociale provocato dalla lettura di analisi dei dati di vendita giapponesi in pubblico e robe di questo genere. E così, gradualmente, persi la passione per le riviste, e in parte anche quella per gli amati videogiochi. Ciononostante, i ricordi preadolescenziali del tempo e dei soldi sprecati con le riviste videoludiche rimangono ancora vivi. Ne compravo più che potevo, e di molte me ne sono ahimé dimenticato: citerei quelle con le quali ero maggiormente fissato e che mi rendevano più indesiderabile agli occhi delle mie compagne di classe.
Giochi per il Mio Computer
Al di là del nome dubbiamente poco felice, GMC era una rivista decentemente strutturata, con qualche rubrichetta, recensioni, anteprime, guide e cazzi vari. C’era pure una rubrica della posta curata da una certa gnocca (o almeno così sembrava agli occhi dell’inesperto 12enne dell’epoca) che si faceva chiamare Nemesis. Tuttavia non valeva certo la pena comprare GMC per le belle foto a colori o per le classifiche: lo si prendeva per il disco omaggio, che conteneva frotte di demo delle ultime uscite e altri contenuti che nell’era pre-internet sembravano manna dal cielo. Dopo arrivarono però i mitici Twilight, che nei tardi ’90 non erano libri o film per adolescenti in calore ma dischi pieni zeppi di giochi piratati, e quindi la banda larga e le sue infinite possibilità; smisi di comprare GMC se non in via del tutto occasionale, e non ho idea di come abbia fatto a sopravvivere fino al 2012, data della sua triste ma inevitabile fine.
Nonostante le mie fiere origini nintendare, da ragazzino dei tardi ’90 non potevo non possedere una Playstation e non potevo non esserci completamente fissato. Sai com’è, giochi come Final Fantasy 7, Gran Turismo e Tekken e compagnia bella ai tempi erano troppo fighi per non passarci su i pomeriggi. L’approccio e la dedizione ai giochi della buona vecchia PSX (come veniva per qualche motivo chiamata) oggi verrebbero considerati “da bimbominkia”, ma ai tempi eravamo in buona fede. E dal momento che eravamo davvero convinti che giocare a Resident Evil 2 ci rendesse dei veri fighi, ci serviva una rivista altrettanto sborona e rutilante: non quella ufficiale, che aveva i cd coi demo come GMC ma era troppo istituzionale, ma una accattivante e apparentemente esotica come PSM. Le recensioni non erano niente di che, ma lo stile di scrittura ironico sembrava appunto genuinamente “figo”, e poi c’erano copertine con le tipe tettone, poster con le tipe tettone e persino adesivi copri-console con le tipe tettone! Che volere di più?
Super Console
Superato l’idillio della novità e la parentesi della figosità, l’hardcore-gamer in erba prima o poi giungeva inevitabilmente alle soglie dell’hipsterismo (ovviamente prima di sapere che cosa volesse dire). E quindi, via di giochi di importazione (originali, eh), via di gdr giapponesi pesissimi, via di rubriche di approfondimento sulle futilità più esacerbanti. Non bastavano più battutine e commenti iperbolici, servivano recensori cinici che stroncavano con sadismo i giochi da casual-gamer e pseudo-intellettuali le cui rubriche erano di fatto incomprensibili e inutili ma che proprio per questo motivo sembravano così fighi (sì, sto parlando di Matteo Bittanti. Imitando il suo stile arzigogolato e pieno di parole apparentemente buttate a caso ho strappato diversi 8 in italiano, e non solo). Super Console, rivista prima dedicata alle console Nintendo e poi a quelle Sony, ma che mascherava con stile la faziosità e, più che altro se la tirava a proposito di tutto, veniva pienamente incontro alle esigenze di questi ragazzotti che, iniziando a sentirsi un po’ sfigati con gli adesivi di Tomb Raider 3, preferivano mascherare l’entusiasmo con la saccenza.
E quindi, cosa resta oggi delle riviste di videogiochi di 15 anni fa? Beh, contro ogni aspettativa, diverse di esse esistono ancora o sono state rimpiazzate da versioni al passo con i tempi. Sembrava che internet fosse destinato a uccidere il giornalismo tradizionale iniziando dagli ambiti più “nerd”, ma a quanto pare di ragazzini o giovani papà che comprano riviste di videogiochi, per un motivo o per l’altro, ce ne sono ancora. A me non salterebbe assolutamente più in testa di farlo, tanto ho dei numeri polverosi di Super Console da rileggermi, se proprio devo. Perché ogni tanto è rilassante rifugiarsi nel passato. E poi non era un brutto periodo, credo, nonostante l’assenza di internet.
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